Ci siamo già occupati, nel nostro giornale, di Due tempi, due donne, due stralci di storie” (Youcanprint, 2017), opera prima di Maria Stella Falco, giovane scrittrice originaria della provincia di Lecce. Una raccolta di due romanzi brevi, frutto di una riflessione personale e di una costante riscrittura creativa, tecnica cara a Giuseppe Pontiggia, nella quale Maria Stella si cimenta con passione.
Questo è solo uno dei tanti interessi dell’autrice, classe 1989, fin dall’infanzia attratta dalla lettura e dalla scrittura. Nell’intervista che ci ha rilasciato scopriamo una giovane determinata ad inseguire i propri obiettivi e a raggiungerli con caparbia volontà, un po’ come Matilde e Francesca, le protagoniste del suo libro. È soprattutto Francesca a somigliarle: anche lei, infatti, ha una disabilità come Maria Stella, affetta da tetraparesi spastica. La condizione fisica di “svantaggio” rimane tuttavia sullo sfondo della storia, più che altro si intuisce tra le righe, un po’ come accade scoprendo la vita di Maria Stella che, pur affrontando momenti difficili, non si è mai fatta fermare dalle condizioni fisiche. Ha una laurea triennale e una magistrale in Lettere Moderne, è stata insegnante supplente e in futuro spera di ripetere questa esperienza professionale, perché trova il contatto con le nuove generazioni molto stimolante. Nel corso del tempo il sociale ha preso un posto significativo nella sua vita. Entrambe le tesi di laurea, ad esempio, sono state l’esito delle attività di ricerca sulle tematiche della disabilità e della marginalità nell’àmbito letterario e cinematografico. Svolgendo il Servizio Civile Nazionale, poi, ha maturato la consapevolezza di realizzarsi nel sociale, sia a livello accademico che nel contesto socioculturale.
Attualmente studia Servizio Sociale e partecipa a corsi di formazione sull’argomento, oltre a intervenire come relatrice ad incontri e scrivere nelle vesti di collaboratrice volontaria sul blog ItaliAccessibile. Andiamo dunque a conoscere Maria Stella.
Due tempi, due donne, due stralci di storie è il titolo della tua opera prima, da poco data alle stampe. Originale l’idea di accostare due racconti ambientati in epoche molto distanti tra loro, l’Anno Mille e i tempi attuali. Cosa accomuna le due protagoniste, Matilde e Francesca?
«L’idea di accostare due lavori ambientati in epoche differenti è nata da necessità pratiche, perché i componimenti sono “nati” effettivamente in due momenti differenti della mia vita e, scrivendoli, ho deciso di ambientarli nelle rispettive epoche, che mi hanno sempre affascinato: l’Anno Mille e i tempi attuali, appunto. Allo stesso tempo, però, entrambi i testi hanno delle caratteristiche in comune: il fatto che le protagoniste siano entrambe donne e i vari aspetti del loro carattere, della loro personalità. Entrambe affrontano un periodo significativo della loro vita. Sono due donne giovani, sognatrici, ma soprattutto coraggiose e determinate a concretizzare i loro sogni, e per realizzarli dovranno imparare a vivere la vita giorno per giorno. Vivendo il loro tempo (perché, come hai accennato, le storie sono ambientate in due epoche storiche differenti) e la loro età, scoprono, scopriranno, cosa sia la Vita vera e imparano, impareranno, a viverla. Consapevoli che non si smette mai di crescere, maturare, migliorare».
La stesura del primo racconto, quello che ha per protagonista Matilde, risale a quando avevi otto anni. Cos’hai provato rileggendolo dopo tanto tempo? Cosa ti ha spinto ad includerlo nella raccolta?
«La primissima parte di Matilde l’ho scritta recentemente, cercando di ricordare quanto avevo scritto nella prima stesura e di immedesimarmi nella bambina che ero, perché, da allora, non sono più riuscita a trovare la prima pagina originale. In generale, quindi, rileggendo e riscrivendo il testo, ho ricordato.
Rileggere Matilde dopo tanto tempo mi ha fatto “sentire” nostalgia per il periodo in cui l’ho scritto: un’estate della mia infanzia, insieme a mia madre, come esercizio da consegnare presso il Centro di Riabilitazione Doman, negli USA, dove mi curavo. Ho ricordato il luogo in cui l’ho scritto: la pineta della nostra casa al mare.
Ho inserito Matilde nella raccolta con l’intenzione di creare un’opera che includesse appunto lavori ambientati in epoche diverse, con donne forti come protagoniste, riguardanti periodi significativi della loro vita».
Quanto c’è di te in Francesca, la ragazza del secondo racconto?
«Secondo molti, di me in Francesca c’è tanto. Troppo. In fondo, perciò, i lavori si caratterizzano bene come romanzi, solo io ne sono consapevole. Solo io e chi mi conosce davvero sappiamo quanto, nella mia opera, c’è di me e delle mie esperienze di vita.
