Era il 18 dicembre del 2014, quando ci lasciò Franco Bomprezzi, direttore responsabile di questa testata, creando un grande vuoto per il mondo del giornalismo e per quello di tutte le disabilità.
È bello, a distanza di tre anni, poter registrare con grande soddisfazione un’iniziativa come quella segnalata da Marco Piazza in InVisibili, il blog del «Corriere della Sera.it», che vide Franco tra i suoi fondatori. Ed è un’iniziativa tutta nel segno di Franco, nata proprio nella redazione di InVisibili e ad essa liberamente ispirata, che dal 1° al 5 gennaio porterà su Rai3 (ore 20.15) il programma Inviati speciali.
«Gli inviati speciali – scrive Piazza – sono persone sedute su una carrozzina per via di un incidente stradale, madri di ragazzi autistici, giovani donne nate e cresciute senza braccia, ma anche professionisti con il pallino delle storie “diverse”. Tutti hanno in comune il fatto di essere giornalisti o blogger, di scrivere per InVisibili a titolo di volontariato e di essere legati, in un modo o nell’altro, al tema della disabilità».
Qui, per ricordare Franco Bomprezzi e dare un’idea del suo stile a chi non ha avuto la fortuna di conoscerlo, abbiamo scelto di riproporre il suo ultimo testo pubblicato da «Superando.it», esattamente il 18 novembre 2014. Si intitolava Uno scatto d’orgoglio, per riprendere il cammino e siano i Lettori a giudicare se i contenuti di esso possano ancora ritenersi attuali.
Grazie sempre, Franco! (Stefano Borgato)
«In qualche modo bisogna reagire. Non riesco, in queste settimane di maggiore presenza a casa, nella mia lunga e non semplice convalescenza, ad accettare il livello sistematicamente distruttivo di qualsiasi programma televisivo che cerchi di raccontare e affrontare i tanti guai del nostro Paese.
I disastri ambientali, le periferie urlanti, le tensioni in piazza, le sceneggiate nelle aule parlamentari, tutto un minestrone indistinto che contribuisce ad alimentare un disagio, una nausea, un rifiuto del presente e del futuro, in una parola, l’eclissi della speranza.
Raramente vedo analogo impegno mediatico a cercare chi possa raccontare soluzioni praticabili, anche tecnicamente, per affrontare correttamente uno qualsiasi di questi problemi. Eppure le competenze esistono, dalle università alla rete delle associazioni, dai tecnici onesti (che pure ci sono) ai divulgatori non faziosi. Anche all’interno della politica è evidente che vengono interpellate quasi sempre le persone più aduse alla polemica, all’invettiva, allo sfascio. Il quadro che ne esce è desolante e sicuramente contribuisce a quel degrado della coesione sociale che è un pericolo tremendo per chiunque, da sempre, si batte riformisticamente e banalmente nel tentativo di fare la propria parte per risolvere un pezzetto alla volta.
Penso a Milano, squassata dalle acque di Seveso e Lambro, penso a quanto contemporaneamente si stia cercando di fare per migliorare complessivamente l’accessibilità e la mobilità delle persone con disabilità o degli anziani. E mi rendo conto che le ripetute esondazioni, con i danni alle linee della metropolitana, con i disagi improvvisi e pesanti, diano la sensazione che tutto sia inutile, che non ci sia niente da fare.
Ci scopriamo tutti ignoranti rispetto alle scelte di intervento idrogeologico che dovrebbero essere fatte, rispetto ai tempi, ai finanziamenti, alle soluzioni a breve termine. Eppure non possiamo permetterci il lusso di buttare tutto via, assieme all’acqua sporca.
Mai come adesso ci vorrebbe uno scatto d’orgoglio, prepolitico, semplicemente di cittadinanza e di appartenenza, capace di farci riprendere il cammino, in ogni campo.
Non è possibile, ragionevolmente, che questo Paese sia completamente a pezzi e soprattutto che la catastrofe stia avvenendo qui e adesso, negli ultimi mesi. Una mancanza siderale di memoria, un ripetuto e cinico tentativo di buttare tutto “in caciara”, sperando che alla fine crolli questo sistema, ma non sapendo minimamente chi e come potrebbe davvero ricostruire un futuro civile e democratico.
Per certi versi sento crescere il desiderio di maniere forti, di scelte autoritarie, di plebisciti che facciano piazza pulita di tutto e di tutti. Come persone impegnate nella comunicazione, nell’informazione di servizio, nel racconto del welfare che cambia, non possiamo chiamarci fuori e lasciare che questo scempio continui indisturbato.
A 62 anni voglio continuare a sperare, a vivere, a lottare per fare meglio. E sono certo di non essere il solo.
Franco Bomprezzi – 18 novembre 2014».