Come prima e unica Associazione italiana impegnata costantemente nella promozione della figura del disability manager [SIDIMA – Società Italiana Disability Manager, N.d.R.] e nel consolidamento della propria rete professionale – ultima, solo in ordine di tempo, citiamo la recente convenzione stipulata con l’Università di Bari [se ne legga anche sulle nostre pagine, N.d.R.] – proponiamo una possibile chiave di lettura delle novità in materia di lavoro, dopo l’entrata in vigore della Legge 96/18, che ha convertito il Decreto Legge 87/18, meglio noto come “Decreto Dignità”.
Da sempre, per la SIDIMA è importante che i disability manager – in quanto figure responsabili di tutto il processo di integrazione socio-lavorativa delle persone con disabilità all’interno delle imprese: dalla pianificazione, ricerca e selezione, all’inserimento e mantenimento in azienda, fino allo sviluppo professionale e organizzativo – siano costantemente aggiornati e formati sugli strumenti normativi disponibili e sulla loro evoluzione [si legga anche, a tal proposito, sempre su queste pagine: P. Marino Aimone, “Come il disability manager cambierà l’approccio all’inclusione lavorativa”, N.d.R.].
Quale sarà, dunque, l’impatto delle modifiche apportate alla disciplina dei contratti a termine dal “Decreto Dignità” e dalla Legge di conversione sulle assunzioni delle persone con disabilità è difficile da prevedere, anche in considerazione del fatto che i dati di monitoraggio sullo stato di attuazione del collocamento mirato e sull’accesso all’occupazione delle stesse persone con disabilità, forniti dalla Relazione che il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali presenta con cadenza biennale al Parlamento, vengono trasmessi costantemente con ritardo rispetto al periodo considerato: l’ultima Relazione, infatti, che è esattamente l’ottava e riguarda il biennio 2014-2015, è stata trasmessa al Parlamento il 28 febbraio di quest’anno.
Di certo è che il sistema normativo attuale consente ai datori di lavoro di utilizzare tale tipologia contrattuale, nel rispetto di alcune condizioni, per ottemperare agli adempimenti relativi al collocamento obbligatorio (Legge 68/99). In particolare è possibile assumere con contratto a tempo determinato una persona con disabilità tramite convenzione (articolo 11 della citata Legge 68/99), ossia con il documento che il datore di lavoro può stipulare con il servizio per l’impiego competente, al fine di programmare il conseguimento degli obiettivi occupazionali previsti dalla Legge, attraverso l’indicazione dei tempi e delle modalità di assunzione che il datore di lavoro si impegna ad effettuare.
È anche possibile assumere una persona con disabilità con contratto a tempo determinato, pur in assenza di convenzione, e computarla nella quota d’obbligo, purché venga avviata con un contratto di una durata superiore a sei mesi.
Questo è il risultato di interventi normativi che si sono succeduti nel tempo e che hanno reso compatibile la normativa del collocamento obbligatorio con quella del contratto a termine. In conseguenza di ciò, tutte le modifiche apportate dal “Decreto Dignità” e dalla Legge di conversione alla disciplina del contratto a tempo determinato* dovranno applicarsi anche in caso di assunzione con tale tipologia contrattuale di persone con disabilità.
Il “Decreto Dignità”, inoltre, ha apportato modifiche anche al contratto di somministrazione, strumento al quale le imprese possono fare riferimento, rivolgendosi alle Agenzie per il Lavoro, anche per gli adempimenti ai fini del collocamento obbligatorio, qualora la missione avviata sia di durata pari o superiore ai 12 mesi.
Nel contratto di somministrazione di lavoro devono essere introdotte le causali con le stesse modalità previste nei contratti a termine, anche se le stesse non sembrano – nella maggior parte dei casi – riconducibili alle vere ragioni che giustificano il ricorso alla somministrazione per l’assunzione della persona con disabilità.
Sostanzialmente le nuove norme tendono a scoraggiare la reiterazione dei contratti a tempo determinato, per incentivare i contratti di assunzione stabili, specie se riguardanti i giovani under 35, con l’apposita agevolazione contributiva prevista dalle norme stesse.
In quest’ottica, la stabilizzazione di un lavoratore con disabilità dovrebbe essere ancora più appetibile, in virtù dell’incentivo all’assunzione dedicato, recentemente rifinanziato tramite il Decreto Interministeriale del 7 maggio scorso. In particolare, i datori di lavoro privati (inclusi gli Enti Pubblici economici), soggetti o meno all’obbligo previsto dalla Legge 68/99, che assumano con contratto a tempo indeterminato lavoratori con disabilità, beneficiano dell’incentivo introdotto dall’articolo 10 del Decreto Legislativo 151/15 [attuativo del cosiddetto “Jobs Act”, N.d.R.], ovvero contributi all’assunzione per la durata di 36 mesi, con un bonus pari al 35% della retribuzione mensile lorda imponibile ai fini previdenziali, in caso di una riduzione della capacità lavorativa compresa tra il 67 e il 79% e invece pari al 70% della suddetta retribuzione, se il lavoratore è in possesso di una riduzione superiore al 79%. Oppure ancora, nel caso di lavoratori con disabilità intellettiva e psichica dalla quale derivi una riduzione della capacità lavorativa superiore al 45%, l’incentivo spetta per un periodo di 60 mesi, in caso di assunzione con contratto a tempo indeterminato, o di assunzione a tempo determinato di durata non inferiore a dodici mesi, per tutta la durata del rapporto a termine.