Francesca è la ragazza che io sono diventata. Nel testo sono racchiuse non solo le mie esperienze di vita significative, ma ci sono pure i “personaggi”, che equivalgono alle persone che hanno arricchito la mia vita, in diversi momenti della mia crescita».
Scrivi seguendo la tecnica della riscrittura creativa. Ci puoi spiegare meglio in cosa consiste?
«In merito alla riscrittura creativa, avrei tanto da dire, ma proverò a sintetizzare. La riscrittura creativa, di cui il precursore è Giuseppe Pontiggia, consiste, in pratica, nel voler – sentendone la necessità – rimettere incessantemente mano ai propri scritti, anche per pochi minuti al giorno, per ampliarli, migliorarli, adattarli a ciò che si pensa e si è quando si riscrive. Tutto ciò – e questo è importante dirlo – senza snaturare o falsare l’idea originale degli stessi propri scritti. In questo modo, come amava fare Pontiggia, si diventa “artigiani” e “costruttori” dei propri testi.
La conferma scientifica della validità della tecnica riscrittura nell’ambito della psicoterapia viene da James W. Pennebaker, psicologo che in una serie di esperimenti ha dimostrato come, parlando dei problemi che la assillano, la persona può trarre benefìci in termini medici. Il metodo è semplice ed efficace: egli chiede al soggetto di scrivere, per quindici o venti minuti al giorno, e per circa cinque giorni, qualcosa che riguardi “l’esperienza più traumatica di tutta la sua vita”. L’effetto della “confessione” è eccezionale».
Nel 2014-2015 hai svolto il Servizio Civile Nazionale presso l’Istituto Comprensivo e la Biblioteca della tua città, Ruffano, in provincia di Lecce. Quali erano le tue mansioni e cosa ti ha regalato questa esperienza?
«A scuola ho svolto attività di tutoraggio e sostegno scolastico in favore di alunni con difficoltà di apprendimento; inoltre, affiancando insegnanti di sostegno, ho svolto attività di tutoraggio e sostegno scolastico e relazionale in favore di alunni con disabilità.
Nella Biblioteca comunale, invece, mi sono occupata del prestito dei libri; ho curato, affiancando i responsabili, presentazioni di libri e laboratori estivi rivolti a bambini e ragazzi italiani e stranieri, pure con disabilità.
Questa esperienza mi ha regalato la consapevolezza della mia volontà di cimentarmi nuovamente in tutte queste mansioni (e in generale nel sociale, anche professionalizzandomi, come sto facendo) e la possibilità di interagire, per la prima volta in vita mia, “da grande”, con bambini e ragazzi».
Per un breve periodo sei stata anche insegnante. Come si sono accostati i ragazzi a una prof con disabilità?
«I ragazzi si sono accostati a me, prof con disabilità, con naturalezza e spontaneità: mi hanno sorpreso. Mi hanno accettata subito come loro insegnante, comprendendo presto che potevo essere, seppur purtroppo per poco, un punto di riferimento. Hanno scoperto che la mia disabilità, con loro, non sarebbe stata un limite, ma tutt’altro. Abbiamo dialogato molto. Hanno voluto mettermi al corrente di ciò che pensavano di me e del mio essere disabile: le loro parole, i loro incoraggiamenti, il loro aiuto, mi hanno sorpreso e incoraggiato tantissimo. Mi mancano e mi mancheranno, ma ci ricorderemo a vicenda».
Studi Servizio Sociale all’Università e sei impegnata nella divulgazione di una più consapevole cultura della diversità sul blog ItaliAccessibile. Utilizzi anche i social network? E quali sono, secondo te, i rischi e i vantaggi della rete per chi fa comunicazione sociale?
«Sì, uso pure i social e, durante i miei studi universitari, ho avuto modo di “conoscerli” e di approcciarmi, teoricamente e praticamente, alla comunicazione sociale.
Secondo me, uno dei rischi principali, a proposito di comunicazione sociale nell’era dello sviluppo tecnologico – quindi non mi riferisco solo alla rete – è proporre contenuti che puntino ad impietosire.
Un vantaggio che in questo caso ha dato a me la rete è ad esempio quello di rispondere a questa intervista, di cui ho apprezzato fin da subito le domande. In rete c’è chi racconta, informa, divulga la “cultura della disabilità”».
Hai vissuto tante esperienze, diverse tra loro, ma cosa ti piacerebbe fare “da grande”?
«Riferendomi ai miei sogni lavorativi, diventerò assistente sociale, lavorerò ancora a scuola come supplente, se capiterà e mi piacerebbe gestire una biblioteca o una libreria. Soprattutto, però, vorrei continuare a riuscire a conciliare tutti i miei sogni lavorativi, come sono riuscita a fare finora. Riferendomi poi alle mie esperienze personali, che hanno ispirato tutte le mie scelte di studio e quelle lavorative, continuerò a vivere appieno la mia vita, scoprendo giornalmente cosa mi regalerà, ancora».