Com’è ben noto, il 25 marzo scorso, a Roma, si è celebrato il sessantesimo anniversario della firma dei Trattati che nel 1957 diedero vita all’attuale Unione Europea e si è trattato anche di un momento unico di incontro e riflessione per tutti i movimenti italiani e le associazioni di e per persone con disabilità, per “guardare” fuori dai confini di casa nostra.
Sono tra i 50 e gli 80 milioni i cittadini europei con disabilità, pari più o meno al 10% dell’intera popolazione continentale, con seri problemi di inclusione sociale, come spesso segnala l’EDF, il Forum Europeo sulla Disabilità che da oltre due decenni è in prima linea nella lotta per la tutela dei diritti delle persone con disabilità.
Il primo ostacolo da abbattere è quello culturale, spingendo cioè la società civile europea a volgere lo sguardo oltre il proprio cortile, oltre l’indifferenza che “acceca” la solidarietà, verso nuovi orizzonti di umanità. Un messaggio, questo, che proprio in occasione dell’importantissima ricorrenza di domani, le organizzazioni di e per le persone con disabilità vogliono lanciare, chiedendo un confronto diretto col mondo politico del nostro Paese e con le Istituzioni europee, che devono rimettere la persona umana al centro della scena.
Infatti, una nuova” alba” potrà sorgere, una “rivoluzione copernicana” potrà compiersi solo in uno Stato e in un continente civile, che facciano dei più deboli i protagonisti della collettività. Ma questo sarà un percorso possibile, solo rovesciando la scala dei valori, che nell’epoca contemporanea – anche nella nostra Italia e nella nostra Europa Unita – vedono al primo posto la “globalizzazione selvaggia” e la “santificazione del denaro”.
Chi scrive vuole sottolineare come il sessantesimo anniversario della firma dei Trattati di Roma cada, non a caso, nel 2017, un anno “straordinario”, a dieci anni dall’apertura – il 30 marzo 2007 – alla sottoscrizione della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità e in cui si celebra il ventennale del Trattato di Amsterdam, con cui sono state gettate le basi per una politica europea unitaria contro la disparità.
È proprio questo, dunque, il momento di attuare azioni concrete all’interno dell’Unione Europea. A tal proposito, il suddetto Forum Europeo sulla Disabilità, il cui obiettivo sostanziale è quella di assicurare ai cittadini con disabilità un pieno accesso ai diritti umani fondamentali, sta lavorando alacremente – e continuerà a farlo – con le principali Istituzioni europee, per il raggiungimento di alcuni prioritari obiettivi strategici.
Tra essi, basterà citare quello di garantire la concreta attuazione a livello europeo della Convenzione ONU – che l’Unione ha ratificato sin dal 23 dicembre 2010 – e di procedere alla revisione della Strategia dell’Unione Europea sulla Disabilità 2010-2020, nonché all’adozione della Legge Europea sull’Accessibilità e della Direttiva Generale Antidiscriminazione.
La Convenzione ONU è sicuramente, anche per l’Unione Europea, tra le conquiste più avanzate degli ultimi anni, rappresentando un rilevantissimo strumento internazionale vincolante per tutti gli Stati che l’abbiano ratificata, un cambiamento culturale e legislativo di approccio alla disabilità, vista non più come un problema di salute, ma come una questione di diritti umani.
E tuttavia, è sotto gli occhi di tutti il clima di estrema incertezza e precarietà che respiriamo quotidianamente in Europa e nel nostro Paese, nelle nostre case, nei luoghi di lavoro, a scuola e per le strade. Siamo un “Paese malato in un’Europa incerta”: dal 2008 respiriamo l’aria della recessione economica o quanto meno della stagnazione. Da anni il nostro welfare è fortemente condizionato dalle regole del Patto di Stabilità sottoscritto con l’Unione Europea e ci si indigna quando la Commissione minaccia di irrogare le previste sanzioni. Siamo i fanalini di coda di un continente che non crede più in se stesso. Un continente che ha smarrito la strada e non è più in grado di garantire quel modello sociale che aveva saputo coniugare armonicamente lo sviluppo economico e la giustizia sociale.
L’Europa dell’euro e dell’allargamento a 28 Stati partner sembra soffrire di una sorta di “sindrome della Torre di Babele”. Vittima delle furbizie e degli egoismi nazionalistici e degli ormai frequenti attentati terroristici, appare essere incapace di elevarsi alla dimensione di una sintesi che esprima un pensiero forte in grado di animare le sue Istituzioni.
Di fronte allo “tsunami” della competizione aggressiva degli Stati Uniti e dei Paesi asiatici, l’Europa si è fatta trovare impreparata, non ha costruito uno scudo protettivo. Una cosa però l’ha fatta: ha abbandonato i valori della solidarietà, della giustizia sociale e delle pari opportunità, tipici della civiltà mediterranea che l’hanno sempre ispirata, rinunciando allo Stato Sociale e condannando le persone più fragili e con disabilità a una condizione di emarginazione e discriminazione.
Eppure, a parere di chi scrive, ci sono tutti i margini perché l’Italia e l’Europa possano guarire da questa seria “malattia”, riscoprendo le loro radici e la loro identità e trovando in esse nuova linfa, per una nuova partenza e un diverso approdo.
In àmbito di disabilità, la ricetta migliore per questo nuovo “slancio” europeo è quella di un’azione di sistema e di una stretta sinergia operativa tra l’Unione Europea e il Forum Europeo della Disabilità, all’insegna di una visione strategica congiunta, che possa migliorare la qualità di vita dei cittadini europei con disabilità, contribuendo a una concreta attuazione della Convenzione ONU sui loro diritti.
Infatti, solo il rispetto generalizzato della Convenzione da parte di tutti gli Stati Membri dell’Unione potrà finalmente promuovere la creazione di una rete europea di attori e soggetti – istituzionali e non – capace di garantire la costruzione di un progetto di vita realmente indipendente di tutte le persone con disabilità, assicurando loro l’autodeterminazione, la piena partecipazione e la cittadinanza attiva.
«Le persone disabili chiedono pari opportunità e non beneficenza» e «Non discriminazione + azione positiva = integrazione sociale»: sono questi i due principali slogan della Dichiarazione di Madrid, redatta nel 2003, in occasione del Congresso Europeo sulla Disabilità, sulla quale si fondano gli stessi princìpi della Convenzione ONU del 2006.
È proprio grazie a tali fondamentali documenti – oltre al citato Trattato di Amsterdam del 1997 – che l’Unione Europea, al pari di tante altre regioni nel mondo, ha fatto molti passi in avanti negli ultimi decenni, evolvendo da una filosofia paternalistica, nei confronti delle persone con disabilità, ad un approccio che, invece, permette loro di prendere le proprie decisioni.
Il vecchio atteggiamento – basato in gran parte sulla “compassione” nei confronti delle persone con disabilità, per la loro mancanza di autonomia e di difesa – è oggi considerato inaccettabile. La situazione si sta evolvendo, dall’obiettivo di riabilitare l’individuo – così da inserirlo nella società -, verso una concezione universale mirata a modificare la società stessa, al fine di adattarla alle necessità di ognuno, ivi comprese le persone con disabilità. Mettere in pratica queste strategie porterà beneficio non solo a queste ultime, ma a tutta la società europea nel suo insieme. Infatti, una società che esclude parte dei suoi membri, è una società impoverita.
Il mio forte auspicio, pertanto, è che le azioni volte a migliorare le condizioni delle persone con disabilità possano portare una volta per tutte alla creazione di un Europa “davvero” unita e di un mondo flessibile e inclusivo per tutti.