Quest’anno la Legge 517/77, che ha posto fine all’epoca delle scuole speciali, compie 40 anni, la Legge Quadro 104/92 ne compie 25 e i CTS (Centri Territoriali di Supporto) ne compiono 10. Una coincidenza, forse, ma che invita a una riflessione, proprio in concomitanza con la recente approvazione delle Deleghe della Legge 107/15 (cosiddetta La Buona Scuola).
In particolare, lo Schema di Decreto per la promozione dell’inclusione scolastica (Atto del Governo n. 378), pur prevedendo nuove strutture territoriali che si interfaccino tra le scuole e le istituzioni centrali, in sostituzione degli Uffici Scolastici Provinciali, ignora completamente l’esistenza dei CTS. “Dimenticanza” o volontà politica?
Alla luce di tutto ciò, i CTS romani (degli Istituti Leonori, De Amicis e Baffi) hanno deciso ancora una volta di attivarsi e, nello spirito delle citate Leggi 517/77 e 104/92, in collaborazione con la FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), hanno organizzato il 9 marzo scorso il convegno nazionale Inclusione: conquiste, realizzazioni e prospettive, presso l’ITIS Galileo Galilei della Capitale [se ne legga nel nostro giornale anche l’ampia presentazione, N.d.R.].
All’evento hanno partecipato quasi tutti i CTS d’Italia, inviando un proprio rappresentante regionale o materiali e documentazioni per illustrare le migliori azioni realizzate in questi dieci anni. Estremamente ricchi, poi, sono stati gli interventi dei vari relatori, che hanno sollecitato l’interesse dei convenuti in quanto testimonianze di esperienze reali.
Ad aprire la giornata è stato il formatore Flavio Fogarolo, “firma” spesso presente anche su queste pagine, che ha ricordato innanzitutto come i CTS siano entrati in funzione nel 2007 a seguito del progetto ministeriale Nuove tecnologie e Disabilità del cui gruppo di elaborazione egli stesso aveva fatto parte. «L’idea si è sviluppata – ha spiegato – con la volontà di organizzare nel territorio una rete di competenze in grado di garantire a ciascun alunno con disabilità il reale accesso alle tecnologie che gli possano servire a scuola; non solo acquisto degli strumenti, quindi, ma vera fruibilità, con la diffusione di competenze tecniche e didattiche, l’accessibilità dei materiali, un supporto nei cambi di scuola e altro». «Dieci anni dopo – ha dichiarato – è una grossa soddisfazione vedere che i CTS funzionano ancora e che hanno certamente contribuito a migliorare, anche grazie alle tecnologie, l’inclusione degli alunni con disabilità in Italia. E tuttavia bisogna constatare che non tutti i risultati allora previsti sono stati purtroppo raggiunti. I CTS, infatti, hanno pagato in particolare lo scotto di un supporto troppo “altalenante” da parte del Ministero, la debolezza strutturale di un servizio che si basa quasi esclusivamente sul volontariato, la mancanza di strategia da parte di molti Uffici Scolastici Regionali, che non hanno nemmeno vigilato sull’effettiva copertura territoriale del servizio. Per questo, purtroppo, risulta ancora lontano l’obiettivo di garantire realmente a tutte le scuole il supporto necessario».
«Eppure – ha concluso Fogarolo – la strada di una reale condivisione delle competenze tra le scuole di un territorio rimane indispensabile per affrontare i tanti problemi, vecchi e nuovi, dell’inclusione scolastica, che mettono sempre più a dura prova le nostre scuole: non solo tecnologie specifiche, ma disturbi di comportamento, disturbi dello spettro autistico, disabilità complesse e altro ancora. Ritengo pertanto che una struttura di rete sia oggi sempre più indispensabile, per rompere l’isolamento ghettizzante delle singole scuola».
Successivamente, il dirigente scolastico Giuseppe Fusacchia ha esplorato con chiarezza una recentissima Nota Ministeriale, che ha delineato un nuovo scenario della governance territoriale. «In tale documento – ha dichiarato – vengono effettivamente riconosciuti gli importanti contributi offerti dall’esperienza dei CTS e dei CTI (Centri Territoriali per l’Inclusione), ma la prosecuzione di tale esperienza viene incardinata nella logica della Legge 107/15».
