È stato presentato in questi giorni a Roma, presso la Fondazione Besso, il volume Storie di scuola. L’inclusione raccontata dagli insegnanti: esperienze e testimonianze (Erickson, 2017), scritto a più mani da alcuni docenti per il sostegno, che hanno narrato come l’attività di sostegno didattico all’inclusione degli alunni con disabilità nelle classi comuni ne abbia trasformato positivamente la vita professionale e personale [se ne legga già anche nel nostro giornale, N.d.R.].
Per l’occasione sono intervenuti molti tra autori, docenti universitari e docenti per il sostegno, insieme ad altri esperti del settore.
Sono intervenuto pure io, che ormai da cinquant’anni opero in questo campo, da studioso della normativa inclusiva. Ho molto apprezzato il contenuto del libro e le importanti testimonianze ivi contenute, che meritano un’attenta lettura da parte non solo dei docenti per il sostegno, ma di tutte le componenti della scuola. E a proposito di ciò, ho chiesto che si faccia un’ulteriore ricerca, per raccogliere le testimonianze dei docenti curricolari che si siano impegnati nel campo dell’inclusione scolastica. Ho però il timore che queste saranno molto inferiori di numero e forse anche di interesse pedagogico e didattico. Infatti, attualmente c’è una quasi totale delega del progetto inclusivo ai docenti per il sostegno da parte dei colleghi curricolari, specie nelle scuole secondarie. E ciò è contrario alla logica della cultura inclusiva, caratterizzandosi come un fenomeno di degrado che può essere arrestato solo ridando ai docenti curricolari il ruolo fondamentale che ebbero nei primi tempi dell’integrazione scolastica, a partire dalla fine degli Anni Sessanta e sino alla fine degli Anni Novanta, di presa in carico del progetto inclusivo dei singoli alunni, “ sostenuti “ dai colleghi specializzati per il sostegno.
Purtroppo i recenti Decreti Delegati sull’inclusione, attuativi della Legge 107/15 (La Buona Scuola) non hanno favorito la ripresa di tale ruolo professionale, non avendo previsto nulla circa la formazione iniziale dei docenti curricolari sulle didattiche inclusive; occorre quindi un ripensamento sulla formazione iniziale di tali insegnanti, che attualmente può solo in piccola parte essere recuperato tramite la formazione obbligatoria in servizio, introdotta dalla nuova normativa.
E tuttavia, tale formazione non può essere lasciata alle sole università, ma occorre un coinvolgimento della ricerca-azione quotidiana nelle singole scuole o reti di scuole, ciò che può avvenire solo non facendo morire i CTS, i Centri Territoriali di Supporto all’inclusione, operanti da anni in ogni Ufficio Scolastico Provinciale e che, anche nell’annuncio della presentazione del libro Storie di scuola, si era dato per scontato fossero stati ormai definitivamente abrogati dalla recente normativa.
Siamo invece in molti a ritenere che l’ultimo comma dell’articolo 9 del Decreto 66/17 sull’inclusione, nel prevedere «scuole-polo» basate su reti di scuole che si occupino della formazione permanente dei docenti, vada interpretato proprio nel senso di consolidare questa ricca e fondamentale esperienza, specie nell’attuale momento di transizione dalla precedente normativa sull’“integrazione”, basata sulla Legge Quadro 104//92, alla nuova normativa inclusiva che si ispira ai princìpi della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità (ratificata dall’Italia con la Legge 18/09) e che è stata appunto recepita dai recenti Decreti Delegati.
Mi auguro dunque che questa interpretazione venga fatta propria dagli ambienti ministeriali e governativi e si possa così, tramite i CTS, ridare slancio alla formazione sulle didattiche inclusive di tutti i docenti, poiché l’inclusione o è frutto di tutti loro o rimane un’esperienza mutilata, che rischia l’emarginazione degli alunni con disabilità con i “loro” docenti per il sostegno.