Riceviamo e ben volentieri pubblichiamo dall’UICI di Torino (Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti).
Alcuni giorni fa, sul quotidiano «la Repubblica», nelle pagine della cronaca di Torino, è uscito un articolo, a firma del giornalista Diego Longhin, che racconta le lamentele dei dipendenti delle anagrafi periferiche, alle prese con disagi di ogni sorta.
Nella sezione dedicata ai problemi di personale, il cronista riportava il pensiero di un dipendente della Circoscrizione 6, che si esprimeva in questi termini: «La situazione è disastrosa. Possiamo contare solo su due colleghi sani, gli altri sono sordi, ciechi e zoppi. Non ho mai visto un posto con tanti casi particolari, secondo me in questi anni si sono divertiti. Hanno detto: “quello è il cestino dei rifiuti”».
Parole che, a nostro avviso, meritano qualche riflessione. Dopo aver letto l’articolo, il nostro socio e amico Christian Bruno, membro tra l’altro del Comitato Autonomie e Mobilità e del Comitato Ipovedenti della nostra Associazione, ha scritto una lettera molto bella, lucida e rigorosa, ma senza polemiche. La riportiamo per intero, poiché ne condividiamo e ne sottoscriviamo pienamente il contenuto.
«Egregio Dottor Longhin,
Mi chiamo Christian Bruno e appartengo alla categoria dei “sordi, ciechi e zoppi”, insomma non a quella dei “sani”. Ho letto con sgomento l’articolo da lei scritto, apparso oggi 4 ottobre nella sezione torinese della Repubblica, dal titolo Il grido di dolore degli uffici decentrati, violenze e sedi vecchie, ci hanno lasciato soli. La protesta nel quale si racconta la situazione di disagio vissuta in questo periodo dalle anagrafi decentrate. Nella sezione dell’articolo dedicata al personale operante negli uffici, lei raccoglie l’esposizione di un dipendente che sostiene: “La situazione di via Leoncavallo è disastrosa. Possiamo contare solo su due dipendenti sani, gli altri sono sordi, ciechi e zoppi. Non ho mai visto un posto con tanti casi particolari, secondo me in questi anni si sono divertiti”. Sino ad ipotizzare che quel luogo possa essere “il cestino dei rifiuti”.
Dottor Longhin, senza dubbio lei ha riportato fedelmente le parole di un operatore che intravede nella disabilità non una possibilità di riscatto e di partecipazione alle attività sociali e lavorative della vita, ma un peso per la collettività e un ostacolo allo svolgimento di un servizio. Ritengo però che il suo bellissimo lavoro, frutto di un percorso formativo importante, debba renderla consapevole che l’analisi scorretta di un dipendente comunale necessiti, da parte sua, di un’articolazione nel racconto.
Tra le persone disabili vi sono diversi tipi e gradi di disabilità, diversi livelli di istruzione e formazione, e soprattutto tantissime sfaccettature caratteriali che conducono questi esseri umani “non sani”, come il sottoscritto, a rapportarsi con la società, il lavoro, l’amore, attraverso modalità diverse. Quindi, restando in tema lavorativo, vi sono disabili fannulloni e altri che cercano di dare il meglio, contestualmente alla disabilità. Ogni disabile, inserito in un contesto adatto, può senza dubbio contribuire a questo Paese. Lei, tramite il quotidiano per cui scrive, ha un’importante ruolo che non è solo quello di mera informazione, ma anche di contribuire alla formazione delle opinioni e coscienze dei lettori. E siccome, come lei sa, il mondo dell’informazione sta cambiando, la carta stampata può ancora rivestire un ruolo di riflessione e approfondimento rispetto ad altre fonti.
Secondo lei, dunque, le parole riportate nel suo articolo che opinioni possono costruire in merito alla disabilità e al lavoro? Le rilegga ancora e forse capirà. E capirà che quel dipendente ha tradito anche lei, ha tradito la sua intelligenza, che deve consentirle di formulare un’analisi in merito all’argomento di cui si sta occupando. E spesso per farlo bisogna conoscere l’argomento che si sta affrontando. Bisogna conoscere le persone. Enzo Biagi lo sapeva.
E poi, che cosa significa essere “sani”? Avere il colesterolo sotto ai 200 mg, non avere attacchi di panico? Le confesso che sono stanco di rincorrere l’ignoranza non giustificata. Noi “diversamente sani” ci rapportiamo ogni giorno con enti, amministrazioni e “uomini della strada” per ottenere servizi, che spesso, non essendo erogati, ci trasformano in veri disabili. E sappia che operano molti giornalisti con disabilità. E che raccontano bene anche il mondo dei “sani”.
Cordialmente. Christian Bruno».
Sull’accaduto ha preso posizione anche il nostro presidente Franco Lepore: «In quell’articolo – ha dichiarato – viene fornita una visione assolutamente distorta dei lavoratori con disabilità, figlia di una cultura stereotipata, che appartiene ormai al passato. Evidentemente esiste ancora scarsissima considerazione delle capacità lavorative delle persone con disabilità. La missione della nostra Associazione è anche quella di promuovere la cultura dell’inclusione nel contesto lavorativo e in generale nella società. Ovviamente, se i protagonisti di questa triste vicenda vorranno venirci a trovare, ci dichiariamo fin d’ora disponibili ad un incontro chiarificatore e ad un confronto costruttivo».
Solo poche parole a commento, da parte della redazione di «Superando.it», a rischio di sconfinare nell’ovvio: siamo sicuri che sia sufficiente inserire le virgolette di apertura e chiusura, quando si pubblicano certe frasi e certe espressioni? In un’epoca come questa?
Unione Italiana dei Ciechi e egli Ipovedenti, Sezione di Torino.
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