«Questo libro raccoglie numerosi saggi riguardanti le sperimentazioni mediche effettuate sui detenuti dei lager nazisti e non solo, offrendo un’analisi delle procedure giuridico-tecniche di annientamento di un numero enorme di vittime, anche non ebree. Non solo camere a gas, non solo forni crematori, come si tende a semplificare, ma anche un capillare sistema volto al mantenimento di vere e proprie “cavie”, per esperimenti riguardanti sia la “purificazione della razza”, la cosiddetta “eugenetica nazista”, fulcro dello sterminio delle persone con disabilità, sia l’acquisizione di nuovi dati empirici per potenziare la preparazione bellica nazista. Si tratta di un volume che fa luce su alcuni spietati retroscena dei campi di concentramento, ponendoci di fronte all’architettura di un programma di sperimentazione medica su “cavie umane”, giustificato e autorizzato dal regime, che riesce a dare un’idea esaustiva del peso, praticamente nullo, attribuito alla vita umana degli “inadatti”. Molto di quello che è oggi la cosiddetta “buona pratica medica”, incentrata sul rispetto del paziente, fonda le proprie radici proprio sugli interrogativi etici provocati anche dalle sentenze di condanna, emesse dai giudici dopo la chiusura dei campi di concentramento».
Viene presentato così il libro Medicina eugenica e Shoah. Ricordare il male e promuovere la bioetica, uscito in questi giorni, nell’imminenza del Giorno della Memoria di domani, 27 gennaio, per i tipi della University Press Sapienza Università Editrice, a cura della ricercatrice di Storia della Medicina Silvia Marinozzi, con la premessa del Magnifico Rettore dell’Università La Sapienza di Roma Eugenio Gaudio.
L’opera è articolata su più saggi scritti da numerosi esperti, tra i quali anche nomi illustri del mondo accademico, coincidenti per lo più con i realizzatori della mostra Medicina e Shoah. Dalle sperimentazioni naziste alla bioetica, che sarà presente dal 5 febbraio al 24 aprile al Museo dell’Arte Classica dell’Università La Sapienza di Roma e della quale avremo occasione di riparlare nei prossimi giorni.
Qui ci soffermiamo sul contributo proposto nel libro da Silvia Cutrera, presidente dell’AVI di Roma (Agenzia per la Vita indipendente), una delle principali esperte italiane e non solo dell’Olocausto delle persone con disabilità, tema di cui il nostro giornale «Superando.it» – come si può leggere anche nel box in calce – si è occupato regolarmente in questi anni, ritenendo fondamentale conoscere bene quello sterminio che coincise con il cosiddetto Programma Aktion T4.
Si parla in totale dell’uccisione di circa 300.000 persone affette da malattie ereditarie, tra le quali moltissimi bambini, un vero “Olocausto parallelo” tenuto seminascosto per quasi mezzo secolo, e soltanto recentemente venuto alla luce, grazie soprattutto alle iniziative promosse in occasione del Giorno della Memoria.
Prima della cosiddetta “soluzione finale”, infatti, che portò alla morte milioni di persone, il regime nazista letteralmente si “esercitò” sulle persone con disabilità, ritenute “indegne di vivere”, un peso economico per la società e un pericolo per la salvaguardia della popolazione “sana”. Fu un accanimento organizzato, iniziato nel 1939 e chiuso ufficialmente due anni dopo, ma in realtà proseguito fino al termine del conflitto, segretamente e – se possibile – in modo ancora più crudele.
Nel box in calce riportiamo alcuni brani del testo elaborato da Silvia Cutrera, che di tali argomenti ha già scritto ampiamente sulle nostre pagine, in diverse occasioni. (S.B.)
Autori Vari, Medicina eugenica e Shoah. Ricordare il male e promuovere la bioetica, Roma, University Press Sapienza Università Editrice, 2018 (Collana “Sapienza per Tutti”), 280 pagine, 14 euro.
Segnaliamo che accedendo all’ampia ricognizione storica intitolata Quel primo Olocausto, curata per il nostro giornale da Stefania Delendati, si può anche consultare (nella colonnina a destra del testo) il cospicuo elenco di testi da noi presentati in questi anni sullo sterminio delle persone con disabilità da parte del regime nazista.
Dal contributo di Silvia Cutrera al libro Medicina eugenica e Shoah:
«[…] Nel Mein Kampf Hitler annunciava: “Lo Stato nazionale deve porre la razza alla base dell’esistenza generale […] deve permettere che soltanto chi non è malato procrei figli [… ] chi soffre di una malattia evidente o chi porta tare ereditarie […] chi è malato o indegno di corpo e di spirito non è giusto che riproduca i suoi patimenti nel corpo di un bambino […]. Basterebbe per seicento anni non permettere loro di procreare per salvare l’umanità da un’immane sfortuna e portarla ad una condizione di sanità oggi pressoché incredibile”.
Sostenere che il destino dei popoli e delle nazioni veniva determinato dalla presenza di tratti ereditari, in grado di causare il declino genetico di una nazione, suggerì l’adozione di misure precauzionali quali i provvedimenti di sterilizzazione a cui furono sottoposti i soggetti ritenuti non adatti per la riproduzione.
Dalle idee ai fatti: divenuto [Hitler] Cancelliere del Terzo Reich, uno dei primi provvedimenti, emanato nel luglio del 1933, fu la Legge per prevenire l’insorgenza di patologie ereditarie nelle future generazioni che, avviata con una vasta azione di propaganda, fu imposta a individui affetti da deficit mentale, schizofrenia, psicosi maniaco-depressiva, epilessia, corea di Huntington, sordità, cecità, gravi malformazioni fisiche e alcoolismo, persone che furono obbligatoriamente sterilizzate. Gli eugenisti innalzarono lodi al nazionalsocialismo, il primo governo europeo che faceva dell’igiene razziale argomento di politica nazionale e che introduceva un criterio bio medico per considerare la qualità e il valore della vita dei propri cittadini. Un approccio che, come vedremo, dalla sterilizzazione avrebbe portato all’eliminazione delle “vite indegne di essere vissute” [grassetto nostro, N.d.R.]».
[…]
«La diagnosi più diffusa era “deficienza congenita” o “debolezza mentale” espressioni generiche con cui medici e magistrati potevano classificare come “devianti” anche le categorie di cittadini che, conducendo stili di vita ritenuti non conformi socialmente, rappresentavano un pericolo per la società, come gli alcolisti, le prostitute, gli omosessuali e i rom.
La maggioranza delle persone sterilizzate era ricoverata presso Istituti psichiatrici i cui direttori in modo operoso segnalarono alle autorità i casi anche in un’ottica di costi-benefici. Nell’Istituto psichiatrico di Hadamar, una struttura che sarà trasformata in uno dei centri di uccisione di persone con disabilità, un rapporto del 1934 relazionava su un gruppo di persone inviate da una clinica di Francoforte per essere sterilizzate sottolineando che tra loro vi era una considerevole percentuale di “giovani psicopatici con debolezza mentale”.
Finora abbiamo applicato 132 sterilizzazioni, approssimativamente il 30% del totale dei pazienti. Di questi trattamenti, due erano stati rigettati dalla corte per la salute ereditaria ma questo Istituto mentale ha proposto ricorso in appello. In termini di sterilizzazione quelle basate sulla debolezza mentale congenita dominavano. Noi abbiamo scelto quei casi che prima di tutto costituivano un onere per lo Stato».