Una ventina di domande a Sabrina Papa, donna non vedente che vive a Roma ed è originaria della provincia di Lecce, ci sveleranno in modo chiaro e convincente come si è ultimamente avvicinata ad un’attività a dir poco impossibile: pilotare un aereo, vero Sabrina?
Quando e come è partita quest’avventura?
«Da piccola vivevo in un paese non lontano dall’aeroporto militare di Galatina, a sud di Lecce. Ogni volta che sentivo il rumore di un aeroplano correvo sul tetto, con la speranza che mi vedessero da lassù. Io non potevo vederli, ma solo il sentire quella “musica” mi dava i brividi. Non sarei mai potuta essere un pilota».
Poi come si è riaccesa la fiamma?
«Due anni fa lessi un post che parlava di “piloti disabili”; non erano ciechi però la cosa mi meravigliò e mi incuriosì. Si trattava comunque di persone che vedono e che oggi guidano anche la macchina. Un giorno, grazie a uno di questi piloti dell’Associazione Baroni Rotti, mi sono ritrovata a volare in una scuola di aerei ultraleggeri nei pressi di Roma. Ho cominciato a frequentarla come passeggera, ed ecco riaffiorare prepotentemente tutto ciò che avevo cercato, invano, di seppellire. La musica del motore, sentirsi portar su, sentire l’aria che ti sostiene, a volte ti muove, ti schiaffeggia, ti spinge giù e ti fa risalire…».
E poi queste ore di prova come si sono trasformate in qualcosa?
«La svolta arriva nel giugno dello scorso anno e ha un nome, Sergio Pizzichini, un istruttore del club con il quale non avevo mai volato, né parlato. Si ostina a volermi proporre di volare con un aereo in tandem, invece che con quello con i sedili affiancati. Quello in tandem mi piace, “ma – gli dico – mi tocca star seduta dietro”. Nell’altro almeno, anche se a destra, sto davanti. E invece, lui mi dice che va benissimo: se voglio sedere al posto del pilota e quindi davanti sul tandem, basta imparare a memoria la posizione di ciascun pulsante e strumento sul cruscotto, imparare la funzione, così che quando mi dirà di abbassare o alzare quella leva o premere quel pulsante, io saprò dove trovarlo immediatamente e cosa fare. Prendo posto davanti, Sergio dal sedile posteriore mi posa le mani sulle spalle e ci accordiamo su un metodo di comunicazione istantanea attraverso il quale lui potrà dirmi cosa devo fare e io, finalmente con i comandi interamente nelle mie mani, comincerò la mia danza con l’aria e la mia avventura. Ecco la realtà. Quella che non è più un sogno. Da allora non ricordo di essermi più seduta al posto del passeggero!».
Come funzionano i comandi in volo?
«In volo Sergio mi guida con le mani sulle spalle, quando devo correggere l’assetto o effettuare una virata, e a seconda dell’intensità del movimento, io lo trasmetto uguale e immediato ai comandi. Con la voce mi dice di dare o togliere potenza o aggiunge ulteriori informazioni al comando “fisico”. Il decollo e il volo rettilineo e livellato ormai vanno da sé. Le virate migliorano, e così le altre manovre.
Finalmente l’aria, la musica del motore, l’aereo che fa tutto quello che vuoi tu (purché tu glielo sappia chiedere). E in volo quell’aereo è tutto mio!».
Quindi da quanto tempo ormai prende questo tipo di lezioni private?
«Piloto da circa un anno, con ormai più di 20 ore di volo. Ultimamente abbiamo perfezionato il metodo e la coordinazione. L’affiatamento è fondamentale per agire all’unisono».
Fino a che punto è in grado di pilotare l’aereo, solo in volo o anche in fase di decollo e atterraggio?
