Nei giorni scorsi si sono susseguiti vari articoli di giornale e servizi televisivi, con il leit-motiv relativo alle difficoltà dei vari Uffici Scolastici Regionali, nel reperire docenti per il sostegno e al paradosso che, quando se ne trovano, essi sono spesso non abilitati e specializzati.
Tutto ciò, ovviamente, non fa altro che alimentare e corroborare la convinzione sempre più diffusa tra le famiglie dei ragazzi con disabilità che senza la presenza dell’insegnante di sostegno in classe, i loro figli non avrebbero assicurata un’inclusione di qualità.
E tuttavia, a parere di chi scrive, tale assunto è opinabile e del tutto da dimostrare. Infatti, il luogo comune – ormai sfortunatamente generalizzato tra i familiari degli alunni con disabilità – secondo il quale il docente per il sostegno è da ritenersi l’unica “risorsa” a disposizione dei loro figli, ha finito per determinare il principale “male scolastico” del sostegno italiano, e cioè il perverso meccanismo della delega ai soli insegnanti specializzati del processo di inclusione.
Infatti, questa eccessiva attenzione focalizzata solo sul docente di sostegno – rafforzata purtroppo dal Ministero anche con il neonato Decreto Legislativo 66/17 sull’inclusione, attuativo della Legge 107/15 (cosiddetta La Buona Scuola) – ha causato una vera e propria distorsione dello spirito genuino e autentico del nostro modello di inclusione, fondato sui principi dell’UDL (Universal Design for Learning, ovvero letteralmente “Progettazione universale dell’apprendimento”), dell’articolo 24 (Educazione) della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con disabilità, del concetto di “istruzione di tutti e di ciascuno”, dell’ICF [la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute, fissata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, N.d.R.] e, soprattutto, del supporto agli alunni/studenti con disabilità da parte dell’intero “contesto scolastico”.
Proprio per la mancanza di un “sostegno diffuso” da parte di un contesto azzerato dalla centralità della figura di un docente di sostegno spesso impreparato, esattamente vent’anni fa l’UICI (Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti) e gli Enti ad essa collegati hanno mobilitato tutte le energie e risorse disponibili, ottenendo l’emanazione della Legge 284 del 28 agosto 1997, che ha consentito la costituzione di ben 17 Centri di Consulenza Tiflodidattica (d’ora in poi CCT), coordinati dalla Federazione Nazionale delle Istituzioni Pro Ciechi e dalla Biblioteca Italiana per i Ciechi Regina Margherita di Monza.
Si tratta di strutture a livello regionale, capaci di sostenere l’inclusione scolastica delle studentesse e degli studenti minorati della vista nella scuola di tutti. Infatti, dopo vent’anni di onorevole attività, i CCT si configurano oggi come veri e propri “centri di risorse”, dai quali far partire ed erogare i servizi essenziali per l’inclusione dei ragazzi con disabilità visiva, e cioè l’assistenza scolastica, la fornitura dei necessari sussidi tiflodidattici e un’adeguata consulenza tiflopedagogica e tiflodidattica.
Come UICI, quindi, in questi ultimi vent’anni – di fronte alle “crepe” del nostro sistema inclusivo – non abbiamo voluto abbandonare gli allievi con disabilità visiva e le loro famiglie, svolgendo un’azione di supplenza, chiamando a raccolta le migliori energie di coloro che si occupavano dei ciechi e degli ipovedenti e dimostrando, attraverso quei 17 CCT, che è anche e soprattutto il contesto (e non solo il docente di sostegno) a garantire un processo di inclusione scolastica davvero di qualità.
E tuttavia, in questi vent’anni le risorse per quei 17 Centri non sono state sufficienti, perché essi hanno operato singolarmente e in modo finora parcellizzato. Il problema, a parere di chi scrive, è che – a causa di inutili individualismi che hanno caratterizzato la storia passata delle Istituzioni Pro Ciechi – tali strutture sono rimaste isolate dal resto del territorio e non integrate fra di loro. Grazie ora all’attuale Presidenza Nazionale dell’UICI, si è posto definitivamente fine a questo stato di cose, facendo risorgere, all’inizio del 2016, il Coordinamento degli Enti collegati all’UICI e, soprattutto, dando vita al NIS, ovvero al cosiddetto Network per l’Inclusione Scolastica.
