In un’Italia fatta non solo di cervelli in fuga, ne abbiamo incontrati alcuni di “belli e residenti”, con tutto il loro indispensabile involucro che li trasforma in persone. Ci hanno illustrato importanti novità sulla ricerca sul cervello.
L’occasione è stata l’evento di fine settembre sullo stato attuale della ricerca in questo campo, organizzato dall’Istituto Neurologico Besta di Milano e dal Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia. Molti i temi trattati, ma ci siamo soffermati in particolare sulle novità per Alzheimer, Parkinson, demenza frontotemporale e paralisi cerebrale infantile, per concludere con un approfondimento sui costi/benefici dei trattamenti riguardanti il nostro organo pensante.
Era dunque il 28 settembre scorso, quando il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano è rimasto aperto gratis sino a notte fonda per l’Open Night denominato A tu per tu con la ricerca, con un carnet di incontri riccamente assortito e confezionato per il pubblico qualunque.
Non serviva una laurea in astrofisica per comprendere il linguaggio degli specialisti internazionali intervenuti. La “notte bianca del cervello” seguiva il convegno internazionale Towards the future of brain research: Besta young researchers’ international conference [“Verso il futuro della ricerca sul cervelli: conferenza internazionale dei giovani ricercatori del Besta”, N.d.R.], promosso, come detto, dall’Istituto Neurologico Besta il 27 e 28 settembre al museo milanese: decine di ricercatori da tutto il mondo per delineare gli scenari della ricerca sul cervello dei prossimi anni.
Fabio Moda, ricercatore al Besta dal 2007, mi ha parlato di malattie che comportano la morte delle cellule cerebrali: «Malattia di Alzheimer, malattia di Parkinson e demenza frontotemporale sono malattie neurodegenerative debilitanti e non curabili causate da un processo cronico di morte delle cellule nervose. Colpiscono un numero crescente di soggetti e sono caratterizzate dall’accumulo nel cervello di aggregati proteici che sono considerati biomarcatori di malattia. La loro identificazione, e quindi la conferma diagnostica, può avvenire solo mediante analisi neuropatologiche condotte su cervello prelevato all’autopsia. In collaborazione con diversi centri esperti di malattie neurodegenerative (sia nazionali che internazionali), stiamo sviluppando dei test estremamente sensibili che ci permetteranno, in un futuro non troppo lontano, di rilevare la presenza di questi biomarcatori in tessuti periferici prelevabili con tecniche assolutamente non invasive, tra cui sangue, urina e mucosa olfattoria. Questo ci consentirà di formulare una diagnosi precoce, quando cioè il paziente è ancora in vita. Ma, soprattutto, nel momento in cui verranno identificate terapie efficaci per queste malattie, sarà possibile trattare i pazienti quando ancora nel cervello non si saranno verificati danni severi ed irreversibili».
Riccardo Masson, neuropsichiatra infantile sempre all’Istituto Besta, ha fatto invece il punto sulla paralisi cerebrale infantile: «La paralisi cerebrale infantile è la principale causa di disabilità neuromotoria in età pediatrica. La forma unilaterale (o emiparesi congenita) è quella più frequente e nella maggioranza dei casi è l’esito di un’ischemia cerebrale in epoca prenatale o alla nascita. La gravità del disturbo dipende dall’estensione del danno cerebrale e dai meccanismi con cui il cervello si adatta alla lesione. Il prezzo da pagare per il recupero dell’utilizzo dell’arto affetto è un peggior controllo del movimento, dovuto ad una riorganizzazione non fisiologica delle vie motorie. Diversi programmi di abilitazione motoria precoce e intensiva si sono dimostrati efficaci nel migliorare il controllo motorio, favorendo uno sviluppo più simile a quello fisiologico. Ma tutti richiedono molte ore di trattamento. L’associazione con metodiche di stimolazione cerebrale non invasiva, tra cui la tDCS (transcranial Direct Current Stimulation), potrebbe potenziare l’effetto della riabilitazione motoria e accorciarne i tempi. L’efficacia di queste metodiche è in corso di studio».
Infine, Alberto Raggi, psicologo al Besta dal 2004, che con Fabio Moda ha organizzato il convegno, ha prodotto una significativa ricerca sugli aspetti economici: «In Europa almeno il 40% delle persone ha una malattia neuropsichiatrica. Sono responsabili di un terzo della disabilitàe sono costose: circa 800 miliardi l’anno, ovvero 5.500 euro a paziente. Ma questo non ce le faccia intendere solo come un costo. Prendiamo infatti il bilancio dei costi/benefici dei trattamenti della malattia neurologica più diffusa: la cefalea. Se pensiamo alle forme più gravi, che hanno frequenza quasi quotidiana, servono due-tre mesi per compensare il costo del trattamento di disintossicazione ospedaliera, ma i benefìci perdurano per almeno altri tre anni, ovvero con un ritorno secco di circa 7.000 euro all’anno per paziente. Il bilancio costi/benefici in Europa sulle cefalee di tipo episodico suggerisce che l’implementazione di un processo a “gradini” di intensità di cura – dove il 90% dei pazienti riceverebbe un trattamento adeguato senza ricorrere a specialisti – produce un risparmio di 320 euro all’anno per paziente. Che altro dire?».
Questo nostro cervello, dunque, che certe volte inspiegabilmente si ammala, ora ha qualche speranza in più per stare tranquillo.
Testo già apparso in “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it» (con il titolo “Novità sulla ricerca cerebrale”) e qui ripreso – con alcuni riadattamenti al diverso contenitore – per gentile concessione.
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