La “vicenda-simbolo” di Mara, donna spagnola con disabilità intellettiva, cui la Corte Costituzionale del proprio Paese ha negato il diritto di voto, come raccontato anche sulle pagine di «Superando.it», merita un approfondimento e alcune considerazioni sulla situazione europea e italiana.
La prima considerazione è un vero e proprio paradosso: nel 2013 una donna con disabilità intellettiva, Ángela Covadonga Bachiller Guerra, divenne consigliera comunale nella città di Valladolid, proprio in Spagna. Il paradosso è che Mara non la potrebbe votare…
Vediamo ora da vicino cosa dice al proposito la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, ratificata dall’Unione Europea alla fine del 2010. L’articolo 29 (Partecipazione alla vita politica e alla vita pubblica) recita esattamente questo: «Gli Stati Parti garantiscono alle persone con disabilità il godimento dei diritti politici e la possibilità di esercitarli su base di uguaglianza con gli altri». Gli Stati stessi si impegnano a far sì che le persone con disabilità «possano effettivamente e pienamente partecipare alla vita politica e pubblica su base di uguaglianza con gli altri, direttamente o attraverso rappresentanti liberamente scelti» e che abbiano «il diritto e la possibilità di votare ed essere elette». Si impegnano altresì «a promuovere attivamente un ambiente in cui le persone con disabilità possano effettivamente e pienamente partecipare alla conduzione degli affari pubblici, senza discriminazione e su base di uguaglianza con gli altri, e ad incoraggiare la loro partecipazione alla vita pubblica».
Ma è effettivamente così nei Paesi membri dell’Unione Europea? Qual è la reale condizione delle persone con disabilità nel godimento dei diritti politici? Basta partire dalle barriere che queste persone incontrano durante una campagna elettorale per comprendere la disparità di condizione, sia come elettori che come candidati: possono liberamente muoversi per partecipare agli incontri elettorali? No, perché i trasporti sono per la maggior parte inaccessibili. Possono essere informati delle posizioni dei partiti e dei candidati in lizza? No, perché il formato delle informazioni veicolate dai mass-media e dagli stessi partiti politici non è accessibile alle persone cieche, sorde o con disabilità intellettiva (programmi televisivi, documenti programmatici dei partiti, pubblicità elettorali). Possono partecipare alle iniziative elettorali? Non a tutte, perché i luoghi dove vengono organizzate queste iniziative sono spesso inaccessibili. Possono votare in condizioni di uguaglianza con gli altri cittadini? Dipende dal Paese dove votano, come vedremo più avanti.
Ugualmente la condizione di essere eletto al Parlamento, in una Regione o Municipalità, per una persona con disabilità significa non avere le stesse opportunità di rappresentare i propri elettori come gli altri eletti. I problemi sono gli stessi: accesso ai mezzi di trasporto, all’informazione, accessibilità dei luoghi di lavoro (Parlamento, Assemblee Locali), uguaglianza di opportunità nei luoghi di iniziative pubbliche, sui mass-media e così via.
Le barriere, gli ostacoli e le discriminazioni non permettono dunque alle persone con disabilità di giocare il ruolo di cittadinanza attiva nel campo politico e sociale.
Una ricerca europea conclusasi recentemente, il Progetto DISCIT, finanziato dalla Commissione Europea, che ha coinvolto nove Paesi, ha messo in evidenza come la cittadinanza attiva dipenda da molteplici fattori interrelati tra loro, quali la legislazione, l’educazione, l’occupazione lavorativa, le tecnologie, l’accessibilità, la capacità di movimento e di emancipazione delle persone con disabilità ecc. L’insieme di queste condizioni di base offre alle stesse persone con disabilità opportunità assai differenti nei Paesi dell’Unione Europea.
In generale si può dire che l’evoluzione positiva negli ultimi anni sia chiara (la ricerca del Progetto DISCIT ha analizzato tre generazioni di persone con disabilità, a partire da coloro che sono nati negli Anni Cinquanta, negli Anni Settanta e negli Anni Novanta del secolo scorso, per valutare l’evoluzione nel tempo della partecipazione), ma i problemi restano ancora prevalenti.
L’approccio della Convenzione ONU, pertanto, mette fortemente in evidenza che la società europea non garantisce ancora l’uguaglianza di opportunità – diciamo meglio “di possibilità” – e la non discriminazione delle persone con disabilità nella libera e attiva cittadinanza nel campo della partecipazione politica.
Se poi ci focalizziamo sulle persone con disabilità intellettive la situazione è decisamente peggiore. Una ricerca della FRA, l’Agenzia dell’Unione Europea per i Diritti Fondamentali, condotta su ventiquattro Paesi, ha posto in evidenza proprio la mancanza di pari opportunità e la discriminazione cui sono soggette queste persone nel diritto di voto. Vediamone in dettaglio alcuni dati.
