Con una votazione fatta alla presenza di metà dei Dirigenti in un giorno e dell’altra metà in quello successivo, senza alcun dibattito (perché a detta di chi coordinava era sufficiente quello fatto più di due mesi fa), in assenza inoltre di un buon numero di Dirigenti (tanto che si era deciso di rinviare la votazione), e tenendo conto solo del criterio dell’alto numero di alunni con disabilità iscritti e frequentanti l’Istituto (ma non c’è una normativa che impedisce l’inserimento in una stessa classe di più di due ragazzi con certificazione, per evitare le cosiddette “classi pollaio”?), nell’Ambito 1 della Città di Roma è stato votato l’Istituto Vincenzo Gioberti come Scuola Polo per l’Inclusione.
Nulla da rimproverare all’Istituto Alberghiero Gioberti, che ha sicuramente i suoi “meriti” per accogliere un così alto numero di alunni con certificazione di disabilità (circa cento), ma nello stesso Ambito, tra gli altri Istituti, c’è anche l’IPSSS Edmondo De Amicis (Servizi Socio Sanitari), sede di uno dei CTS (Centri Territoriali di Supporto) più attivi e propositivi a livello nazionale, fulcro di innumerevoli reti locali e nazionali, riferimento per tutti i 107 CTS italiani, sede di Sportelli per l’Autismo, per le minorazioni sensoriali, promotore di ricerca, formazione, progetti in rete, che a sua volta accoglie nei vari percorsi 30 alunni con disabilità, di diverse tipologie.
Anche il De Amicis si era proposto come Scuola Polo, ma non è stato scelto. Come è potuto succedere, viste le indicazioni del Ministero dell’Istruzione che, con la Nota Ministeriale n. 370 del 7 marzo scorso e la conseguente Circolare dell’Ufficio Scolastico Regionale del Lazio, aveva invitato i Dirigenti a tenere conto delle pregresse e valide esperienze maturate dai CTS per l’individuazione delle Scuole Polo per l’Inclusione? Come è stato possibile, visto il curriculum del De Amicis e la sua nota azione a livello provinciale, oltre all’esperienza consolidata e testimoniata degli operatori del CTS presente in tale Istituto e alla loro formazione altamente qualificata?
Ma facciamo un passo indietro.
Sono ormai più di dieci anni che i CTS sono stati istituiti. Nell’avviarli il Ministero ha investito soldi (milioni di euro, nel corso degli anni) e prassi innovative. Nel 2006, infatti, l’azione del Progetto Nazionale Nuove Tecnologie e Disabilità aveva previsto un vero supporto alle scuole italiane di esperti capaci di aiutare la scuola nel difficile percorso verso l’uso consapevole delle nuove tecnologie e l’inclusione. Inoltre, sempre attraverso i CTS, il Ministero ha attivato 106 “Sportelli Autismo” in tutto il territorio nazionale e promosso la formazione per i docenti sui disturbi dello spettro autistico.
E ancora, quei Centri si occupano anche di contrasto, prevenzione e formazione, su tutto il territorio nazionale, riguardanti i fenomeni del bullismo e del cyberbullismo. Costituiscono in sostanza l’unica rete di scuole per l’inclusione a livello nazionale e, quindi, danno la possibilità di connettere e far conoscere le diverse e composite realtà territoriale del nostro Paese. La rete dei CTS, infatti, è collegata alle Associazioni impegnate sulle disabilità e alle strutture territoriali storiche, oltreché ai centri specializzati nati dagli ex Istituti Speciali. In molte zone sono le uniche agenzie che raccordano la scuola e la disabilità in termini di aggiornamento, affiancamento e reale inclusione. Hanno formato gratuitamente circa 100.000 docenti. Sono costituiti da insegnanti scelti per la loro alta motivazione e la loro attitudine. Gli operatori, sin dall’inizio, sono stati formati con stage residenziali, attraverso un percorso condiviso che ha abbracciato tutte le realtà del territorio nazionale e, nel corso degli anni, hanno continuato a formarsi in servizio. Non va mai dimenticato, inoltre, che i CTS hanno promosso l’uso del software libero per l’inclusione degli alunni con BES (Bisogni Educativi Speciali), consentendo un grande risparmio alle famiglie e lo Stato.
