Musei accessibili è il titolo di un progetto dell’ANFAMIV (Associazione Nazionale delle Famiglie dei Minorati Visivi), che da qualche anno si cimenta nel verificare se quanto viene pubblicizzato come “accessibile” lo sia davvero. L’intento non è certo denigratorio, ma unicamente mirato a contribuire al miglioramento di quanto realizzato con impegno da neofiti della tiflologia sensibili e per questo assolutamente da apprezzare [la tiflologia è lo studio della condizione e dei problemi delle persone con disabilità visive, N.d.R.].
Va premesso che ambienti naturali o artificiali, all’aperto o al chiuso, possono fregiarsi di essere definiti accessibili solo quando consentono ad ogni persona di muoversi in essi e di raggiungerli in perfetta autonomia, indipendentemente dall’avere o meno una qualsiasi disabilità. Va da sé che questo concetto assoluto è ben difficile dall’essere raggiunto, specie se si tiene conto che le disabilità sono svariate e spesso variamente associate tra loro. Dunque si preferisce dichiarare un determinato luogo accessibile per le persone con una determinata disabilità (motoria, visiva, intellettiva…). Sulla scorta di ciò, quando si parla di “abbattimento delle barriere architettoniche”, si pensa a chi ha problemi di deambulazione; quando ci si pone l’obiettivo di scrivere delle informazioni semplici, si pensa a chi ha una disabilità intellettiva; se si parla infine di “abbattimento delle barriere senso-percettive”, ci si rivolge a chi non vede o vede poco e a chi non sente o sente poco. Il bello è che sviluppando un pensiero attento a tutti costoro, si favoriscono i vari soggetti che compongono la nostra società: bambini, anziani, mamme col pancione o col passeggino, qualcuno che temporaneamente deve convivere con una qualsiasi limitazione e persino chi non conosce bene la lingua del Paese in cui si trova.
Chi scrive, per le proprie competenze, si focalizza essenzialmente sull’analisi critica di quanto viene definito accessibile per le persone con disabilità visive ed è proprio sulla traccia di tale impegno che in questo 2018 abbiamo visitato due importanti musei della nostra Regione, il Friuli Venezia Giulia, riportando un’impressione più che buona al Museo del Territorio di San Daniele del Friuli (Udine) e un senso di “incompiuto” al Museo Carnico delle Arti Popolari Michele Gortani di Tolmezzo (Udine).
In tutti e due i casi abbiamo avuto modo di apprezzare particolarmente le guide, alle quali molto dobbiamo – specie nel secondo museo – per avere rimosso cordonate e consegnato in mano quanti più oggetti possibile, per consentirne l’esplorazione tattile e quindi un’adeguata conoscenza. Propendiamo pertanto per catalogare tali strutture come “visitabili”, in quanto la loro fruizione da parte delle persone con disabilità visiva è il risultato di “accomodamenti ragionevoli”. Siamo comunque consapevoli che un solo gruppo di visitatori con disabilità non fa testo, nonostante in questo caso fosse rappresentato da fruitori ciechi, ipovedenti e anche con disabilità visive complicate da disabilità intellettive, e di età compresa tra i 10 e i 66 anni.
Maggiormente attendibile, invece, anche perché sperimentato con vari gruppi eterogenei per età, disabilità visive e situazioni di pluridisabilità, può considerarsi quanto intendiamo esporre sulla mostra Donne, madri, dee. Linguaggi e metafore universali nell’arte preistorica, realizzata dal 12 novembre 2017 al 22 aprile 2018 dai Musei Civici del Castello di Udine.
Il sito del Museo e alcuni articoli di stampa la reclamizzavano come una «mostra multisensoriale che utilizza una tematica affascinante e coinvolgente, quella della rappresentazione e del significato della figura femminile negli ultimi 40 mila anni, per trasferire ad un pubblico quanto più vasto possibile tutte le riflessioni e le sperimentazioni del progetto COME-IN!» [sia della mostra, sia soprattutto del progetto europeo “COME-IN!”, si può leggere ampiamente anche sulle nostre pagine, N.d.R.].
A parte la mostra, ci attendevamo di trovare realizzata almeno qualche modifica negli spazi espositivi del Museo Archeologico vero e proprio, dato che già nell’anno precedente avevamo segnalato quanto meno alcuni errori nella scrittura delle poche didascalie realizzate a caratteri Braille, quando non anche nelle riproduzioni a rilievo. L’occasione della mostra ci ha offerto l’opportunità di dare un’occhiata anche ad altre riproduzioni dichiarate accessibili alle persone con disabilità visiva, secondo le osservazioni ricevute a seguito di altre visite con vari piccoli gruppi.
