Con la Sentenza n. 2023 del 23 marzo scorso, il Consiglio di Stato ha confermato un precedente provvedimento del Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) della Toscana – riferito al caso sollevato dalla madre di un minore con disabilità, supportata dall’Associazione Autismo Pisa – tramite il quale era stato annullato il provvedimento dell’Amministrazione Scolastica che aveva assegnato un numero di ore di sostegno inferiore a quelle proposte dal GLHO (Gruppo di Lavoro Handicap Operativo) nel PEI (Piano Educativo Individualizzato).
Dal canto suo, l’Amministrazione aveva proposto appello, sostenendo che la competenza fosse del Tribunale Civile, dal momento che, a suo avviso, il ricorso denunciava una discriminazione la quale per legge è oggetto di giurisdizione dei Tribunali Civili. Il Consiglio di Stato ha disatteso invece tale posizione, sostenendo che eventualmente la discriminazione può essere invocata solo dalla parte discriminata per sua difesa e non dall’Amministrazione “discriminante”, per sottrarsi al giudizio sfavorevole del TAR.
La Sentenza del Consiglio di Stato è stata molto celebrata dagli organi d’informazione, per avere evidenziato il principio secondo il quale il diritto allo studio degli alunni con disabilità (sostanzialmente concentrandosi nel numero di ore di sostegno), non può essere ridotto o annullato per motivi di tagli alla spesa pubblica, che è causa quasi unica di riduzione del numero di quelle ore.
In realtà questo aspetto, assai importante, non costituisce la novità della Sentenza, poiché esso è stato già affermato e ribadito dalla Corte Costituzionale, almeno nelle ultime due Sentenze in proposito, vale a dire la n. 80/10 sull’incostituzionalità delle norme legislative che legittimano la riduzione delle ore di sostegno con i vincoli di bilancio e la n. 275/16, che ha dichiarato incostituzionali le norme legislative che consentono la riduzione del numero di ore di assistenza per l’autonomia e la comunicazione a scuola degli alunni con disabilità, con la stessa motivazione dei vincoli di bilancio degli Enti Locali.
La Sentenza del 23 marzo scorso evidenzia sì questi aspetti, ma, a mio avviso, la sua importanza sta nella ricostruzione storica puntuale e rigorosissima della normativa sull’inclusione scolastica in Italia e sull’interpretazione del procedimento amministrativo che il Consiglio di Stato ricostruisce attraverso le norme, evidenziandone numerosi aspetti pratici. Essi sono esattamente: la determinazione della sede giurisdizionale in cui radicare il processo (Tribunale Civile o TAR); l’individuazione di competenze e responsabilità da imputare ai diversi Organi Amministrativi che intervengono nell’assegnazione delle ore.
Sotto il primo profilo, il provvedimento ricostruisce l’iter procedimentale a partire dall’individuazione dell’alunno con disabilità, passando per la formulazione della Diagnosi Funzionale, del Profilo Dinamico Funzionale e del Piano Educativo Individualizzato da parte del GLHO. Questa fase preliminare si conclude con l’indicazione da parte del GLHO stesso della “proposta” del numero di ore di sostegno nel PEI dei singoli alunni, ai sensi della Legge 122/10 (articolo 10, comma 5).
La ricostruzione di questa fase è determinante ai fini dell’individuazione dell’organo giudicante in caso di ricorsi, che il Consiglio di Stato individua nei TAR, dal momento che la “proposta” del numero di ore contenuta nei singoli PEI dai GLHO è vincolante per l’Amministrazione; qualora essa se ne discosti, compie un atto discrezionalmente illegittimo, che va quindi censurato di fronte ai TAR, in forza della competenza esclusiva ad essi affidata dal nuovo Codice di Procedura Amministrativa (paragrafi dal 34 al 40 della Sentenza 2023/17).
Questo orientamento del Consiglio di Stato sembra porre fine, almeno per il momento, alla dibattuta questione se rivolgersi al TAR o al Tribunale Civile per chiedere l’aumento delle ore di sostegno.
Si ha quindi la seconda fase del procedimento, svolta tutta da Organi Amministrativi, con una normativa che il Consiglio di Stato dichiara essere molto scoordinata e incoerente con la normativa della prima fase, in quanto questa si fonda sui bisogni del singolo alunno, mentre quella amministrativa si fonda su dati statistici ed economici sulla formulazione degli organici per il sostegno.
