Le selezioni che ho affrontato a suo tempo per accedere a un tirocinio retribuito al Parlamento Europeo sono state molto impegnative: su 12.000 persone, infatti, siamo state selezionate solo in 200, tra le quali 11 con disabilità.
Bisogna avere la costanza e la pazienza di cercare la chiave giusta; bisogna provare e riprovare a fare la domanda di partecipazione, finché non si viene accettati. Tutto ciò implica uno stress molto forte, so bene che è frustrante: molte persone con e senza disabilità pensano di avere studiato molto, ma temono di restare senza la possibilità di applicare le conoscenze acquisite durante il percorso universitario. Ecco perché quando si accede a un’esperienza del genere, ci si sente onorati, privilegiati, con un’opportunità unica in mano.
Tutte queste emozioni positive vengono poi vissute in modo ancora più forte se il tirocinante – come chi scrive – è una persona con disabilità. Infatti, in un’epoca, purtroppo, in cui le persone con disabilità vengono ancora stigmatizzate, escluse dalla società, dal mondo del lavoro, tutto ciò rende ancora più significativo un traguardo del genere. In questo caso la persona con disabilità si sente, finalmente, in una posizione di parità rispetto ai “normodotati”, protagonista di una vera conquista ad armi pari. E questo perché le persone con disabilità hanno pienamente diritto al riconoscimento a livello sociale dei loro sacrifici e dei conseguenti titoli di studio, bisogna valorizzarne il percorso lavorativo formativo, per creare un futuro nel segno dell’autodeterminazione.
E tuttavia anche il tirocinio al Parlamento Europeo rischia di rimanere un periodo senza seguito, e questo indipendentemente dalla disabilità. Cosa accade infatti, una volta conclusa l’esperienza? Si può continuare seguendo il consueto percorso concorsuale, e qui bisogna vedersela anche con 20.000 candidati! Il che fa capire che il tirocinio, per quanto esperienza meravigliosa, resta molto probabilmente solo tale, ovvero un’opportunità di crescita personale e professionale, ma una crescita che si ferma, pur potendo essere spesa in altri àmbiti.
Per quanto detto, quindi, credo di avere compreso che per dare un futuro ai giovani con disabilità sia necessario uscire dalla zona di comfort e indirizzare i disabili stesso anche verso professioni innovative: questa visione di lungo termine è la vera garanzia per trovare un lavoro all’altezza delle proprie aspettative.