«Quella Nota del Ministero – ha proseguito – chiede agli Uffici Scolastici Regionali di individuare “Scuole Polo” per il PND (Piano Nazionale Scuola Digitale) e per il PNF (Piano Nazionale della Formazione). Tali scuole diventerebbero così, con ogni probabilità, i soggetti chiamati alla governance territoriale delle pratiche inclusive. Ma con quali leve? Quelle, presumibilmente, già assegnate ai CTS e ai CTI dai vari testi normativi succedutisi in questi dieci anni (informazione e formazione, ausili e comodato d’uso, tecnologie, consulenza, promozione di intese territoriali ecc.), ma soprattutto quelle previste ai commi 65, 68, 69, 70 e 71 dell’articolo 1 della Legge 107/15, in tema di attribuzione di risorse di organico “territoriale” per esigenze condivise a livello di reti di àmbito e di scopo».
«Ai CTS e ai CTI – ha concluso Fusacchia – si chiede, per sopravvivere, una spinta trasformatrice in direzione di una rappresentanza “istituzionale” autorevole e riconosciuta nel territorio a supporto delle scuole e di una loro evoluzione in senso inclusivo. Questo è anche l’unico presupposto che consentirà alle nuove Scuole Polo – e ai “nuovi” CTS e CTI – di affrontare la sfida più grande: l’accreditamento del “sistema scuola” all’interno della logica di integrazione dei servizi alla persona nel territorio, disegnate dalla Legge 328/00».
È stata poi la volta di Fabio Bocci, docente di Pedagogia Speciale all’Università Roma Tre), che con il suo intervento significativamente intitolato Quel che manca alla Legge Delega sull’inclusione e che era il cuore della Legge 517 e della Legge 104: la partecipazione, il dialogo, il consenso e il coraggio di immaginare una scuola veramente inclusiva, ha voluto porre l’attenzione sulla questione della formazione dei futuri insegnanti (specializzati e non).
«Qual era – si è chiesto – il cuore della Legge 517/77 rispetto all’avvio del processo di integrazione? Un nuovo modo di concepire la scuola e, di conseguenza, la funzione degli insegnanti. Un cambiamento da realizzarsi dal basso, in modo partecipato, che stenta oggi a emergere con evidenza nell’attuale Delega sull’inclusione la quale, per molti versi, rischia di segnare una fase di stallo, se non un vero e proprio passo indietro. Recuperare pertanto la spinta riformatrice dal basso è un’istanza da coltivare attraverso la discussione, il confronto, il dibattito pubblico, anche perché l’inclusione non è un prodotto esportabile già confezionato (e “normabile” solo dall’alto), ma un processo che per avere nutrimento ha bisogno dell’apporto di tutti, nessuno escluso».
Altra autorevole figura del settore, anch’egli spesso presente su queste pagine, Giancarlo Onger ha ricordato quindi che «per garantire la qualità del progetto di vita di tutti e di ciascuno, è necessaria un’azione sinergica tra le Istituzioni che si prendono cura di quelle persone che necessitano di particolari attenzioni». «E la scuola – ha aggiunto – dev’essere in prima linea, in quanto accoglie la persona fin dalla tenera età, ma non può essere lasciata sola. Con questa premessa, si potranno affrontare le problematiche relative all’interistituzionalità, anche in relazione a una legislazione ricca e, spesso, dimenticata. Se infatti la scuola ha il suo progetto educativo, l’ASL il suo progetto riabilitativo, la famiglia il suo progetto di vita, il volontario il suo progetto di coinvolgimento e l’associazione il suo progetto di supporto, che ne è del nostro bambino/ragazzo? Si può lasciare al caso il coordinamento di tutti questi interventi?».
A rivendicare a sé, con un certo orgoglio, la nascita dei CTS, è stato poi Raffaele Ciambrone, dirigente ministeriale, che ha ricordato come sia stato fondamentale per l’evoluzione del pensiero inclusivo, e ancora oggi lo sia, l’apporto e il contributo di tali strutture. «Per tale motivo – ha sottolineato – i CTS sono stati inseriti in diversi documenti del Ministero come riferimento per gli alunni con DSA (Disturbi Specifici di Apprendimento), e più in generale per gli alunni con BES (Bisogni Educativi Speciali), oltreché per le tematiche di supporto al cyberbullismo e al bullismo».
«Su 106 CTS – ha ricordato ancora – solo alcuni non hanno funzionato sul proprio territorio, mentre la maggior parte di essi ha realizzato e realizza azioni di valore. E del resto, il modello di supporto da insegnante ad insegnante è innovativo e vincente e viene studiato attualmente anche da altre nazioni. È dunque importante che tali Centri vengano finanziati con fondi strutturali e non a progetto».
Al convegno romano, in rappresentanza della FISH, Salvatore Nocera, impossibilitato a partecipare personalmente, ha tuttavia inviato un illuminante documento [lo si può leggere integralmente in altra parte del nostro giornale, N.d.R.], nel quale ripercorre il faticoso iter che la normativa italiana ha computo per affermare il diritto alla scolarizzazione nelle classi comuni di tutti i ragazzi, tramite normative necessarie, ma oggi datate.