La seconda fase consiste sostanzialmente nell’invio da parte del Dirigente Scolastico all’Ufficio Scolastico Provinciale della richiesta complessiva di ore di sostegno, sulla base delle “proposte” dei GLHO dei singoli alunni; segue la trasmissione all’Ufficio Scolastico Regionale delle richieste, accompagnate dal parere dell’Ufficio Scolastico Provinciale e quindi la formulazione, da parte dell’Ufficio Scolastico Regionale, dell’organico di diritto del sostegno, sulla base delle disponibilità di organico trasmesse dal Ministero, che è fortemente condizionato dalle decisioni di bilancio fissate dal Ministero dell’Economia e Finanza. Conseguentemente l’Ufficio Scolastico Regionale è spesso costretto a ridurre le ore richieste, inviando alle singole scuole solo quelle consentite dai vincoli di bilancio.
L’atto definitivo di assegnazione delle ore di sostegno ai singoli alunni viene infine effettuato dal Dirigente Scolastico, che quasi sempre deve ridurre il numero di ore assegnate ai singoli alunni rispetto a quelle proposte dal GLHO o, qualora dia la precedenza ai casi di maggiori gravità, deve notevolmente ridimensionare il numero di ore da assegnare ai casi meno gravi.
E qui la Sentenza del Consiglio di Stato introduce un aspetto assai interessante e cioè che il Dirigente Scolastico – se vuole essere esente da responsabilità in caso di ricorsi vittoriosi per i tagli al numero di ore di sostegno – deve inviare immediatamente una relazione all’Ufficio Scolastico Regionale, rappresentando l’illegittima riduzione del numero di ore richieste motivata dai vincoli di bilancio e quindi segnalare questa illegittimità anche alla Corte dei Conti.
L’ampia motivazione da parte del Consiglio di Stato del rigetto dell’appello proposto dall’Amministrazione Scolastica evidenzia vari aspetti significativi che riteniamo opportuno citare testualmente qui di seguito:
«L’attività degli insegnanti di sostegno comporta evidenti vantaggi non solo per i disabili, in un quadro costituzionale che impone alle Istituzioni di favorire lo sviluppo della personalità, ma anche per le famiglie e per la società nel suo complesso. Infatti, l’inserimento e l’integrazione nella scuola – con l’ausilio dall’insegnante di sostegno – anzitutto evitano la segregazione, la solitudine, l’isolamento, nonché i patimenti e i pesi che ne derivano, in termini umani ed economici potenzialmente insostenibili per le famiglie. L’inserimento e l’integrazione nella scuola rivestono poi fondamentale importanza anche per la società nel suo complesso, perché rendono possibili il recupero e la socializzazione. Ciò in prospettiva consente ai disabili di dare anche il loro contributo alla società» (paragrafo 27.1).
Successivamente: «I principi costituzionali sopra richiamati impongono di dare una lettura sistematica alle disposizioni sulla tutela degli alunni disabili e a quelle sulla organizzazione scolastica e sulle disponibilità degli insegnanti di sostegno, nel senso che le posizioni degli alunni disabili devono prevalere sulle esigenze di natura finanziaria» (paragrafo 27.2).
E ancora: «Poiché nessuna disposizione ha attribuito agli Uffici scolastici il potere di sottoporre a un riesame di merito quanto proposto dal G.L.H.O., l’art. 4. del D.P.C.M. n. 185 del 2006, che definisce “autorizzazione” l’atto del dirigente preposto dell’Ufficio scolastico regionale, va allora interpretato nel senso di prevedere un atto meramente ricognitivo, il quale constata che sussistono i relativi presupposti di spesa, senza poterli modificare, e giustifica l’impegno e il pagamento delle relative somme» (paragrafo 30.6).
Quindi: «Alla Sezione non sfugge nemmeno che nei fatti – come risulta chiaramente dalla stessa esistenza del contenzioso seriale posto all’esame dei TAR e del Consiglio di Stato, per i casi di attribuzione di ore in numero inferiore a quelle indicate nelle “proposte” – solo i genitori che propongano il ricorso giurisdizionale, e ne abbiano i mezzi anche economici per farlo, possano ottenere una pronuncia che ordini all’Amministrazione scolastica di consentire la fruizione delle ore nel numero determinato dal G.L.H.O., mentre lo stesso non avviene per i genitori che di tali mezzi siano privi. Non è però questo il sistema desumibile dai principi costituzionali e dalle leggi che, prima e dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 80 del 2010, hanno attribuito agli alunni disabili il diritto di ottenere le ore di sostegno, come determinate dal G.L.O.H. Infatti, gli Uffici scolastici (così come il dirigente scolastico ed il Ministero dell’economia e delle finanze) non possono sindacare le risultanze delle «proposte» e devono fare in modo che le ore di sostegno siano attribuite a tutti i disabili, già col ‘primo atto’ del dirigente scolastico e nei tempi fissati, assegnando “in deroga” gli insegnanti di sostegno quando ciò occorra per “coprire” le ore determinate nelle “proposte”. In altri termini, il sistema deve far sì che gli alunni e le loro famiglie non debbano proporre ricorsi giurisdizionali per ottenere ciò che è loro dovuto» (paragrafo 33).