A questo punto – premesso che oltre al suddetto incentivo, esistono altre agevolazioni all’assunzione, sia di carattere nazionale (INAIL, Fondo Regionale per l’Occupazione ecc.), sia territoriali, per facilitare l’ingresso al lavoro di giovani con disabilità -, sarà interessante verificare, non appena verrà emanata la disposizione attuativa dell’agevolazione per i giovani under 35, la possibilità di cumulare le due tipologie di incentivo sopra riportate, nei limiti normativamente previsti (il cumulo non si deve tradurre in un’intensità di aiuto superiore al 100% dei costi salariali).
La speranza è dunque che le disposizioni del “Decreto Dignità” abbiano un impatto positivo anche per la stabilizzazione delle persone con disabilità, confidando anche nel fatto che le aziende, valutando l’inserimento di una persona con disabilità, facciano una sorta di “bilancio dell’inclusione”, considerando anche aspetti intangibili, oltre a quelli misurabili con modalità economico-finanziarie tradizionali, ponendo cioè l’accento sul valore aggiunto che tali persone possono dare alle imprese stessa [di ciò si legga anche, sempre su queste pagine, in P. Marino Aimone, “Gioco di squadra e una nuova cultura, per garantire l’inclusione lavorativa”, N.d.R.].
Si ritiene, poi, che il mercato del lavoro debba essere non solo dignitoso, ma anche inclusivo, e che pertanto sia necessario procedere al più presto alla riforma del collocamento mirato.
L’articolo 1 del citato Decreto Legislativo 151/15 aveva demandato la definizione delle Linee Guida in materia di collocamento mirato delle persone con disabilità ad uno o più Decreti del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, da adottarsi entro centottanta giorni. In particolare:
a) promozione di una rete integrata con i servizi sociali, sanitari, educativi e formativi del territorio, nonché con l’INAIL (per il reinserimento e l’integrazione lavorativa delle persone con disabilità da lavoro), per l’accompagnamento e il supporto della persona con disabilità al fine di favorirne l’inserimento lavorativo;
b) promozione di accordi territoriali con le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, cooperative sociali, associazioni delle persone con disabilità e i loro familiari e altre organizzazioni del terzo settore rilevanti, al fine di favorire l’inserimento lavorativo delle persone con disabilità;
c) individuazione, nell’ambito della revisione delle procedure di accertamento della disabilità, di modalità di valutazione bio-psico-sociale della disabilità; definizione dei criteri di predisposizione dei progetti di inserimento lavorativo che tengano conto delle barriere e dei facilitatori ambientali rilevati; definizione di indirizzi per gli uffici competenti funzionali alla valutazione e progettazione dell’inserimento lavorativo in ottica bio-psico-sociale;
d) analisi delle caratteristiche dei posti di lavoro da assegnare alle persone con disabilità, anche con riferimento agli “accomodamenti ragionevoli” che il datore dì lavoro è tenuto ad adottare;
e) istituzione di un responsabile dell’inserimento lavorativo nei luoghi di lavoro, con compiti di predisposizione di progetti personalizzati per le persone con disabilità e di risoluzione dei problemi legati alle condizioni di lavoro dei lavoratori con disabilità, in raccordo con l’INAIL per le persone con disabilità da lavoro;
f) individuazione di buone pratiche di inclusione lavorativa delle persone con disabilità.
Ebbene, ad oggi i suddetti Decreti Attuativi non sono stati ancora emanati e quindi la figura del disability manager – responsabile dell’inserimento lavorativo, come indicato al punto e) – rimane priva di un riferimento normativo nazionale.
Nonostante, quindi, il forte interesse di Università, Ordini Professionali e Aziende alla figura del disability manager e quindi a una gestione manageriale della disabilità, l’assenza di un quadro normativo di riferimento rappresenta un deterrente per lo sviluppo nazionale di tale figura professionale e per le politiche di inclusione lavorativa delle persone con disabilità, permettendo il proliferare di normative di carattere regionali a vantaggio delle sole Regioni virtuose [si legga a tal proposito, sempre su queste pagine, P. Marino Aimone, “Il profilo e le competenze del disability manager”, testo riferito alla Regione Lombardia, N.d.R.].
Pertanto, dopo l’emanazione del “Decreto Dignità”, l’auspicio della SIDIMA è che il nuovo Governo emani al più presto i “Decreti inclusivi” tanto attesi.
*In termini di durata del contratto (12 mesi, estendibili a 24 solo in presenza di causale o entro il diverso limite previsto dai contratti collettivi); di reintroduzione delle causali (ossia determinate motivazioni che giustifichino il ricorso alla tipologia contrattuale) dopo i 12 mesi di contratto, comprensivo di proroghe; di proroghe e rinnovi (non sono ammesse più di quattro proroghe e nel rinnovo la causale va sempre inserita); di aumento degli oneri contributivi (contributo aggiuntivo dello 0,5% che si cumula all’1,5% già previsto dalla “Legge Fornero”. Il contributo è dovuto in occasione di ciascun rinnovo e ha natura incrementale). È escluso dal rincaro il solo settore domestico.