L’inclusione di tutti e di ciascuno è una conquista di civiltà!

di Gianluca Rapisarda*
«Nonostante le attuali difficoltà e criticità - scrive Gianluca Rapisarda, prendendo spunto da una recente polemica che ha coinvolto la Scuola Svizzera di Milano -, è opinione comune e generalizzata che il principio dell’inclusione di tutti e di ciascuno continui a rappresentare una conquista di civiltà e una svolta storica della moderna pedagogia italiana, che ci viene invidiato e anche copiato in Europa e nel mondo. Pertanto, qualsiasi tentativo di ritornare ad anacronistiche “classi differenziali” mi sembra costituire una semplice scorciatoia antipedagogica e diseducativa»

Alunna con disabilità in una classe di scuolaPrendo spunto da una recente polemica scoppiata qualche settimana fa a Milano, dopo l’approvazione di un articolo del nuovo regolamento della Scuola Svizzera di Milano – fortunatamente modificato dopo una vera e propria levata di scudi da parte delle Associazione di e per persone con disabilità – che avrebbe sconsigliato l’iscrizione ad alunni/studenti con disabilità e con DSA (disturbi specifici dell’apprendimento), a causa della complessità della sua offerta formativa e dell’assenza nella propria sede di un ascensore.
A quella notizia iniziale, chi scrive era rimasto davvero sconcertato. Tale “divieto”, infatti, sottendeva la ripresa di un modello del tutto sbagliato, selettivo ed elitario di fare educazione, riconosciuto valido soltanto nel tempo in cui era stato proposto da Giovanni Gentile e realizzato negli Anni Trenta del secolo scorso, ma giustamente messo in discussione dalle più recenti e moderne teorie pedagogiche. Riproporlo ora significava anche non tenere conto che in quasi un secolo la scuola e la società italiana sono completamente cambiate, aprendosi all’inclusione di tutti e di ciascuno.
Ecco perché abbiamo accolto con enorme entusiasmo e grande soddisfazione l’immediata cancellazione da parte della Dirigenza della Scuola Svizzera di Milano dell’articolo “incriminato”, ritenendo la proposta di escludere dalle classi gli allievi con disabilità e con DSA fuori del tempo e della storia. Era come se, dopo quarant’anni di esperienza del nostro modello di inclusione, qualcuno all’interno dell’Istituto milanese – che anche se svizzero, è pur sempre autorizzato e convenzionato con il nostro Ministero dell’Istruzione e comunque sottoposto alla legislazione del nostro Paese – avesse voluto azzerare in un sol colpo i profondi e benèfici mutamenti intercorsi nel nostro tessuto socio-culturale in seguito all’approvazione dei Decreti Delegati del 1974, della Legge 118 del 1971 e, soprattutto, dell’epocale Legge 517/77, di cui tra l’altro, il 4 agosto scorso, abbiamo festeggiato il quarantesimo anniversario, come ho avuto già modo di sottolineare su queste stesse pagine.

L’Italia è stato uno dei primi Paesi in Europa a superare le scuole speciali. Sino alla prima metà degli anni Sessanta, infatti, nel nostro Paese le persone con disabilità venivano educate nei cosiddetti “Istituti Speciali”, come nel resto d’Europa e del mondo.
Accadde però che la “tempesta sessantottina” si abbatté sulle nostre scuole speciali, accusandole di rappresentare un sistema chiuso, un libro uguale per tutti, un vero e proprio “ghetto”. Il 30 marzo 1971, dunque, con l’approvazione della citata Legge 118, si stabilì che anche gli alunni con disabilità dovessero adempiere l’obbligo scolastico nelle scuole comuni, ad eccezione di quelli più gravi.
Naturale e scontata conseguenza di questa ventata rivoluzionaria fu la chiusura degli Istituti Speciali, disposta dalla Legge 360 dell’11 maggio 1976, cui seguì l’anno dopo la Legge 517, che introdusse in Italia il principio dell’inclusione per tutti gli alunni con disabilità della scuola elementare e media dai 6 ai 14 anni. Infine, la Sentenza 215/87 della Corte Costituzionale venne a sancire il riconoscimento del pieno e incondizionato diritto allo studio per tutti gli alunni/studenti con disabilità, anche in condizioni di gravità, nelle scuole secondarie superiori.

Oggi, nonostante le attuali difficoltà e criticità, è opinione comune e generalizzata che il principio dell’inclusione di tutti e di ciascuno continui a rappresentare una conquista di civiltà e una svolta storica della moderna pedagogia italiana, che ci viene invidiato e anche copiato in Europa e nel mondo.
Pertanto, qualsiasi tentativo di ritornare ad anacronistiche “classi differenziali” mi sembra costituire una semplice scorciatoia antipedagogica e diseducativa. Di queste incongruenze si sono alla fine resi conto gli stessi Amministratori della Scuola Svizzera milanese, ricordandosi fortunatamente che il loro Istituto ha sede in un Paese moderno e inclusivo come il nostro che, come detto, il 4 agosto scorso ha celebrato il quarantesimo anniversario della sacrosanta  e civilissima Legge 517, architrave del nostro modello di inclusione scolastica.

Direttore scientifico dell’IRIFOR (Istituto per la Ricerca, la Formazione e la Riabilitazione) dell’UICI (Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti).

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