Sono Sandro, genitore, 72 anni, caregiver familiare, maschio (sembra siano rari i maschi, ma secondo me non è così).
Nei giorni scorsi mi sono recato nella Sala Rosi del Dipartimento Politiche Sociali, Sussidiarietà e Salute di Roma Capitale, per un incontro con i senatori Ignazio Angioni e Laura Bignami, presentatori e primi firmatari rispettivamente dei Disegni di Legge n. 2266 (Legge quadro nazionale per il riconoscimento e la valorizzazione del caregiver familiare) e n. 2128 (Norme per il riconoscimento ed il sostegno del caregiver familiare).
I due Parlamentari hanno estesamente illustrato i due Disegni di Legge, seguiti da qualche replica e da alcune ulteriori spiegazioni, prima di dare il via alle domande dei “peones”.
Ero in cima alla lista, avevo indossato il mio miglior completo “da baciapile” e preparato un bel discorsetto. Mi hanno detto però, prima ancora che potessi iniziare a parlare, che avevo un minuto esatto di tempo. Di solito si sollecitano gli ultimi oratori quando i tempi iniziano a precipitare, questa volta, invece, lo si è fatto dal primo e, per avvisarlo, si sono consumati già i primi 10 secondi del suo tempo.
Preso dal timor panico, ho realizzato che in 50 secondi non sarei riuscito a recitare nemmeno l’1% del mio povero testo, e quindi ho deciso all’istante di regalare al secondo oratore i miei residui – a quel momento – 40 secondi, sperando che con un minuto e 40 (anzi 1 e 30, levati i 10 del richiamo al rispetto dei tempi anche per lui), riuscisse almeno a farfugliare qualcosa.
E così, ho girato i tacchi e abbandonato al volo il consesso (non avrei sicuramente retto ai successivi 60 interventi da 50 secondi l’uno!), cancellando ogni traccia del mio passaggio, ivi compresa la mia registrazione sul foglio presenze, firmato all’ingresso. Meglio così: la penna è molto più appuntita della lingua, e poi può raggiungere una platea molto più vasta.
Da oratore mancato a cronista, quindi, racconterò, inventando, il mio brillante intervento al consesso, recitato a raffica, per consentirmi di dire qualcosa oltre il mio nome, con parole di conseguenza quasi incomprensibili, ma almeno nel rispetto dei tempi!
Dunque, mi sarei presentato, come educatamente ho fatto con i Lettori all’inizio di questa mia esternazione. Poi avrei posto ai due Senatori la domanda che sempre faccio in casi analoghi: «Uno di voi due, o uno almeno fra i numerosi Onorevoli Colleghi firmatari dei due Disegni di Legge, ha un parente con disabilità, o meglio ancora si trova ad essere egli stesso un caregiver, attività che in effetti mal si concilia con quella parlamentare?”». Il motivo della domanda è legato al fatto di voler sapere in quale “lingua” si terrà il confronto. Io sono perfettamente bilingue, ma è comunque corretto sapere in anticipo se si userà l’idioma «è meglio parlare d’altro» o quello «per fortuna possiamo interloquire, perché tutti e due sappiamo di cosa si parla»…
Avrei detto poi ai due Senatori che, tranne che nel ’68, anno in cui non ero rappresentato in Parlamento, per una vita sono stato fedele a un partito e neppure la nascita di mia figlia, trent’anni fa, che era riuscita a farmi cambiare di centottanta gradi la tipologia del mio lavoro, aveva fatto modificare questa mia fedeltà. Poi, però, alla fine ho tradito, ma solo per la scelta dell’abbandono della partitica, non certo della politica. Impossibile, infatti, vivere tra persone che non sapevano, o che, se sapevano, non ne traevano nemmeno un’oncia di saggezza. Mi ritengo forse un saggio? Sì, ma poco, poco, e non certo un “Giusto fra le Nazioni”!
Facciamo riferimento all’insegnante di sostegno. In molti credono che egli sia il sostegno dell’alunno con disabilità. Pochi invece sanno che il sostegno è destinato ai colleghi curricolari e alla classe intera, così da generare un ambiente realmente inclusivo. In poche parole, si deve sostenere non un solo elemento, ma l’insieme degli elementi. Ed è così anche per i caregiver: un meccanismo di sostegno deve permeare l’ambiente familiare.
E tuttavia, si è pensato sì alla figura del caregiver, ma non a quella del “caregiver del caregiver”, cioè a colui che consentirebbe a genitori e familiari di operare in modo più incisivo e soprattutto più a lungo nel tempo.
