Centri di riferimento per la diagnosi ed il trattamento del Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività (ADHD Attention Deficit Hyperactivity Disorder). Modifiche e integrazioni alla DGRC n. 1406/2007: è questo il titolo del Decreto Regionale della Campania n. 51 del 29 giugno scorso, pubblicato finalmente nel Bollettino Ufficiale Regionale del 16 luglio.
Con tale Decreto, la Regione Campania chiede ai Direttori Generali delle ASL l’istituzione di almeno un centro di riferimento per l’ADHD [disturbo da deficit di attenzione e iperattività, uno dei disturbi del neurosviluppo, N.d.R.] per ciascuna delle sette Aziende Sanitarie Locali della Regione stessa.
In Campania, dopo lo stop dato lo scorso anno dal Consiglio dei Ministri alla Legge Regionale sul Neurosviluppo [se ne legga anche sulle nostre pagine, N.d.R.], questo Decreto rappresenta la svolta per le persone e le famiglie di figli con ADHD. Nella nostra Regione, infatti, erano rimasti operativi fino ad oggi solo due dei cinque centri regionali di riferimento per la sindrome ADHD identificati nel 2007.
Tenendo conto che nel 2010 la popolazione della Campania in età evolutiva era di circa 835.831 persone (dati ISTAT 2010-2011), che la Campania è la seconda Regione italiana più popolosa nella fascia d’età tra i 6 e i 18 anni e stando a un valore di prevalenza media del 2%, si dovrebbero avere sul territorio regionale circa 17.000 casi, attualmente non riscontrati. Tanto che si può chiaramente parlare di fenomeno di mancate diagnosi e di una domanda di servizi diagnostico terapeutici enormemente inevasa e sottostimata.
Il recente Decreto Regionale, quindi, accende una speranza, in quanto richiede, come detto, che ciascuna ASL identifichi un’équipe multidisciplinare, preposta a prendere in carico i bambini e ragazzi con ADHD, in base a quanto previsto dal Protocollo Diagnostico Terapeutico per l’ADHD definito dall’Istituto Superiore di Sanità e «in attuazione degli interventi rivolti all’incremento della produttività e della qualità dell’assistenza erogata dagli enti del Servizio Sanitario Regionale», come richiesto con «Deliberazione Consiglio dei Ministri 10/07/2017, acta vii».
Questo Atto Regionale arriva a undici anni dal primo Decreto per l’ADHD del 27 luglio 2007 di cui quello presente è una modifica e un’integrazione. In sintesi, si richiede alle sette ASL della Campania di fornire servizi diagnostici e terapeutici accurati e appropriati. In particolare si chiede che «ciascuna ASL istituisca un proprio centro con una specifica équipe clinica come definita da protocollo diagnostico del 2007» e che «ciascuna ASL effettui la prescrizione anche di eventuale trattamento farmacologico, o quanto meno ne definisca e garantisca le modalità prescrittive»: questo svincola dal doversi recare alle due strutture ospedaliere ad oggi rimaste operative.
Viene inoltre istituito «un gruppo di coordinamento regionale tra l’Ufficio Tecnico Regionale della Salute Mentale e del Farmaceutico e i responsabili della Neuropsichiatria Infantile e dell’Adolescenza dei centri di riferimento, per il monitoraggio dei servizi e soprattutto per la definizione di un PDTA (Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale) Regionale per la sindrome ADHD, che definisca l’uso degli strumenti diagnostici, i trattamenti non farmacologici e farmacologici e le modalità di attuazione di un intervento multimodale».
Si chiede infine che «si individuino le azioni da intraprendere con i pediatri; si definiscano le azioni da intraprendere con la scuola e la famiglia; ogni ASL adotti un proprio PDTA sulla scorta di quello Regionale».
Dopo un decennio di stasi, caratterizzato da un lento e inarrestabile affievolimento della capacità diagnostica della sindrome ADHD nelle strutture di Neuropsichiatra Infantile precedentemente individuate, il Decreto n. 51 rappresenta senz’altro un grosso passo avanti, soprattutto alla luce del già menzionato blocco della Legge Regionale 26/17 sul neurosviluppo.
Si tratta di un provvedimento che certamente non esaurisce il lavoro da fare, ma che dà una grande speranza a tutti noi genitori di figli con ADHD che qualcosa possa cambiare. È la speranza che vengano eliminate liste di attesa anche di anni, per accedere a un percorso diagnostico. Ed è anche la speranza di non dover affrontare i cosiddetti “viaggi della speranza”, per avere una diagnosi fuori Regione. È infine la speranza di avere nei Distretti delle nostre ASL accuratezza diagnostica e appropriatezza terapeutica. Una chimera? Vedremo. Ma adesso, almeno, sembra possibile chiedere tutto ciò.
L’ADHD
Il disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD: Attention Deficit Hyperactivity Disorder), viene definito da Pietro Panei e Andrea Geraci del Dipartimento del Farmaco dell’Istituto Superiore di Sanità come «un disordine dello sviluppo neuropsichico del bambino e dell’adolescente, caratterizzato da inattenzione e impulsività/iperattività» («Notiziario dell’ISS-Istituto Superiore di Sanità», vol. 22, n. 1, gennaio 2009). Tra le altre cose, esso impedisce, a chi ne soffre, di concentrarsi e focalizzarsi su un’attività, con possibili pesanti ricadute sul rendimento scolastico e sul funzionamento sociale. Non dipende da un deficit cognitivo (ritardo mentale) ed è uno dei più comuni disturbi dell’infanzia.
A Vienna, il ventitreesimo Congresso dell’EPA, l’Associazione Europea di Psichiatria, celebratosi dal 29 al 31 marzo 2015, riunendo esperti da 88 diversi Paesi, membri di 37 Enti Nazionali, in rappresentanza di oltre 78.500 psichiatri europei e mondiali, è emerso che l’ADHD ha un impatto sul 5% dei giovani, vale a dire il tasso più alto in assoluto tra i disturbi in età infantile e adolescenziale (fonte: «ADN Kronos», 29 marzo 2015).
In Italia uno dei più recenti studi – durato quattro anni – ha rilevato una prevalenza dell’1,2% di questa patologia nella popolazione di età compresa tra i 6 e i 18 anni («Medico e Bambino», 2012). E si continua a scontare l’arretratezza culturale degli anni precedenti al 2007, quando molto spesso il disturbo era sottodiagnosticato, se non addirittura ignorato.
L’ADHD, infine, si protrae anche all’età adulta, con le seguenti caratteristiche: verso i 20 anni, il 60% dei soggetti hanno remissione sindromica, ma compromissione nel funzionamento adattivo; il 30% hanno evoluzione e/o associazione con altri quadri psicopatologici (ad esempio disturbo antisociale, disturbo dell’umore…); il 10% hanno remissione funzionale e sintomatologica (Biederman J., Mick E., Faraone S.V., Age-dependent decline of symptoms of attention deficit hyperactivity disorder: impact of remission definition and symptom type, in «American Journal of Psychiatry», maggio 2000, 157(5), pp. 816-818). Pertanto, una percentuale significativa dei giovani con ADHD e delle loro famiglie necessitano anche in età adulta di terapie e supporto continui da parte dei clinici e degli operatori sanitari. Ai bisogni, inoltre, di tali pazienti precedentemente diagnosticati prima dei 18 anni, si aggiungono in Italia anche quelli delle persone neo-diagnosticate per la prima volta in età adulta, a causa di una mancata diagnosi in età evolutiva.
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