E infine: «La domanda di risarcimento del danno – a parte le consuete indagini sulla sussistenza di ogni altro elemento costitutivo dell’illecito – deve essere basata sulla specifica prova di quali siano state in concreto sull’alunno le conseguenze pregiudizievoli cagionate dall’illegittimità degli atti della Amministrazione scolastica. Quanto al danno patrimoniale, vanno considerate risarcibili, ove provate, le voci di danno consistenti alle somme che la famiglia del disabile abbia dovuto pagare per lo svolgimento di attività educative all’esterno della scuola, sostitutive di quelle che si sarebbero dovute effettuare sulla base del P.E.I. e che non siano state effettuate. Quanto al danno non patrimoniale, va constatato che sono coinvolti “diritti costituzionali fondamentali” (cfr. Corte Costituzionale, n. 406 del 1992; n. 80 del 2010). Pertanto, in base ai principi generali: – il danno morale e quello biologico sono risarcibili quando risulti la commissione di un reato nei confronti dell’alunno disabile, ovvero il nesso causale tra l’atto illegittimo dell’Amministrazione e l’insorgenza di una menomazione ulteriore, permanente o temporanea dell’integrità psicofisica dell’alunno disabile, suscettibile di valutazione medico-legale; – il danno alla vita di relazione (“esistenziale”) è risarcibile quando risulti che la mancata fruizione delle spettanti ore di sostegno abbia comportato regressioni o abbia reso irrealizzabile il “progetto di vita” delineato dal P.E.I. (come definito dalle citate “Linee guida per l’integrazione scolastica degli alunni con disabilità”, redatte dal Ministero dell’istruzione in data 4 agosto 2009), che in materia rileva quale parametro di riferimento, specifico dei principi enunciati da Cass., Sez. III. 20 aprile 2016, n. 7766» (paragrafo 39.3).
Come si accennava in precedenza, questa Sentenza può considerarsi un vero e proprio trattato sulla normativa relativa all’inclusione scolastica. Essa è apprezzabile, dal momento che gli estensori hanno lavorato pur non avendo sotto mano le memorie degli appellati che non si sono costituiti, probabilmente confidando nella giustezza delle proprie tesi esposte nell’atto di ricorso e fatte proprie dalla Sentenza del TAR Toscana.
È solo da osservare che la decisione – anche se condizionata dall’atto di ricorso – è fondamentalmente incentrata sull’importanza del numero di ore di sostegno, quasi come fossero l’unica risorsa dell’inclusione scolastica. Certo, non si poteva pretendere da un atto giurisdizionale che si scendesse in sottili analisi psicopedagogiche e didattiche sull’importanza della presa in carico del progetto inclusivo da parte dei docenti curricolari, “sostenuti” dai colleghi specializzati, ma in ogni caso, questo eccessivo enfatizzare l’importanza del numero di ore di sostegno, indipendentemente dalla loro qualità e dalla fase del ciclo scolastico in cui esse debbono intervenire, può fuorviare l’interprete nel valutare in modo disarmonico tutti i “sostegni” che l’alunno dovrebbe ricevere nell’àmbito del contesto scolastico ed extrascolastico nel quale si trova ad operare, che comprende “barriere” e “facilitazioni” secondo i principi dell’ICF (la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute, fissata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità), recepiti dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, ratificata dall’Italia con la Legge 18/09, di cui si fa cenno nella stessa Sentenza.
Sarà da vedere quanto i princìpi qui esplicitati saranno applicabili anche alla nuova normativa inclusiva contenuta nei Decreti Delegati applicativi della Legge 107/15 (cosiddetta La Buona Scuola). Comunque il principio dell’inviolabilità del diritto allo studio rispetto a motivi di bilancio, sancito anche dalle già citate Sentenze della Corte Costituzionale, sopravvivrà a qualunque cambiamento normativo. Quelli relativi all’interessantissima ricostruzione del procedimento inclusivo descritto dalla presente Sentenza potrebbero avere delle modifiche a seguito dei nuovi Decreti Delegati. E in ogni caso si tratta di un provvedimento che – soprattutto per gli aspetti di interpretazione del procedimento amministrativo di inclusione – mette chiarezza in una normativa legislativa ed amministrativa assai disorganica, come denunciato nella Sentenza stessa.