«Con questo metodo si può fare tutto: decollo, crociera ecc. L’unica difficoltà è nell’atterraggio. L’atterraggio è una manovra difficile per chiunque, anche per i migliori piloti. Io, con l’aiuto di Sergio ci sono riuscita più volte, a volte dopo più tentativi, qualche volta al primo, ma non sempre. Spesso arrivo a un metro e mezzo dal terreno e deve prendere lui il controllo dell’aereo. Dipende dal vento: quanto ce n’è, se arriva a raffiche e da quale direzione. Insomma, è difficile, ma non impossibile. E quando ci riesci, l’emozione è grande per entrambi. Ora le istruzioni si limitano a pochissime correzioni e all’atterraggio. Per il resto vado benissimo».
Lei vede qualcosa o è completamente cieca?
«Mi aiuta un po’ il fatto di percepire la luce da un occhio. Non è molto, ma già se devo seguire la direzione del sole è sufficiente».
Ho letto di una sua nuova recente esperienza in Francia, ce ne parla?
«Sempre attraverso gli amici dell’Associazione dei Baroni Rotti, sono venuta a conoscenza dell’esistenza in Francia di un’Associazione di piloti non vedenti: Les Mirauds Volants. Ne ho contattato il presidente, Patrice Radiguet, che mi ha spiegato che vola da almeno vent’anni e che l’Associazione esiste da più di dieci. In Francia i piloti non vedenti sono già una quarantina».
Come sono organizzati i corsi in Francia?
«Gli allievi piloti ciechi hanno a disposizione manuali e libri trascritti in Braille o audio, mappe in rilievo, disegni tattili e modellini. Così loro sono in grado di studiare la teoria e la pratica come tutti gli altri allievi, con materiale adeguato».
E il loro metodo in volo è differente dal suo?
«C’è una differenza notevole e di fondamentale importanza: nel metodo che io e il mio istruttore abbiamo messo a punto, è lui a dire a me cosa devo fare (“l’aereo è storto”, “raddrizzalo” ecc.), nel metodo dei piloti francesi, invece, l’istruttore dice al pilota che l’aereo, secondo gli strumenti di bordo, è in una determinata condizione e il pilota francese è in grado di capire cosa deve fare: sollevare/abbassare il muso, correggere la rotta ecc.».
Ho anche letto, però, che recentemente in Francia è andata per sperimentare un nuovo sistema vocalizzato, come funziona?
«È vero, un gruppo di otto ingegneri del Gruppo Thales in Francia, con la collaborazione del Presidente dei Mirauds Volants, ha messo a punto un sistema elettronico che sostituisce in parte l’istruttore: si chiama Soundflyer ed è un mini computer le cui parti fondamentali sono costituite da un giroscopio e un GPS. Una piccola scatola viene posta e assicurata nella corretta posizione sotto il sedile o su una parte piana, il più possibile vicina al baricentro dell’aereo. Questa scatolina è collegata a un’altra più piccola dotata di antenna che viene assicurata sul cruscotto. Mediante un tastierino sul cosciale e degli auricolari, il pilota riceve in cuffia dei suoni che cambiano di tono e si combinano a seconda della posizione dell’aereo, spostandosi anche da destra a sinistra. Premendo i corrispondenti tasti sul tastierino, una voce pronuncia i valori degli strumenti che indicano la direzione, l’altezza, la velocità, la bussola il GPS ecc. All’istruttore, dunque, non resta che (oltre naturalmente a fare l’istruttore!) leggere, all’occorrenza, le indicazioni relative agli strumenti, quali pressione dell’olio, benzina, temperature, eventualmente giri del motore (che con la pratica si riconoscono a orecchio sul medesimo aereo) ecc., insomma quegli strumenti propri dell’aereo che il Soundflyer non può leggere, in quanto non direttamente collegato alla macchina».
Mi sembra un po’ complicato o sbaglio?
«Come in tutte le cose, è questione di tempo e abitudine. Dopo un primo approccio al simulatore ho fatto due bei voli su due differenti aerei. A parte un leggero ritardo nella trasmissione delle informazioni (si tratta di frazioni di secondo), l’ho trovato grandioso».
Questo strumento è direttamente legato al tipo di aereo o è possibile agganciarlo ad altri dispositivi?
