Nel febbraio scorso avevamo lasciato la giornalista Alessia Bottone – gradita “firma” anche di «Superando.it» – al primo ciak del suo docufilm centrato su alcune interviste a persone con disabilità visiva, per raccontare, nello specifico, le esperienze di Federico Borgna, sindaco di Cuneo, Consuelo Battistelli, diversity engagement partner di lBM, Carlo Carletti, ex centralinista della Banca d’Italia, Michele Landolfo, consulente di tecnologie assistive e Gabriella Ferri di Unicredit.
Ora quel docufilm è pronto, si chiama Ritratti in controluce. Cecità, stereotipi e successi a confronto, e dopo essere stato presentato il 23 maggio a Verona e il 5 giugno a Venezia, è oggi disponibile online a questo link (in versioni da 20 minuti, da 50, con sottotitoli in italiano e inglese e audiodescrizione realizzata da Artis-Project).
Ben volentieri cediamo la parola alla stessa Alessia Bottone, per una riflessione sull’opera da lei realizzata.
Non è facile trattare il tema della disabilità in un documentario. Si rischia sempre di non riuscire a trovare la quadra e di sbagliare.
Ricordo che un giorno Federico Borgna, il sindaco di Cuneo mi disse: «Alessia, parteciperò solo se mi assicuri che non dipingerai i protagonisti come supereroi, ma soprattutto senza sfociare nel pietismo».
Non potevo che essere d’accordo, penso che la disabilità – così come tante altre difficoltà della vita – richieda coraggio, accettazione e sicuramente obblighi le persone che la vivono a dimostrare di avere una marcia in più, per riuscire a essere considerati al pari degli altri.
Questo, però, soprattutto nel mondo della comunicazione, è sfruttato per dare seguito a programmi del dolore, strappalacrime, che richiamano la parte emotiva dello spettatore, ma poco offrono in termini di conoscenza e approfondimento.
I cinque protagonisti di Ritratti in controluce hanno opinioni diverse su tanti argomenti, ma su una cosa concordano: noi possiamo e anzi diamo al cento per cento!
I loro racconti, il loro percorso di vita, gli studi che hanno intrapreso, il lavoro che svolgono, il modo in cui vivono e in cui gestiscono le amicizie e gli affetti è la prova che la vita di un non vedente – anzi no, cieco, mi hanno insegnato che è meglio dire così – è fatta di molto altro.
Ricordo che una collega, l’unica che ha seguito i lavori in fase di montaggio, dopo aver visto il video mi ha detto: «Non credevo. Davvero non credevo che la vita dei ciechi fosse così».
Ecco, forse può sembrare una banalità, ma io penso che la scarsa conoscenza e, a volte, la paura di fare qualche domanda in più, costituisca forse la barriera culturale più imponente, difficile da abbattere perché si è sedimentata nel tempo.
Sta a tutti noi, come dice Federico Borgna, lavorare – sia chi vive la disabilità, sia chi non la vive – per trovare modi accessibili di comunicare.
Ringraziamo Laura Sandruvi per la collaborazione.