L’astrofisica è quella materia che studia il così lontano da noi da essere indispensabile a sapere cosa c’è dentro di noi. Siamo tutti “figli del Big Bang”! Tutti legati da quella forza creatrice che ancora esprime i suoi effetti e dentro la quale tutti siamo nati e nasceremo.
Stephen Hawking ci ha aiutato a comprendere un po’ di più l’universo. E in questa comprensione ci ha rifornito di qualche elemento per ispezionare la finita immensità che conteniamo. Non è stato un filosofo, ma ha finito per esserlo. Non è stato un artista, ma lo è diventato. Non è stato un’immagine del nostro tempo, è diventato un’icona della storia dell’umanità. E non è stato una persona normale, ma ha aiutato a essere normali, un po’ più normali, tante persone.
La sua storia è nota. Studia matematica e si ammala in gioventù. È un fuoriclasse della scienza fin da quegli anni. Ma se la scienza, con le sue difficoltà di approccio, si affronta con passione, incontrando via via difficoltà che si fanno sfide, la vita puoi affrontarla con tutta la passione che vuoi: certi drammi diventano ben altro che una sfida. Devi assimilarli come una consuetudine se vuoi sopravvivere. E la ragione, quell’elemento decisivo verso la conoscenza delle regole che reggono l’universo, in quel frangente è sollecitata da un evento fuorviante che esplode improvviso.
Stephen Hawking soffre l’evento che gli viene in sorte. Lui, matematico, si sgomenta di fronte all’inesattezza della malattia. Ma supera l’evento. Studia, insegna, scrive libri. Ricerca e si pone domande. Scopre e sorgono nuovi quesiti. Ha una moglie. Poi un’altra. Dei figli. La tecnologia lo circonda sino ad avvolgerlo. È immerso nella tecnologia in una misura tale da mostrarla come naturale continuazione di sé.
Nella metamorfosi cibernetica, l’aspetto tecnologico, che in un primo momento sorprende l’astante, rapidamente sparisce. Si preannuncia la fantascienza di Ghost in the Shell [film del 2017, adattamento dell’omonimo manga, N.d.R.]. L’umano prevale sull’artificiale in un simbiotico incastro. Una meravigliosa concatenazione biologica sbilanciata sull’umano che domina l’indispensabile tecnologia.
Di per sé una lezione etica. Una risposta intrinseca all’intelligenza artificiale. Non c’è intelligenza artificiale, singolarità tecnologica o futuro postantropocene auspicabile, se non quello che richiama all’etica. L’etica umana. L’etica dell’umano. Una delle maggiori lezioni che attingo da Stephen Hawking.
Un uomo curioso. Un fanciullo che ride a gravità zero, in caduta libera su un aereo per le evoluzioni del volo parabolico. Un personaggio che appare in Star Trek, consacrandosi tramite tra l’attuale e il futuro, benché immaginario. E proprio perché immaginario, individuato come presenza che la gente esige dal futuro. Lo scienziato fenomenale nei numeri e nella simpatia. Lui, un uomo muto.
Un uomo, appunto. Stephen Hawking ci appariva come una star. Tuttavia prevalentemente umana. Stephen Hawking, bastava il nome per evocare una persona in carrozzina che identificavamo prima come scienziato che come persona con disabilità. Fra la pena e la stima prevaleva la stima.
Stephen Hawking la stima se l’è guadagnata con i suoi studi. Le sue ricerche hanno oscurato l’ombra della sua poltrona con le ruote. L’anima del suo pensiero ha smantellato il concetto di ausilio dall’apparecchio che gli dava voce.
In un mondo all’assalto della meritocrazia, il genio ha fatto del merito il veicolo per risucchiare lo stigma della disabilità.
Certo, ha avuto possibilità che altri non hanno, come quella di poter frequentare buone università, ma ci ha lasciato una sconfinata eredità. La vita può essere ostile quanto l’umanità inarrestabile.
Grazie Stephen.
Testo già apparso in “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it» (con il titolo “Stephen Hawking, la lezione dell’uomo che non si ferma”) e qui ripreso – con alcuni minimi riadattamenti al diverso contenitore – per gentile concessione.
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