Secondo Nocera, in estrema sintesi, la nuova prospettiva dev’essere quella di inquadrare dinamicamente, nei diversi contesti di vita, l’inclusione delle persone con disabilità, garantendo loro condizioni favorevoli. E gli strumenti per realizzare questo percorso dovrebbero essere proprio le reti dei CTS, con le loro competenze e i loro servizi. La sua proposta, quindi, è che sia i CTS che i CTI restino dislocati a livello provinciale, assorbendo le risorse umane e finanziarie previste per i GLIP (Gruppi di Lavoro Interistituzionali Provinciali) dall’articolo 15 della Legge 104/92, in quanto questi ultimi sono organismi ormai “in via di estinzione”.
Trattenuta all’estero da uno sciopero dei voli, Lucia De Anna dell’Università Foro Italico (Roma Quattro), ha voluto comunque – tramite i ricercatori che con lei collaborano, Alessandro Covelli e Marta Sánchez – testimoniare il proprio vissuto diretto di formatrice e protagonista del cambiamento avvenuto nella scuola sin dalla Riforma del 1973 e dai Decreti Delegati del 1974-75, che posero al centro dell’insegnamento-apprendimento lo sviluppo del bambino, tenendone presente il vissuto personale e sociale.
In un documento da lei redatto, De Anna afferma che «nell’accogliere le istanze di cambiamento sociale, la legge deve dare impulso alla realizzazione di pratiche inclusive in un processo complesso e sistemico, nel quale la memoria storica – attraverso la citazione di esperienze tra passato e presente – assuma un valore fondamentale e non perda di vista i valori e i princìpi alla base della co-costruzione di una cultura dell’integrazione. Un processo che, partendo dalla scuola, si estenda alla più ampia comunità sociale, in una società basata sulle pari opportunità per lo sviluppo di tutti e di ciascuno».
È intervenuta al convegno anche Patrizia Bertini, dirigente tecnico del Ministero, secondo la quale non vi sarebbe «alcuna intenzione di sopprimere i CTS». Dopo avere manifestato il proprio rammarico per non essere stata informata dell’evento organizzato dai CTS romani, Bertini ha affermato quindi che «sono ancora sul tavolo le Deleghe per l’inclusione e per la formazione iniziale» e che sarà sua cura «raccogliere le riflessioni estremamente interessanti di questa giornata e riportarle in sede». «Si dovrà tuttavia seguire – ha concluso – la nuova “geografia” che delinea la normativa, vale a dire gli Ambiti Territoriali, con i CTS che potranno diventare “Scuole Polo per l’inclusione”, punto di riferimento per tutto quello che era il territorio provinciale. Ma la scelta non sarà degli Uffici Regionali, bensì dovrà essere concertata tra le scuole dell’Ambito Territoriale».
Infine, la deputata Maria Marzano, lei stessa docente di sostegno, ha dichiarato di voler raccogliere tutte le riflessioni espresse e di farsene portavoce in Parlamento. «I CTS sul territorio devono essere valorizzati – ha affermato – e gli insegnanti devono essere ben formati, proprio come hanno fatto in questi anni gli stessi CTS».
Proprio il racconto di dieci anni di storia dei CTS è stato forse il momento più appassionante e stimolante della due giorni romana. Nei vari stand, infatti, ben trecento coordinatori di sostegno degli Istituti romani hanno potuto calarsi in un bagno di informazioni, innovazioni, progetti, buone prassi, ricerca, reti, monitoraggi, strategie, strumenti tutti rigorosamente attuati, tutti rigorosamente condivisi e condivisibili.
È certamente impossibile elencare in questo spazio la mole di lavoro prodotta dalle singole Regioni, tra le quali erano presenti la Valle d’Aosta, il Piemonte, la Liguria, la Lombardia, il Friuli Venezia Giulia, la Toscana, l’Emilia Romagna, il Lazio, l’Abruzzo, la Campania, la Basilicata, la Calabria e la Sicilia (altre non hanno potuto partecipare a causa dello sciopero dei trasporti).