Per quanto riguarda il diritto di voto, solo 7 Paesi dell’Unione Europea lo garantiscono a tutte le persone con disabilità (Austria, Croazia, Italia, Lettonia, Paesi Bassi, Svezia e Regno Unito), includendo le persone con disabilità intellettiva e psicosociale. Un secondo gruppo (Slovenia e Ungheria) permette di votare a queste persone solamente dopo una valutazione delle loro capacità, da parte di un Tribunale. Altri 15 Paesi, infine, proibiscono di votare alle persone private della capacità legale (Belgio, Bulgaria, Cipro, Danimarca, Estonia, Germania, Grecia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Romania e Slovacchia).
Per quanto concerne l’accessibilità al seggio elettorale, sono 12 i Paesi che hanno degli standard di accessibilità a tutti i seggi elettorali definiti per legge (Croazia, Estonia, Francia, Germania, Irlanda, Lituania, Lussemburgo, Malta, Portogallo, Spagna, Svezia e Regno Unito). Un secondo gruppo prevede invece che solo una parte dei seggi elettorali siano accessibili, secondo differenti percentuali sul totale dei seggi stessi (Austria, Belgio, Italia, Polonia, Paesi Bassi e Slovenia). Gli altri Paesi analizzati non hanno alcuna legislazione in materia (Bulgaria, Cipro, Grecia e Lettonia).
In altre parole, mentre la cittadinanza europea ha tra i diritti che la caratterizzano quello di poter votare o candidarsi alle elezioni europee e locali (comunali e/o regionali), la situazione reale è ben diversa. Se pensiamo infatti ai dati riportati, si scopre che le persone con disabilità nell’Unione Europea non hanno pari opportunità in molti Paesi membri. Quindi si è cittadini europei in uguaglianza di opportunità solo se si nasce in certi Stati, ma non in altri.
Quali considerazioni trarne? Che nell’Unione Europea c’è bisogno di un nuovo quadro di norme che favoriscano la partecipazione delle persone con disabilità alla vita politica.
Attualmente è in discussione una Direttiva Europea volta ad accrescere l’accessibilità dei beni e dei servizi presenti sul mercato, ma per sostenere la partecipazione politica dei cittadini con disabilità è necessario definire una Direttiva sull’uguaglianza di opportunità nell’accesso al diritto di voto. Non si tratta, va precisato, di una legge elettorale, che è competenza degli Stati membri, bensì di una legge europea sulla modalità di garantire in forma uguale, in tutti i Paesi che aderiscono all’Unione, la parità di opportunità al momento più alto della democrazia, l’elezione dei rappresentanti politici nelle Istituzioni rappresentative. Una legge che garantisca – in modo progressivo per gli Stati che partono da condizioni più arretrate – l’accesso universale ai seggi elettorali e alle campagne d’informazione dei partiti, la piena fruizione dei messaggi politici, l’accessibilità ai luoghi delle assemblee elettive, in una parola, la piena partecipazione politica dei cittadini europei con disabilità.
In Italia le campagne in questo àmbito dell’AIPD (Associazione Italiana Persone Down) e dell’ANFFAS (Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale) hanno sollevato il problema del diritto di voto delle persone con disabilità intellettiva. In realtà, queste persone non possono essere accompagnate nell’esercizio del loro diritto al voto nei seggi elettorali, come invece prevede l’articolo 12 della Convenzione ONU.
Dal canto suo, il Comitato ONU per i Diritti delle Persone con Disabilità, nelle Osservazioni Conclusive espresse lo scorso anno al nostro Paese sull’applicazione della Convenzione ONU, ha espresso preoccupazione «perché le persone con disabilità intellettive e/o psicosociali non ricevono un sostegno adeguato per poter esercitare il diritto di voto, e perché l’articolo 48 della Costituzione, che limita il diritto di voto sulla base di “incapacità civile”, non è coerente con la Convenzione». Il Comitato, quindi, si è dichiarato «preoccupato per l’impossibilità per le persone con disabilità di scegliere dove votare, a causa di restrizioni legali loro imposte» e anche per il fatto che «il regolamento in materia di assistenza alle persone con disabilità per esprimere il proprio voto non è coerente con la Convenzione». Partendo dunque da queste considerazioni, il Comitato ha raccomandato «la modifica dell’articolo 48 della Costituzione e di fornire servizi di supporto e di facilitazione, al fine di garantire che tutte le persone con disabilità possano esercitare il loro diritto di voto, comprese le persone con disabilità intellettive e/o psicosociali; di abrogare la legge che limita la possibilità delle persone con disabilità di votare in postazioni elettorali di loro scelta; di armonizzare il quadro normativo in materia di assistenza al voto delle persone con disabilità nel rispetto della Convenzione».
Pertanto, quando leggiamo una notizia che in Europa riguarda le persone con disabilità, è utile confrontarla con la situazione italiana e con l’applicazione della Convenzione ONU, che è lo strumento più importante per la tutela dei nostri diritti umani, oggi standard internazionale, essendo stata ratificata da ben 172 Paesi (quasi il 90% dei Paesi membri dell’ONU). Perché anche in Italia c’è qualcosa da fare per garantire il diritto di voto alle persone con disabilità intellettiva e per permettere di votare a tutti nei propri seggi elettorali e non in “seggi speciali”.