La definitiva presa d’atto del Governo Gentiloni delle condizioni di povertà diffuse nel Paese con l’inserimento del reddito di inclusione dovrebbe essere accolta con grande benevolenza. L’argomento riguarda assai da vicino anche la disabilità che, come molti sanno, rappresenta un terribile moltiplicatore di povertà per un nucleo familiare.
In tale mutato contesto, riprendere o forse affrontare con lealtà il tema della compartecipazione alle prestazioni sociosanitarie dovrebbe rappresentare una priorità per i nostri eletti.
Un’invisibile ma non per questo meno drammatica condizione riguarda infatti le famiglie che scelgono di rinunciare alle prestazioni sociali e/o sanitarie, perché impossibilitate a pagare le quote di compartecipazione.
Anche qui l’Italia si mostra come un Paese a più facce, con livelli di esenzione dalla compartecipazione che oscillano per le Regioni del Sud a poche migliaia di euro all’anno, fino alle ricche Regioni del Nord che possono garantire servizi a partire da redditi ISEE che superano i 20.000 euro.
Come in un girone dell’Inferno di Dante, la pena per un disabile meridionale è doppia in termini di carenza di servizi e di costi che devono essere sostenuti per poterne usufruire.
È incredibile, ma accade tutti i giorni. Si tratta di un numero crescente di famiglie che rinunciano all’assistenza domiciliare e alla frequenza presso strutture semiresidenziali e residenziali, perché “dall’alto” di un reddito ISEE di poche migliaia di euro all’anno, si trovano impossibilitate a pagare i servizi offerti. Di queste famiglie una politica troppo distratta nel leggere i bisogni o palesemente in malafede nel nascondere la fuga dalle prestazioni non si occupa.
Non ci si preoccupa di capire – eppure lo comprenderebbe chiunque – che se si esigono 7, 8, 15 euro a prestazione al giorno, perché «la Legge lo prevede», una delle possibili conseguenze in contesti deprivati è rappresentata dal crollo della domanda.
Esempi possono ritrovarsi agevolmente rivolgendosi ai servizi competenti degli Enti Locali o alle Agenzie Sociali fornitrici di tali servizi, che potranno confermare, ad esempio a Napoli, il crollo del 30% delle prestazioni erogate negli ultimi anni.
Prestazioni e servizi che, interessando persone con disabili e non “furbetti” o delinquenti, sarebbero da ritenersi indispensabili. Un esempio di immediata e macroscopica evidenza è rappresentato dalla trasformazione della gratuità in compartecipazione alle spese del trasporto scolastico per gli alunni con disabilità delle scuole superiori a Napoli. Dai dati in nostro possesso, si conterebbero sulle dita di una sola mano (due o tre) le famiglie che hanno scelto di contribuire alle spese per il trasporto. Gli altri utenti appaiono sciolti, come neve al sole, per la gioia dell’amministratore e del funzionario di turno, non più alle prese con liste d’attesa interminabili.
A qualcuno degli Amministratori Locali e Regionali interessano questi argomenti? Qualcuno dei rappresentanti politici nazionali è disponibile a ri-considerare gli effetti collaterali drammatici che la compartecipazione ai servizi determina in contesti come il nostro?
Un modo per affrontare il problema esisterebbe, sarebbe bastato aumentare il Fondo della Non Autosufficienza, come il Governo precedente si era impegnato a fare. ma è noto che in politica, come nella vita, basta un soffio di vento per cambiare idea.
Presidente dell’Associazione Tutti a Scuola di Napoli. Le presenti riflessioni sono già apparse sulla testata «Corriere del Mezzogiorno», con il titolo “Disabili. Famiglie costrette ai rinunciare ai servizi” e vengono qui riprese, con minimi riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.
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