In questi giorni di intenso dibattito sui Decreti Delega della Legge 107/15 sulla Buona Scuola [a tal proposito si veda l’elenco dei contributi da noi pubblicati, riportato a fianco di questo articolo, N.d.R.], tra gli altri argomenti, si è scritto molto anche sulla necessità di garantire la continuità del sostegno agli alunni con disabilità, cosa questa del tutto condivisibile, purché si faccia chiarezza su come si intenda garantirla.
Ho già avuto modo di scrivere in più occasioni, anche su queste stesse pagine, che il garante dell’inclusione non è il docente per il sostegno, ma il contesto, ovverossia una classe i cui docenti titolari si facciano carico dell’insegnamento anche all’alunno con disabilità e una scuola che sappia accoglierlo garantendogli pari opportunità di apprendimento, di accessibilità agli ambienti e al materiale didattico e alle opportunità di socializzazione. Opinioni, queste, ampiamente condivise da altri amici.
Viceversa, in questi giorni abbiamo visto chiedere a garanzia della continuità didattica la permanenza del docente per il sostegno per l’intera durata del corso di studi dell’alunno, una posizione, questa, ambigua sul piano pedagogico, perché se è vero, come è vero, che la garanzia dell’inclusione è un contesto che sappia interagire sul piano didattico e relazionale con l’alunno con disabilità, la permanenza dello stesso insegnante per il sostegno è indubbiamente cosa importante, ma non lo è meno la continuità dei maestri e dei professori titolari ai quali è dato il compito di insegnare anche a lui.
L’inclusività, infatti, è data da un Piano Triennale dell’Offerta Formativa che dia linee guida, per una scuola per tutti e per ciascuno, e che, come tale, favorisca la partecipazione al dialogo didattico degli alunni con disabilità, dal quale discenda un Piano Annuale per l’Inclusione volto a individuare strategie, metodologie e un’organizzazione delle attività didattiche capace di rispondere ai loro “bisogni di apprendimento” e alla quale possano far riferimento i Consigli di Classe interessati, per sviluppare PEI (Piani Educativi Individualizzati) inclusivi, alla cui progettazione collaboreranno gli insegnanti e la famiglia e ai quali si atterranno tutti i docenti, sia pure con la collaborazione del docente per il sostegno per l’attività didattica quotidiana.
Viceversa, richiedere la permanenza del solo docente per il sostegno su un alunno significa perpetuare un concetto errato, che cioè questi sia il “docente dell’alunno disabile”, vale a dire quello che fanno le famiglie quando si limitano a rivendicare l’aumento delle ore di sostegno.
Sarebbe già più coerente con la normativa chiedere la permanenza per un certo periodo dello stesso docente di sostegno sulla classe/scuola, anche se richieste di questo tipo – al di là delle valutazioni didattico-pedagogiche – sono comunque irrealizzabili sul piano pratico e nel contesto normativo che regola lo stato giuridico del personale docente.
Legare il periodo di permanenza in una determinata sede al numero degli anni del ciclo scolastico frequentato dall’alunno disabile, sarebbe per altro concretamente realizzabile solo nel caso di rapporto 1/1. Diversamente, se ad esempio al momento dell’assegnazione della sede al docente venisse affidato un alunno di prima classe e uno di quarta, quando quest’ultimo terminasse il ciclo di studio, l’insegnante riprenderebbe un altro alunno di prima e per altri cinque anni non potrebbe di nuovo cambiare sede, e così via…
Ma al di là di questi “tecnicismi”, il richiedere una permanenza del docente per il sostegno sulla sede, per un tempo diverso da quello dei colleghi, è improponibile, poiché la mobilità del personale è normata da regole precise che riguardano tutti i docenti (e non potrebbe essere diversamente).
Ritengo dunque che per avere continuità, sia necessario avere stabilità dell’organico di tutti i docenti di una determinata scuola, e proprio per questo, come FAND (Federazione tra le Associazioni Nazionali di Persone con Disabilità), avevamo accolto con favore l’obbligo di permanenza triennale nello stesso àmbito territoriale, come un primo passo verso una maggiore stabilità dei docenti sulle classi.