«Io non vi credo cose che vedo / perché chiudendo gli occhi / una vitalità di costellazioni / d’altro mondo / vi sopravanza / e la supremazia del visibile / s’incrina in felicità. / Non c’è spina / oltre le vostre sponde / niente confina o crolla / niente s’impolvera / in quella luce» (Mariangela Gualtieri, Cesena, 1951, in Le giovani parole, Einaudi, 2015).
Grande è la luce se la responsabilità e il rispetto guidano e sviluppano le esperienze al buio. Non è sufficiente chiudere gli occhi per poco tempo, né bendarsi per pochi minuti e toccare un’opera tattile in un museo o vivere una cena nella completa oscurità per diventare consapevoli del valore che il buio rappresenta in quanto “silenzio della vista”.
Ho cominciato diversi anni fa a studiare, a provarmi al buio, a sperimentare e ad analizzare le possibilità del tatto. Ho ideato e proposto esperienze al buio di diversa tipologia (con gli occhi chiusi, con gli occhi bendati, nella completa oscurità) in contesti differenti. Ho accolto bambini, ragazzi e adulti. Ciò mi ha permesso di verificare alcune modalità, di rivedere lo spazio, di ripensare il tempo, di studiare le reazioni e le relazioni umane.
La mia attività è una sorta di continuo work in progress perché sto lavorando e “ri-cercando” in modo che l’esperienza al buio proposta possa essere vissuta come una possibilità generosa di “LETTURE” profonde per molteplici condizioni umane. Se non avessi analizzato il tatto attraverso il buio non avrei potuto guardare all’Educazione al Tatto e alle potenzialità dei libri tattili illustrati in modo efficace ed opportuno [se ne legga qui e qui, N.d.R.]. Se non avessi cercato il confronto con coloro che hanno organizzato la loro vita attraverso i quattro sensi e il loro dialogo, senza la vista, non avrei sviluppato quella consapevolezza che oggi mi ha condotto a prendere sempre di più le distanze da chi continua a proporre esperienze banali e mortificanti, a realizzare libri tattili che non sono in grado di appagare le esigenze percettive del tatto o a condurre workshop con modalità che risultano inadeguate a far comprendere la complessità della cecità, come pure lo sviluppo e la collaborazione dei sensi in coloro che non possono attingere dalla vista.
Ancora oggi si definisce il cieco per ciò che non è (“non vedente”) e non per ciò che possiede o che ha sviluppato. Si guarda al cieco attraverso il limite di cui lo si considera prigioniero, con l’arroganza del pregiudizio, una visione profondamente limitata e poco accogliente. E molti, sicuramente troppi, utilizzano la parola “buio” in un’accezione negativa, come se un cieco fosse un vedente collocato al buio all’improvviso.
Il cieco è una persona che conosce il lavoro dei sensi, dei quattro sensi insieme e, attraverso la loro collaborazione e il loro sviluppo, sa organizzare la sua vita affidandosi ad essi con una consapevolezza che è luce per tutti coloro che sono schiavi della vista e che non hanno educato il tatto.
L’intervento di chi scrive al recente Convegno di Arteterapia di Assisi (Perugia), Radici di luce. Etica, ideali e artiterapie, ha rappresentato il bisogno di ringraziare coloro che hanno organizzato la cecità e che mi hanno permesso di sentire quanta luce il buio sia in grado di offrire, di guardare al tatto e agli altri sensi mettendo al buio la vista.
Perché il buio libera il tatto, consente di sperimentare la reciprocità degli altri sensi in assenza della vista. Senza la vista, il tatto respira, ascolta e rispetta gli altri sensi. Collabora con l’udito, con l’olfatto, con il gusto.
Si ricorda sempre dell’udito, delle preziose potenzialità di questo senso che la vista mortifica anticipandolo. L’udito consente la percezione a distanza, la comprensione della collocazione spaziale, la sensazione acustica dei pieni dei vuoti e la parziale individuazione di alcuni ostacoli. Il Tatto è consapevole, sa che l’ascolto teme e soffre il rumore, la sovrapposizione di voci, la musica troppo alta, il traffico. Il Tatto sa che se la vista tace, respira la vita e sa che la lentezza è il tempo dell’ascolto profondo. Il tatto sa dell’attimo e lo custodisce prolungandolo.
Il Tatto senza la vista sa quanto è importante l’olfatto. Gli odori rivelano la vita, la quotidianità, i mestieri: il profumo di un neonato, la pelle di una persona, la produzione del pane, la porta aperta della lavanderia, l’erboristeria, il cassonetto dei rifiuti, ciò che si sta cucinando in un ristorante, ecc.
Il Tatto al buio sa quanto è importante il gusto. I sapori sono mondi da provare con calma; talvolta sono intensi e ci conducono lontano; i sapori hanno radici, rivelano storie, accolgono amici. Quelli nuovi chiedono di essere assaggiati e, senza la vista, sospendono il pregiudizio; sanno di stupore, di inattese parole, di nuove condivisioni.
Il Tatto senza la vista accarezza le emozioni tattili, così importanti per lo sviluppo dello spazio interiore come pure per la spiritualità nelle relazioni umane.
Il Tatto al buio è il tempo dell’accoglienza, della cura e della relazione, dell’attenzione, della premura, della predisposizione all’ascolto di Sé e dell’Altro. È tempo aperto che, nella gradualità di percorsi di esplorazione al buio, permette all’individuo di sviluppare consapevolezza e di attingere da occhi rinnovati. È tempo generoso in cui la luce si rivela e scopre la trama dell’esistenza, la profondità delle radici, la vastità delle relazioni che si nutrono di “armonie tattili”, per usare le parole così importanti, ma ancora trascurate, che Filippo Tommaso Marinetti ha usato nel Manifesto sul Tattilismo dell’11 gennaio 1921.
Per sentire la Luce abbiamo bisogno di educare il tatto, di lavorare con responsabilità, di “ri-cercare” dentro e fuori, di guardarci con pudore, di scoprire nel silenzio della vista ciò a cui la prepotenza degli occhi ci sottrae.
Colui che ha saputo organizzare la sua vita sulla collaborazione dei quattro sensi ha imparato ad attraversare la complessità della vita, non sfugge al mare di esperienze che rivela, e continua a lottare per non rimanere prigioniero della rete.
«il pesce nuota / la libertà del mare / strappa la rete»: è l’haiku [componimento poetico nato in Giappone, composto da tre versi, N.d.R.] che ho scritto e che Marcella Basso, l’artista che ha vinto all’unanimità con Io, Tu, le mani, il III Concorso Nazionale di Editoria Tattile Illustrata Tocca a Te! (Reggio Emilia, 19-21 giugno 2015), ha saputo interpretare con particolare sensibilità realizzando un libro tattile.
Nodi è il titolo del libro d’artista che è stato presentato nella Mostra Vagabondaggi a Roma.
Solo la consapevolezza rende l’uomo come il pesce che ha imparato a nuotare la libertà del mare e che ha saputo sciogliere i nodi della rete. Nodi vuole essere un omaggio a tutti coloro che hanno combattuto e che continuano a lottare per custodire la luce, che non si dimenticano del nutrimento di cui hanno bisogno le radici, né del buio che è importante attraversare, anche quando sembra di piombo. Nodi accoglie un messaggio forte, di speranza e, implicitamente, rimanda a quel valore da cui è impossibile prescindere, la responsabilità.