Ebbene, le riproduzioni che volevano essere accessibili a chi non vede o vede poco, per lo più non lo erano quasi per nulla: o perché le figure a rilievo – bidimensionali o tridimensionali che fossero – erano troppo piccole, o perché incomplete nei particolari necessari a una loro totale comprensione, o perché addirittura rappresentate in visione prospettica, innaturale per i soggetti ciechi dalla nascita e per questo spesso del tutto incomprensibile. Secondo i princìpi della percezione tattile, infatti, le rappresentazioni, per essere colte adeguatamente, devono essere di dimensioni tali da potersi esaminare comodamente e accuratamente con le mani, private dei particolari non essenziali, ma dotate di quelli necessari.
Inoltre, se da un lato il materiale utilizzato per produrle – una plastica molto rigida – può essere adatto alla loro realizzazione con le più sofisticate tecniche di stampa tridimensionale, dall’altro non è, a nostro parere, il più idoneo a fornire sensazioni tattili precise e gradevoli ai polpastrelli che quindi, non scorrendovi uniformemente, non riescono a trasmettere adeguati impulsi durante l’esplorazione, trasferendo alla coscienza il senso estetico dell’opera (che anche la persona cieca ben educata è in grado di possedere e comprendere). Si tratta di una limitazione che non si verifica invece con l’esplorazione di oggetti in carta o stoffa, ceramica, pietra o comunque in materiali porosi che assorbono e mitigano l’effetto di scivolamento dato dalle particelle di sudore presenti sui polpastrelli.
Ruolo essenziale e assolutamente positivo hanno avuto, anche in questo caso, le persone che ci hanno fatto da guida, molto brave nelle spiegazioni e molto disponibili a soddisfare tutti i nostri interrogativi e le nostre curiosità. Quando infatti il materiale esposto non è di facile lettura, diviene importante avere accanto persone preparate, con buone capacità comunicative ed empatiche, che possano supplire alle deficienze tiflologiche di una mostra.
Più specificamente riguardo alla mostra, di pessima qualità erano le didascalie scritte in Braille, vuoi per il rilievo del tutto insufficiente (totalmente inadatto ad essere colto anche da persone esperte nella lettura tattile), vuoi per la qualità dei testi, spesso con lettere errate e/o parole incomplete.
Spiace, per chi ama l’arte come parecchi tra noi, appurare come un’iniziativa che tanta eco ha avuto sulla stampa generalista e di settore, deluda così profondamente, e spiace ancor più che probabilmente tanto pubblico denaro sia stato sprecato in maniera così superficiale, dato che molto di ciò che abbiamo visto dovrebbe necessariamente essere rifatto; c’è poi ragione per temere che, prima di effettuare la sostituzione, l’ente promotore non provveda a rivolgersi per una supervisione a chi ha effettive conoscenze e competenze in merito al Braille e alle caratteristiche della visione delle immagini attraverso il tatto, cioè a chi effettivamente può definirsi “tiflologo”, perché ne ha titolo ed esperienza.
Dunque, il Museo Archeologico di Udine può essere catalogato appena come “visitabile” a seguito di “accomodamenti ragionevoli”, ciò anche in riferimento alle sue mostre. Non può invece essere promosso ad “accessibile” se non altro perché la navetta per raggiungerlo non è in servizio per tutto l’orario di apertura, e perché chi non vede abbisogna di un accompagnatore vedente per muoversi al suo interno.
Va osservato che nei nostri gruppi vi erano anche visitatori sordi, che a loro volta molto hanno trovato da ridire non tanto su quanto esposto, ma proprio sul concetto di “accessibilità” e sicurezza a loro riferite.
Certamente, noi Associazioni non ci tireremmo indietro se si volesse coinvolgerci. Tra noi ci sono esperti che sicuramente collaborerebbero volentieri già in fase di realizzazione senza che l’Amministrazione si senta costretta a cercare lontano da Udine. Chiamarci a collaudare o, peggio, a inaugurare, non risponde tanto al motto internazionale Niente su di Noi senza di Noi, adottato non certo per supponente superbia anche dalla FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), ma semplicemente a rispettoso monito che non basta sedere su una carrozzina o mettersi una benda sugli occhi o i tappi nelle orecchie per qualche ora, per “vivere” una qualsivoglia disabilità.