Dobbiamo essere consapevoli del fatto che per avere docenti professionalmente preparati, competenti nell’area delle Scienze Tiflologiche [studio delle condizioni e delle problematiche delle persone con disabilità visiva, al fine di indicare soluzioni per attuarne la piena integrazione sociale e culturale, N.d.R.], necessitano percorsi universitari strutturati didatticamente e dal punto di vista formativo.
In altre parole, il futuro professionista dell’istruzione e dell’educazione, docente curricolare o designato per sua scelta sul sostegno, dovrà avere l’opportunità di acquisire conoscenze e competenze specifiche in campo tiflologico, e non “speciali”, come intendo sottolineare con decisione. Quell’aggettivo qualificativo (“specifico”), confuso spesso con il cugino “speciale”, indica infatti il valore metodologico circa l’approccio didattico o educativo relativo all’insegnamento di una disciplina, di una norma di comportamento efficiente per rendere autonomo il discente nei rapporti personali e interpersonali.
Per formare dunque la classe di docenti che sceglieranno il percorso utile a diventare competenti dell’area per il sostegno, sono necessarie tre cose, a mio modesto avviso e da esperto di didattica ed educazione al pensiero storico e filosofico, essendo docente di scuola secondaria di secondo grado in un liceo scientifico per le discipline di Storia e Filosofia e docente incaricato per le Scienze Tiflologiche presso l’Università del Molise:
1. Chiarire che la Tiflologia ha valore di didattica e di educazione e che pertanto si configura quale pedagogia laica per quel sapere specifico circa le metodologie scientifiche, utili a impartire i contenuti disciplinari all’alunno non vedente.
2. Che le Scienze Tiflologiche debbono essere insegnate attraverso la metodologia dell’approccio sperimentale oltre che teorico e scevro di etichette etico-morali o, peggio, religiose. L’unica etica dev’essere l’alto profilo professionale dell’educatore, del formatore.
3. Che al centro dei processi educativi, della didattica e dell’istruzione, c’è il bambino con la sua personalità, le sue esigenze di fanciullo, alunno e figlio e che, prima di ogni teoria pedagogica o disciplinare, c’è l’esperienza familiare, del suo nucleo natio, sia che questi esista in termini positivi, ovvero sia presente a tutti gli effetti, affettivo, emotivo e sociale; sia che questi risulti inesistente o “spaccato”.
E così, dopo l’esperienza del primo Master di Tiflologia, partito nel mese di marzo dello scorso anno [se ne legga anche nel nostro giornale, N.d.R.] e in dirittura d’arrivo alla fine di marzo di quest’anno, quando saranno diplomate in Scienze Tiflologiche venticinque persone, con il titolo di Typhlology Skilled Educator (“esperto in Scienze Tiflologiche”), presso l’Università del Molise, il Magnifico Rettore della stessa, Gianmaria Palmieri, su richiesta del sottoscritto, ha concesso l’istituzione della prima Cattedra italiana di Tiflologia Teorica e Applicata.
Si tratta di una notizia innovativa e realmente importante, per l’utilità professionale, didattica e educativa che punta all’inclusione degli alunni con minorazione visiva, ciechi assoluti o ipovedenti gravi. Ed è certamente il frutto della politica nazionale dell’UICI (Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti), in materia di formazione per i docenti che scelgano di operare sul sostegno.
Va per altro precisato che il termine corretto oggi sarebbe quello di “Insegnamento” e non di “Cattedra”. Infatti, anche l’Università cambia, così come la Scuola, e non solo nelle strutture organizzative, ma, giustamente, anche nell’uso e nella costruzione di termini e concetti; si parla ad esempio di “Dipartimento di Scienze della Formazione” e non più di “Facoltà di…”. E tuttavia, come càpita spesso, ci si affeziona alle cose, alle persone, alle proprie e altrui storie, e ciò succede anche con le parole, con i termini. Quello di “Cattedra”, quindi, è al momento più conosciuto e maggiormente immediato.
Desidero a questo punto evidenziare che accanto a me, nel perseguimento della richiesta, ci sono stati la famiglia e molti amici, tra cui Enzo Bizzi e Giancarlo Abba, e che il risultato conseguito ha potuto contare sul prezioso contributo di Pietro Piscitelli, presidente della Biblioteca per i Ciechi Regina Margherita di Monza e di Michele Borra, componente del Consiglio di Amministrazione della Federazione Nazionale delle Istituzioni Pro Ciechi e vicepresidente dell’Istituto Francesco Cavazza di Bologna.