In sostanza, il NIS rappresenta il tentativo dell’UICI di ottimizzare tutte le proprie risorse e competenze (finora disperse), mettendole insieme e realizzando un unico ed omogeneo Servizio Nazionale di supporto all’inclusione scolastica degli alunni/studenti con disabilità visiva, “in rete” con le scuole e ovviamente con i servizi del territorio.
Le principali Istituzioni che ne fanno parte sono l’UICI stessa, le già citate Federazione Nazionale delle Istituzioni Pro Ciechi e Biblioteca Italiana per i Ciechi Regina Margherita di Monza e l’IRIFOR (Istituto per la Ricerca, la Formazione e la Riabilitazione) anch’esso dell’UICI.
Si tratta di un gruppo tecnico di esperti tiflologi che ha definito:
– le Linee Guida dei servizi di consulenza tiflodidattica;
– i Livelli Essenziali delle Prestazioni, gli Indicatori di Qualità e i Criteri di valutazione dell’inclusione scolastica degli allievi ciechi e ipovedenti (numero e qualifica degli operatori; quali le loro competenze specifiche; quali tipologie di materiali e sussidi didattici e di strutture disponibili presso i CCT e gli ex Istituti dei Ciechi; la capacità di formazione del personale scolastico e non ecc.);
– la mappa dei “luoghi” del sostegno dei minorati della vista. In tal senso è stata ipotizzata una “rete” a tre livelli: Sportelli Informativi di base presso i CTS-Centri Territoriali di Supporto (o meglio, Scuole Polo, così come ribattezzati dalla recente Delega sul sostegno); Centri Specialistici Regionali presso i CCT e gli ex Istituti dei Ciechi; infine, Centri di Eccellenza a livello nazionale, come ad esempio il Centro di Documentazione Tiflologica della Biblioteca di Monza; il Centro di Produzione del Materiale Tiflodidattico della Federazione Pro Ciechi; il Centro del Libro Parlato dell’UICI; il Museo Tattile Statale Omero di Ancona; il Centro per le Ricerche Informatiche dell’Istituto Cavazza di Bologna; il Centro per l’Inclusione degli Ipovedenti dell’Istituto Chiossone di Genova; i Centri di Riabilitazione per Ciechi Pluriminorati del Sant’Alessio di Roma e del Serafico di Assisi; le principali Stamperie Braille del nostro Paese;
– i curriculum delle due fondamentali figure professionali a supporto dell’inclusione scolastica delle persone con minorazione della vista, vale a dire l’assistente all’autonomia e alla comunicazione (operatore di primo livello) e l’esperto in scienze tiflologiche (operatore di secondo livello), attualmente privi di uno specifico profilo e percorso formativo.
Va qui precisato che sottolineare oggi l’importanza di tali figure professionali (da formare con appositi Master di primo e secondo livello, da estendere anche ai consulenti tiflologi dei CCT), non significa voler eliminare i docenti di sostegno e “medicalizzare” il processo di inclusione degli alunni/studenti con disabilità visiva, ma al contrario riaffermare e riproporre finalmente la necessità della specificità tiflologica per una loro vera e adeguata partecipazione alla scuola di tutti e per un loro pieno successo formativo.
Da tutto quanto finora esposto, dunque, si arguisce facilmente l’importanza della creazione del NIS dell’UICI e del recupero del coordinamento fra i suoi Enti collegati e i suoi Centri di Consulenza Tiflodidattica.
È nostra convinzione, infatti, che solo “facendo squadra”, mettendo in comune competenze, esperienze e risorse e lavorando su progetti condivisi insieme al Ministero, si potrà vincere la sfida italiana di un’inclusione scolastica realmente di qualità e for all.