Recentemente abbiamo ritenuto opportuno ricordare su queste pagine che il Decreto del Presidente della Repubblica (DPR) n. 151 del 30 luglio 2012, entrato in vigore il 15 settembre di quello stesso anno, aveva concesso a tutti i Comuni un tempo massimo di tre anni – ovvero fino al 15 settembre 2015 -, per sostituire il vecchio contrassegno arancione con il nuovo CUDE azzurro (Contrassegno Unico Disabili Europeo), ciò che purtroppo, a quanto pare, non è ancora avvenuto uniformemente, creando non poche situazioni di confusione.
Sempre però in tema di contrassegni, c’è un altro documento degno di nota, prodotto lo scorso anno, che forse non tutti conoscono (o ricordano) e che vale certamente la pena segnalare.
Si tratta del Parere n. 1567 del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (11 marzo 2016), ove riferendosi all’articolo 381 del DPR 495/92 (Regolamento di esecuzione ed attuazione del Codice Strada, aggiornato e modificato dal citato DPR 151/12) – quello cioè che si occupa appunto del contrassegno per le persone con disabilità – si scrive che quello stesso articolo «pur prevedendo tale condizione [impedita o sensibile riduzione della capacità di deambulazione], non fa esplicito riferimento agli arti inferiori né alla patologia che la ha determinata. Quindi […], esso non dovrebbe essere interpretato in senso eccessivamente restrittivo, tanto che a sostegno di quanto detto, il D.P.R. 24 luglio 1996, n. 503, prevede, all’art. 12, comma 3, che la normativa relativa al contrassegno speciale sia estesa anche alla categoria dei non vedenti [grassetti nostri in tutte le citazioni, N.d.R.]».
Importante appare anche il passaggio successivo, ove si scrive che «Questa Amministrazione, anche in passato, ha sostenuto che il contrassegno potrebbe essere rilasciato a persone, come il disabile psichico, che teoricamente non presentano problemi di deambulazione, ma che proprio a causa della loro specifica patologia, non possono essere considerate autonome nel rapporto con la mobilità e la strada e necessitano comunque della mediazione di terze persone che le accompagnano e gestiscono i loro spostamenti».
E infine: «Considerazioni analoghe […] possono essere fatte anche riguardo a persone affette da invalidità agli arti superiori, laddove venga effettivamente dimostrato che tale menomazione renda difficoltosa la loro autonomia nella mobilità».
Si tratta senz’altro di affermazioni da tenere presente e soprattutto da far conoscere – quando necessario – a tutti gli Enti interessati all’attuazione di queste procedure. (S.B.)