Idioti, cretini, deficienti, stupidi, scemi, impediti e poi anche “mongoli” e ora anche autistici. E tutti ridono e sghignazzano.
Quasi tutti gli insulti e le parolacce derivano da parole usate anche dalla “scienza” per descrivere la disabilità. Lo scenario è sempre quello: il più forte e il più bravo a conquistare l’attenzione della folla indica una persona “diversa”, come modello di inferiorità (lo “scemo del villaggio”). E la folla applaude, ride, si diverte.
Lo “spettacolo” non è nuovo, si ripete da secoli, in ogni epoca e ad ogni latitudine: ancora oggi nelle piazze come nelle scuole, nei parcheggi come nei ristoranti. Cambiano solo le parole: idioti, cretini, deficienti, stupidi, scemi, impediti e poi anche “mongoli” e ora anche autistici. L’insulto viene usato per colpire l’avversario sotto la cintura: per togliergli lo status di cittadino, di persona.
Perché è questo che Beppe Grillo ha detto domenica scorsa: le vostre parole sono come quelle degli autistici, non valgono nulla.
Colpiti e affondati: forse gli avversari politici, di certo le persone con autismo e, in solido, tutte le persone con disabilità. E non serve affannarsi a spiegare che quelle non sono solo parole, ma pietre, sempre più pesanti, lanciate contro chi già è in affanno nella vita.
E non serve illustrare con parole chiare e ben argomentate che le menomazioni non tolgono nemmeno un grammo ai diritti e alla dignità di ogni persona.
E non serve dimostrare con dati e esempi che le persone con disabilità, con gli opportuni sostegni, contribuiscono già oggi allo sviluppo sociale, economico ed etico della società.
E non serve neppure far notare, sul filo dell’ironia, che senza una persona con la sindrome di Asperger non avremmo computer, programmi e piattaforme digitali (Rousseau compresa [Rousseau è la piattaforma digitale del Movimento 5 Stelle, N.d.R.]).
Idioti, cretini, deficienti, stupidi, scemi, impediti e poi anche “mongoli” e ora anche autistici. E tutti giù a ridere e a sghignazzare. Fine della storia.
Sarà, ma a me viene solo da piangere.