Si parla quindi di organismi che in dieci anni hanno accumulato esperienze uniche e conoscenza del territorio e delle necessità correlate, svolgendo consulenza e informazione su tutto il territorio nazionale, funzione che fino al momento della loro nascita non esisteva. Sono diventati, insomma, un punto di riferimento per le scuole, le associazioni e le famiglie.
In tal senso, le maggiori Associazioni impegnate sulla disabilità ne apprezzano il lavoro e ne chiedono un potenziamento. I Centri, del resto, erano stati previsti sia dal Decreto Ministeriale del 12 luglio 2011 (articolo 8), sia nelle Linee Guida per il Diritto allo Studio degli Alunni e degli Studenti con Disturbi Specifici di Apprendimento, emanate in applicazione della Legge 170/10 ed erano stati indicati nella Direttiva Ministeriale del 27 dicembre 2012 (Strumenti d’intervento per alunni con Bisogni Educativi Speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica), come «organizzazione territoriale per l’ottimale realizzazione dell’inclusione scolastica».
Il loro potenziamento è auspicato da molti, perché sono organismi efficaci e radicati nella realtà scolastica e nel territorio; inoltre, un eventuale finanziamento (e magari personale distaccato e con semiesonero) verrebbe a costare molto meno di qualsiasi nuova struttura da costruire e formare e offrirebbe l’effettiva possibilità di svolgere i compiti loro indicati e assegnati dalle diverse norme. Si può dire infatti che questi Centri siano uno dei pochissimi progetti attivati dal Ministero dimostratosi come un solido investimento e che – contrariamente all’iter dei progetti finanziati dal Ministero, dissoltisi in poco tempo – abbia preso piede e si sia sviluppato, continuando a produrre frutti nel corso degli anni.
Ma cosa succede ora? Che con la Legge 107/15 (cosiddetta La Buona Scuola) e il relativo Decreto Applicativo sull’inclusione (66/17), si corre il rischio di far morire questa rete territoriale, che è attiva, e, nel migliore dei casi, di ripartire da zero attraverso l’attribuzione di competenze e fondi alle nuove “creature”: i GIT (Gruppi per l’Inclusione Territoriale) e le Scuole Polo. Dei CTS nessuna traccia!
La nuova normativa, infatti, semplicemente li ignora, forse perché i compilatori della Legge non ne conoscono proprio l’esistenza, o forse perché hanno altri punti di riferimento cui sono abituati a rivolgersi, magari un po’ più vicini agli apparati del sistema e un po’ più distanti dalla scuola agìta, quella fatta di bisogni concreti, di vissuti quotidiani, di esperienze, di capacità di innovazione.
La nuova normativa prevede un diverso assetto territoriale: gli Ambiti, che sostituiranno le vecchie e superate (?) Province, per ognuno dei quali è prevista, come detto, una Scuola Polo per l’Inclusione, liberamente individuata tra le scuole dell’Ambito stessa. E i CTS? Scomparsi.
Più volte e da più parti sollecitato, il Ministero ha cercato di rimediare con la citata Nota n. 370 del 7 marzo scorso: «Forse potrebbero svolgere la funzione di Scuola Polo…»; «Si possono quindi proporre per essere liberamente scelti…». Forse… E così, nell’Ambito 1 della Città di Roma, la Scuola Polo individuata è stata l’Istituto Gioberti ed ecco, quindi, le conseguenze dell’amnesia o del poco coraggio del Ministero!
I CTS, dunque, sono stati abbandonati a se stessi, in balia di logiche incomprensibili, umiliati nella totale disconferma del loro impegno e di quanto realizzato, messi al voto senza esplicitare criteri efficaci di valutazione, alla pari di tutte le scuole.
E tuttavia, ricominciare sempre da zero, non utilizzando le risorse esistenti in periodi di penuria di fondi, è un vero e proprio delitto.
In sede dunque di attuazione della disposizione dei Decreti Applicativi della Legge 107/15, il Ministero stabilisca almeno che in ogni Provincia venga garantito e consolidato un CTS.