Questa nostra lettera aperta, in occasione del decennale (?) dell’Unità Spinale Unipolare (USU) di Torino, è rivolta alle persone che vi sono ricoverate, ai loro parenti e amici/amiche, a quanti la frequentano per motivi di salute, agli operatori/operatrici e anche ai medici… ma soprattutto al futuro nuovo Direttore.
Caro Direttore, lei sta per essere appunto “consacrato” Direttore dell’USU di Torino. Quando arriverà da noi, potrà percepire a volte la presenza ingombrante di un caro estinto, a volte un afflato nostalgico, altre volte un inveire stizzito verso i giorni nostri: invocando il CRF, sigla strana che sta per Centro di Rieducazione Funzionale (della Maddalena, nel senso di collina di Torino).
Ma è possibile il confronto fra un antico Centro di Rieducazione Funzionale e la struttura che lei si avvia a governare? Come ha fatto il fantasma di quella Palazzina Liberty a traslocare dalla collina e a sopravvivere fra i lucidi corridori di linoleum dell’Unità Spinale Unipolare di Torino?
Si stava allora quattro in una stanza, due lavandini per quattro degenti, quattro sedie per visite dei parenti, quattro comodini e quattro armadietti, stile militare, quattro carrozzine. Ovviamente non ci si muoveva. Lungo il corridoio che conduceva alla palestra era parcheggiata una fila di statiche. Queste servivano perché fossimo parcheggiati a nostra volta in palestra, dove lo spazio per ognuno era, se possibile, ancora più angusto. La palestra era una bolgia di rumore e sofferenza. Lamenti e radio ad alto volume.
Abbiamo voluto con forza una nuova struttura in cui convergessero tutte le specialità necessarie al rientro a casa, per quanto possibile in autonomia (ci abbiamo provato fin dall’82: i progetti e le proposte si sono moltiplicati nel corso di vent’anni, Maria Adelaide, Museo dell’Auto ecc) e finalmente è sorta l’Unità Spinale Unipolare di Via Zuretti, 24 (ospedale realizzato come opera “connessa” con le Olimpiadi invernali del 2006, e quindi finanziata con i “fondi olimpici”).
Abbiamo ottenuto gli spazi, abbiamo ottenuto i letti, abbiamo ottenuto le palestre attrezzate, ma abbiamo perso la vasca dei pesci rossi del CRF e la speranza di riaverla. Era quella piccola vasca col bordo basso che vedeva sostare attorno ad essa carrozzine al sole, ascoltava le chiacchiere, le idee, i silenzi e la condivisione. Era la nostra ricerca individuale e collettiva, personale e politica.
Dietro il vagare sonnolento delle carpe, sognavamo Stoke Mandeville, Heidelberg e Nottwil… [Centri per Lesioni Midollari, rispettivamente di Gran Bretagna, Germania e Svizzera, N.d.R.]. Si discuteva.
Noi siamo quelli della lesione midollare. Siamo quelli che ambivano a una specificità nella conoscenza medica della nostra condizione: speravamo che ci fosse qualche medico che in futuro volesse diventare un paraplegista.
Essendosi riconosciute la Neurourologia e la Fisiatria quali momenti essenziali della nostra riabilitazione (dopo il periodo di ricovero in rianimazione postoperatoria – e lì – al CTO – venivano coinvolti ortopedici neurochirurghi e rianimatori), nel 2007 avevamo ottenuto un’unità fisica strutturata (l’USU), dove trovassero concordemente casa queste due discipline e tutte le altre specialità che vengono coinvolte nel corso del processo di cura e riabilitazione della persona con lesione midollare: la Pneumologia, la Chirurgia Plastica, la Psicologia e via cantando.
Avevamo sperato che gli operatori non medici (infermieri, fisioterapisti, operatori sociosanitari, la sociale) superassero annose divisioni e convergessero sull’obiettivo di ridare voglia e capacità di vivere alla persona con lesione midollare. Ciò a volte è avvenuto; ma abbiamo anche assistito ad arroccamenti spiacevoli nella propria “autonomia professionale”.
L’USU era ed è strettamente connessa (grazie a un’ardita passerella, in salita all’andata, ma in discesa al ritorno, benedetti architetti!) con un ospedale con alte specialità (il CTO) e un dipartimento di Emergenza e Rianimazione – il DEA – di secondo livello (cioè di primaria importanza), qual è quello del CTO.
Doveva – e deve – essere il luogo in cui realizzare la presa in carico completa del lesionato midollare, in modo che la sua riabilitazione, secondo le tappe del piano riabilitativo individuale, non si limitasse al periodo del ricovero, ma prevedesse il suo rientro a casa con un intervento sociale di accoglienza e lo seguisse con visite periodiche programmate, per controllare il suo stato di benessere e prevenire le complicazioni (i decubiti, in particolare) che ne peggiorano la qualità di vita, per consentirgli di diventare anziano.
Quanto abbiamo detto fin qui lei lo conosce bene e chiunque lo può leggere sul pieghevole e sul nostro giornale che come Associazione distribuiamo nell’USU. Ma allora, se tutto ciò è vero, perché mugugnare?
Cantava Ivan Della Mea: «La verità è un fatto che non si può mai dire anche perché qualcuno sempre la può capire»…
Senza parere ci hanno portato via la parola paraplegisti, obsoleta, e non è mai più tornata. Poi qualcuno ha chiesto in prestito un reparto al quarto piano (inizialmente previsto per accogliere persone con lesione midollare “croniche”), per ricoverare persone con trauma cranico (forse era troppo difficile cercare altri spazi nel CTO), ma evidentemente il suo nome non era “Pietro”. E non tornò indietro.
Ultimamente ci siamo riempiti di arzilli incontinenti, che si sono piazzati, com’è giusto, al primo piano dell’USU, in quello che avrebbe dovuto funzionare come “appartamento pre-dimissioni”, per la verità poco utilizzato, e in pompa magna è stato avviato il “servizio di neuro modulazione sacrale” (?) che di persone para-tetraplegiche non ne ha viste che pochissime e non sappiamo se mai ne vedrà.
Ci avevano anche promesso uno spazio verde antistante l’USU! Lì c’entra il menefreghismo del Comune, che ha preferito non inimicarsi gli automobilisti (nel periodo dei lavori per la realizzazione di un parcheggio sotterraneo), piuttosto che metter mano al portafoglio per realizzare quanto promesso. Nulla è avvenuto, e i ricoverati usano lo spazio antistante l’USU per passare il tempo, sfumacchiare (nella bella e nella brutta stagione) e quant’altro. In fondo, che pretendono questi qua?
Se vorrà un giorno, caro Direttore, le faremo vedere progetti e planimetrie diventati cartastraccia nelle “more dei vincoli di bilancio”.
Siamo stati vittime di astuti millantatori succedutisi in questi anni, nel contesto delle numerose campagne elettorali verificatesi negli ultimi trent’anni. Ma ciò che non ci aspettavamo è che in una notte infausta di cupi presagi, che forse non leggemmo nella loro subdola gravità, nel 2013, venne soppresso il Dipartimento delle Mielolesioni (che pensavamo dovesse e potesse essere il luogo dell’integrazione tra le diverse specialità presenti in USU), senza che nulla venisse previsto a sostituirlo.
E in questo periodo di vacche magre, negli ultimi due anni, si è verificata la vergognosa diminuzione del numero dei posti letto (da 46 a 34, ad oggi 38).
Nella confusione dei cambi delle gerarchie prima del CTO e poi della Città della Salute perdevamo noi stessi: or dunque, a questo punto del cammino, chi siamo? Dove siamo? Dove andiamo?