Da qualche anno si sente sempre più spesso che i genitori di alunni con disabilità vengono invitati o chiedono di iscrivere i propri figli a scuole e istituti speciali.
Contrariamente a quello che si crede, le scuole e gli istituti speciali non sono mai stati aboliti in Italia; anzi, l’articolo 328 del Testo Unico della Legislazione Scolastica, approvato con il Decreto Legislativo 297/94, le ha consacrate normativamente addirittura sia come scuole statali che come private.
Di questi tempi, a causa anche della cattiva qualità dell’inclusione scolastica, purtroppo realizzata in un numero crescente di scuole statali, si è aperta una campagna pubblicitaria per stimolare l’iscrizione in scuole speciali, decantandone le meraviglie. E che spesso si tratti di bei locali, riccamente arredati, risponde alla pubblicità di marketing. E tuttavia, non si tiene conto dello scotto che queste ragazze e ragazzi pagano, entrando in locali ben reclamizzati, ma senza contatti normali con il mondo esterno. Sì, talora vengono organizzati incontri con volontari, per non far sentire troppo soli questi allievi, ma non sono i rapporti spontanei che si instaurano nelle classi comuni, dove ormai da cinquant’anni l’Italia cerca di inserire, integrare e includere gli alunni con disabilità.
Abbiamo tantissimi esempi di inclusione riuscita con giovani con disabilità che escono dalle scuole e trovano un lavoro o rimangono in contatto quotidiano con i compagni e le compagne di scuola. Però ci sono casi di cattiva inclusione e questo fa scadere nell’immaginario collettivo i vantaggi dell’inclusione. Anzi, questi casi, diffusi dalla stampa e dai social-media, spingono le famiglie a cominciare a pensare all’opportunità offerta dalle scuole e dagli istituti speciali.
Si pensi, ad esempio, ai casi di mancato funzionamento del servizio di trasporto gratuito alle scuole pubbliche, del ritardo nella nomina dei docenti per il sostegno o della loro girandola di anno in anno e talora durante lo stesso anno, o anche della mancata nomina di assistenti per l’autonomia e la comunicazione e della mancata assistenza igienica a scuola, per sopperire alla quale spesso le famiglie vengono invitate a recarsi in classe, per pulire i figli privi del controllo degli sfinteri.
Si pensi ancora alla quasi totale assenza di progetti individuali di vita delle persone con disabilità voluti dall’articolo 14 della Legge 328/00, Legge di riforma dei servizi sociali, richiamato dall’articolo 6 del Decreto Legislativo 66/17, attuativo della cosiddetta Buona Scuola.
Si pensi infine all’abbandono della buona prassi degli Accordi di Programma, che hanno permesso, specie al Nord Italia, di realizzare il coordinamento tra i diversi servizi territoriali che rendono praticabile il progetto di vita individuale.
A questo punto arriva il “canto delle sirene” delle scuole speciali, che convincono le famiglie ad iscrivere i loro figli con disabilità presso tali istituzioni emarginanti, scaricando però la famiglia di tutte le preoccupazioni e le cause legali che esse debbono affrontare per l’inclusione nelle scuole comuni.
Nelle scuole speciali, quali strutture totali, l’organizzazione pensa a tutto. La famiglia è sollevata da ogni preoccupazione: è una situazione assai allettante, quella prospettata dalle scuole speciali!
Per contrastare questa deriva, oltre che a una mobilitazione culturale basata sulle numerosissime buone prassi di inclusione realizzate in Italia, occorre porre immediatamente rimedio alle disfunzioni lamentate. Occorre far sì che i disservizi cessino e che le famiglie siano soddisfatte della qualità dell’inclusione realizzata. In caso contrario, c’è il rischio che il marketing delle scuole e degli istituti speciali possa gravemente danneggiare quanto di positivo abbiamo realizzato in Italia.
E in clima di populismo politico, i timori di una regressione sociale in questo campo, ampliati dai social-media, sono forti
Presidente nazionale del Comitato dei Garanti della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), della quale è stato vicepresidente nazionale.
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