Talmente tante sono state le azioni significative, che qui ci si può limitare soltanto a un breve cenno, spaziante dalla consulenza al comodato d’uso, dalla formazione alla sperimentazione. Numerosi i progetti d’avanguardia: l’integrazione della LIM (Lavagna Interattiva Multimediale) con il riconoscimento vocale; So.Di.Linux (Software Didattico per Linux) e il software libero nella didattica inclusiva; l’esperienza dei Webinar; gli Sportelli sull’Autismo; la creazione e la promozione di comunità di apprendimento; l’allestimento di strumenti per la scuola secondaria rivolti agli studenti con DSA (Disturbi Specifici di Apprendimento) e rispetto alla prevenzione di bullismo e cyberbullismo; il vocabolario multimediale per le disabilità linguistiche; il prototipo del primo dizionario multimediale bilingue LIS e LIS-Italiano; le corpose formazioni degli operatori dei CTS in collegamento con progetti di sperimentazione e di ricerca-azione sugli strumenti: la CAA (Comunicazione Aumentativa e Alternativa); il libero utilizzo del tablet e dei netbook come strumenti di comunicazione; i MOOC (Massive Open Online Course); l’originale piattaforma per la formazione sull’autismo; il primo libro in letteratura di autobiografie professionali sull’inclusione, dove vengono raccontate storie di alcuni operatori dei CTS, inventori e innovatori.
È incredibile come tanti insegnanti siano riusciti a produrre tutto ciò e ci si chiede se esista in Italia un’altra esperienza così feconda. Ma com’è possibile, allora, che i Centri Territoriali di Supporto non siano stati inclusi nella Legge Delega, come richiesto nella nota Proposta di Legge n. 2444, promossa dalle Federazioni FISH e FAND (Federazione tra le Associazioni Nazionali di Persone con Disabilità) e da altre Associazioni? Sembra infatti che il Ministero abbia un tesoro nelle mani e non ne sia consapevole. Deficit di attenzione? Disturbo di memoria? Disturbo specifico di organizzazione? O, peggio ancora, tutti e tre insieme?
In realtà, i CTS devono essere valorizzati a vari livelli:
° a livello di ambito territoriale, come Scuola Polo per l’inclusione e interfaccia con tutte le scuole dell’Ambito Territoriale e con il GIT (Gruppo perl’Inclusione Territoriale);
° a livello sovra-ambito (o provinciale, come auspicato da Salvator Nocera), nell’ottica delle reti di scopo, come scuola coordinatrice delle Scuole Polo dei vari Ambiti della Provincia, mantenendo la funzione di riferimento tecnologico e di sportello sulle disabilità più complesse;
° a livello regionale in rete (sempre di scopo) tra loro, come interfaccia tra le Scuole Polo e l’Ufficio Scolastico Regionale;
° a livello nazionale, per costituire una rete che insieme all’Ufficio Scolastico Regionale si interfacci con il Ministero e con l’Osservatorio Ministeriale per l’Inclusione, allo scopo di arrivare finalmente a ciò che è mancato finora: una visione olistica. I CTS, infatti, essendo radicati strategicamente sul territorio e ben collegati con le Associazioni e le risorse sul territorio, possono essere l’architrave solido su cui poggiare le azioni inclusive e il monitoraggio inclusivo. Solo così, ragionando in un’ottica sistemica, sarà finalmente possibile un vero accompagnamento nel percorso di inclusione di tutti gli istituti, di tutti i docenti e di tutti i ragazzi in qualunque zona del nostro Paese.
Stringenti e chiare, quindi, sono le richieste degli operatori dei CTS, riassumibili in cinque punti fondamentali:
1. Che la nuova organizzazione delle Reti di Ambito per l’Inclusione consideri prioritariamente le esigenze del territorio e le competenze e le risorse esistenti, in particolare quelle dei CTS e dei CTI, puntando alla copertura effettiva di tutto il territorio.
2. Che siano attivate localmente anche Reti di Scopo di Inter-Ambito, coordinate dai CTS, per gestire aspetti complessi dell’inclusione.
3. Che siano garantite ai CTS risorse adeguate e costanti, sia in termini di personale che di finanziamento.
4. Che la gestione dei CTS sia affidata a dirigenti motivati ed esperti.
5. Che venga attuato un serio monitoraggio, così come previsto nel progetto originale elaborato da Flavio Fogarolo. Un monitoraggio, invece, che vi è stato solo nel primo periodo dell’esistenza dei CTS, e successivamente trascurato, ma che è certamente indispensabile per individuare prima di tutto quei pochi CTS che stentano a funzionare e per supportarli magari con un “gemellaggio”. Un serio monitoraggio che, allo stesso tempo, possa aiutare tutti a crescere, migliorare e non essere autoreferenziali. Ed esso, naturalmente, dovrà comprendere anche le azioni del Ministero e degli Uffici Scolastici Regionali, perché è tutto il sistema a dover essere monitorato, per non permettere a nessuno di disattendere alle proprie responsabilità.
Per ulteriori informazioni e approfondimenti: Nicola Striano (nicstriano56@gmail.com).