Apprendiamo, dalla lettura del Bollettino Ufficiale 28 della Regione Piemonte del 12 luglio 2018 (codice A14110A, D.D. 9 maggio 2018, n. 302), che l’Assessorato Regionale alla Sanità ha espresso parere favorevole alla realizzazione dei presìdi di seguito descritti:
«-Residenza Assistenziale Flessibile per disabili – tipo B, denominata “Rondò”, con capienza n. 20 posti letto e da ubicare in Via Pastrengo angolo Via Peschiera – Moncalieri (TO); -Comunità Socio Assistenziale per disabili gravi denominata “Rondò”, con capienza n. 10 posti letto e da ubicare in Via Pastrengo angolo Via Peschiera – Moncalieri (TO); -Comunità per disabili gravi non autosufficienti (10+1) che sarà accorpata a quella già esistente presso la Casa Pietro Giachetti di Pinerolo».
Nei primi due casi si tratta dunque di una struttura destinata ad ospitare, in un unico edificio, 30 persone con disabilità. Nel caso di Pinerolo si accorperanno due comunità in un’unica struttura. E anche qui si supererà di gran lunga il numero di persone previsto dalla normativa.
Siamo esterrefatti e molto preoccupati. La nostra Regione, anziché guardare avanti, adeguando le proprie politiche socioassistenziali alle istanze più moderne ed avanzate, quali quelle contenute nella Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, recepita a livello nazionale dalla Legge 18/09 e da ben due Programmi di Azione Biennale, l’ultimo dei quali varato nel 2017, decide non solo di rimanere al palo, ma, addirittura, di tornare indietro, autorizzando le costruzioni di strutture che nemmeno la pur generosa, in tal senso, Legge 112/16, che nella deroga regionale autorizza la realizzazione di soluzioni abitative da 5+5 posti letto, ha osato prevedere.
Eppure, fu proprio l’assessore regionale alla Sanità Antonio Saitta a sottolineare la necessità di riorientare l’attuale sistema socioassistenziale, incentrato primariamente sul ricovero della persona con disabilità in strutture residenziali, verso soluzioni volte alla deistituzionalizzazione e alla promozione della domiciliazione e della vita indipendente, nonché al sostegno dell’autodeterminazione, pena l’insostenibilità economica, dallo stesso Assessore paventata, dell’intero comparto assistenziale.
Inoltre, davvero si può credere che una struttura da 20+10 posti possa rappresentare una soluzione rispettosa della dignità della persona con disabilità, come se questa fosse portatrice di diritti “attenuati” e dunque non pienamente esigibili rispetto al resto dei cittadini, a partire dal rispetto della volontà di vivere dove e con chi si vuole?
Vale la pena ricordare la definizione di istituzionalizzazione contenuta nel citato Secondo Programma di Azione Biennale e la stretta correlazione di questa con il concetto di segregazione: «L’istituzionalizzazione, ossia l’imposizione – esplicita o implicita – a trascorrere la propria quotidianità (anche in parte) in luoghi nei quali non è consentito l’esercizio della scelta di dove, come o con chi vivere, appare una delle forme di segregazione da contrastare con maggiore urgenza e impegno, pensando sia alle persone che oggi vivono in istituzioni totali, sia a quelle che vi sono a rischio».
Non crediamo sia necessario aggiungere altre parole.
È poi curioso che, se da un lato l’Assessorato alle Politiche Sociali avvia un tavolo di concertazione con le Associazioni per ridiscutere le linee guida inerenti i progetti di vita indipendente, con una dichiarata disponibilità ad accogliere i princìpi della Convenzione ONU e delle sue emanazioni in àmbito nazionale, dall’altro l’Assessorato alla Sanità intraprenda iniziative che vanno in una direzione diametralmente opposta.
Ci attiveremo con impegno e determinazione, come Consulta per le Persone in Difficoltà, per contrastare ogni iniziativa che non sia rispettosa dei diritti dei cittadini, primo fra tutti il diritto all’autodeterminazione.