Io sono un caregiver di 72 anni, quasi pronto a mia volta per l’indennità di accompagnamento. Eppure, devo continuare nella mia missione il più a lungo possibile. Nessuno meglio di me sa gestire la mia carereceiver; se mi danno una mano, io vado in pensione da caregiver a cent’anni, e lo Stato fa un affare (può anche continuare a pagare gli emolumenti del Senato, altrimenti destinati all’azzeramento. Se arrivo a cent’anni, riuscirò mai ad essere testimone dell’evento?).
La cultura corrente è lontana anni luce dal concetto di caregiver. Tempo addietro, ad esempio, feci richiesta di aggravamento per mia figlia, da valutare in Commissione Medico-Legale INPS. Subito la solita domanda all’insigne Collegio: «Avete familiari con disabilità?». Alla loro domanda, poi, «perché un aggravamento?», risposi: «Perché ho compiuto 70 anni!». Poiché i componenti dell’insigne Collegio strabuzzavano gli occhi, io attaccai il tormentone del significato del caregiver, con i soliti argomenti. Ho impiegato un quarto d’ora di fine oratoria, ma l’aggravamento è stato riconosciuto, contro ogni previsione. Da allora la mia oratoria è divenuta ancora più fine e ancora più celere, ma racchiudere, e qui insisto, 15 minuti di argomentazioni in 50 secondi non sarà mai alla portata di nessuno.
I due citati Disegni di Legge Angioni e Bignami sono del 2015/2016, ma già nell’Anno del Signore 2000 l’onorevole Livia Turco ci aveva regalato la fondamentale Legge 328/00 (Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali), che all’articolo 16 (Valorizzazione e sostegno delle responsabilità familiari), diceva cose che sono state applicate in modo surreale: «Il ruolo dei familiari è sempre centrale», motivo per cui, di fronte ad esempio agli operatori dei Municipi o delle ASL, essi non vengono neppure convocati e, se convocati, non possono nemmeno intervenire e, se riescono ad intervenire, non sono neppure ascoltati…
Ma quando si è tra le mura familiari, allora le responsabilità (familiari) dispiegano tutte le loro implicazioni, senza se e senza uno straccio di sostegno pubblico. Non a caso, l’aspettativa di vita media di un caregiver è fino a 17 anni inferiore a quella che compete ai comuni mortali!
«La qualifica di caregiver familiare non può essere riconosciuta a più di un familiare per l’assistenza alla stessa persona», dice il comma 2 dell’articolo 2 del Disegno di Legge Bignami. E perché? Scherziamo? Si ha coscienza che, oltre alla disabilità medio-lieve e a quella medio-grave, c’è anche quella grave-grave? Credo che questa coscienza l’abbiano solo i familiari coinvolti.
Sento poi parlare di coperture finanziarie. Qui dimentichiamo la recente Sentenza della Corte Costituzionale 275/16, dove si afferma che «è la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l’equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione». Pochi, però, sembrano ricordarsene.
E ancora, l’Indice ADL (Activities of Daily Living, “Attivitàdella vita quotidiana”), previsto nell’Allegato A del Disegno di Legge Bignami, è semplicemente un obbrobrio. La varietà e peculiarità di ogni singola disabilità, infatti, non si lascia certo racchiudere e descrivere in uno schema da “Settimana Enigmistica”! Mi viene la solita domandina: avete per caso un disabile, anche piccolo piccolo, anche insignificante e trascurabile, anche “di terza categoria”, fra i vostri familiari?
In conclusione credo che la questione dei caregiver sarà degnamente risolta solo quando si addiverrà alla comprensione della necessità di fornire loro adeguato sostegno psicologico, assistenziale (“caregiver del caregiver”) ed economico (vil denaro).
Aiutatemi ad ammirare dal monte questa terra promessa, sarò felice anche di morire prima di poter entrare in essa.
Sono Sandro, genitore, settantaduenne, caregiver familiare, maschio (sembra siano rari i maschi, ma secondo me non è così).
*Il caregiver familiare è colei o colui che si prende cura, al di fuori di un contesto professionale e retribuito, di una persona, generalmente un familiare, assicurandole assistenza, supporto e sostegno necessari a causa dell’età, di una menomazione, di una patologia, in un quadro di assenza o carenza di servizi pubblici adeguati e sufficienti alla situazione.