«Si, è possibile utilizzare il Soundflyer su qualsiasi aereo senza necessità di modifiche: basta posizionarlo correttamente, fare la verifica di funzionamento, la sincronia dei dati e…. “via dall’elica”! Inoltre, può essere collegato a un PC e utilizzato attraverso un simulatore e un joystick sensibile come una cloche. In più, può essere connesso a un iPad o tablet, per dare all’istruttore la possibilità di seguire le stesse indicazioni ascoltate dall’allievo, senza dovere indossare anche lui gli auricolari».
Pensandoci, lei ritiene il Soundflyer una buona soluzione per un cieco che intenda fare quest’attività?
«Certamente, ma non solo per noi ciechi, secondo me anche per chi vola a vista e si sposta frequentemente con il proprio aereo! Potrebbe trarne vantaggio, per esempio, tra le nubi. Certo, non segnala gli ostacoli, ma non è detto che non venga perfezionato anche per quello. In fondo siamo al secondo prototipo e la versione definitiva avrà degli aggiornamenti».
Qual è ora il suo progetto?
«Ora il mio unico desiderio è quello di continuare a volare e di avere il Soundflyer».
Cosa spera o propone per l’Italia?
«Mi piacerebbe che in futuro anche in Italia i ciechi che volessero provare a volare potessero farlo con il supporto di istruttori appositamente preparati e materiale ad hoc, come in Francia, e magari, perché no, con l’autorizzazione, mediante regolamenti specifici e ben studiati, da parte delle autorità competenti».
Cosa le ha lasciato l’esperienza francese?
«Tanta carica, speranza e, soprattutto, per l’ennesima volta ho avuto la conferma che niente è impossibile. Neanche per un cieco pilotare un aereo. Sia pure, ovviamente, con l’obbligo di un istruttore a bordo, sia pure con il libretto di allievo pilota, ma anche il pilota cieco è un pilota a tutti gli effetti».
Il merito di tutto questo, quindi, è del suo istruttore italiano che si è assunto la responsabilità di insegnarle a pilotare su una sua semplice richiesta, vero?
«Sicuramente. E per rendere onore al mio istruttore, Sergio Pizzichini, e al lavoro fatto insieme, mi preme dire che ho ricevuto da Radiguet, il presidente di Les Mirauds Volants, le congratulazioni, perché, nonostante il mio metodo fosse diverso dal loro, lui stesso si è meravigliato e ha molto apprezzato la mia ottima percezione dell’aereo e la mia prontezza nel correggere l’assetto, a volte prima ancora di ricevere il feedback dal Soundflyer, anche con le mie poche ore di volo. Questo, oltre ovviamente a gratificarmi, lo devo alla persona che ha voluto crederci prima e quasi più di me, e senza la quale forse sarei ancora a fare la passeggera e probabilmente mi sarei annoiata».
Immagino che ogni ora di volo abbia un costo e a quanto ammonta?
«Purtroppo i costi, soprattutto in Italia, sono alti a causa dell’elevato costo della benzina e della manutenzione. Al club mi fanno uno sconto, ma in realtà un’ora costa oltre 100 euro, motivo per cui non so ancora per quanto riuscirò a volare. E se non fosse per un amico che frequenta lo stesso club e mi accompagna, ci avrei già dovuto rinunciare. Come dico sempre, per un cieco è più facile pilotare un aeroplano che spostarsi dove a quando vuole sulla terra! Sto praticamente rinunciando a tutto, per concentrare le mie poche risorse economiche sul volo».
Che cosa risponde a chi le chiede «ma come fai se non ci vedi»?
«Rispondo che è normale, per le persone “normodotate”, farsi tali domande, ma se anche loro fossero stati ciechi avrebbero ricevuto un tipo di educazione e/o riabilitazione tale da consentigli di fare le cose così come le facciamo noi che non vediamo».
E del resto, vien da dire in conclusione, così come faceva la volpe al piccolo principe, che «l’essenziale è invisibile agli occhi» e il fatto che chi l’ha scritto fosse una persona dotata della vista, e guarda caso un pilota, avrà un suo senso.