Io sto con Elio, perché qui si parla di diritti umani!

di Simonetta Morelli*
«Una tendenza diffusa sui social - scrive Simonetta Morelli -, e ritrovata tra i commenti alla lettera con cui Stefano Belisari, in arte Elio, ha replicato duramente alle parole pronunciate da Beppe Grillo sull’autismo, è quella di ridicolizzare e ridurre a fissazione la questione della correttezza del linguaggio. Come se non stessimo parlando di diritti umani! Io sto con Elio l’artista e con papà Stefano, con la sua famiglia e la loro solitudine, in attesa che una luce deflagri nella testa di chi ha la responsabilità di un ruolo pubblico e ci liberi da velenose vanità e inutili insulsaggini»
Stefano Belisari, in arte Elio
Stefano Belisari, in arte Elio, è padre di un bimbo con disturbo dello spettro autistico

Elio non ci sta! Il frontman del gruppo musicale Elio e le Storie Tese ha risposto duramente alle spiegazioni senza pentimento e senza scuse di Beppe Grillo [il riferimento è alle parole sull’autismo pronunciate da Grillo, nel corso di una pubblica manifestazione a Roma il 21 ottobre scorso, N.d.R.]. Lo ha fatto fa con una lettera aperta ospitata dal «Fatto Quotidiano». Una lettera chiarissima, molto diretta nei toni e nei contenuti in cui Elio rimprovera a Grillo (come non condividere?) di parlare a vanvera quando esprime «vicinanza» a «chi vive il dramma di situazioni familiari quasi impossibili da sostenere», riservandosi però di continuare a «usare metafore».

Una tendenza diffusa sui social, e ritrovata tra i commenti a questa lettera, riporta un dato agghiacciante, ma antico: la totale mancanza di ascolto nei confronti di chi la disabilità la conosce e la commenta professionalmente da tanti anni. La questione della correttezza del linguaggio è ridicolizzata e ridotta a fissazione. Come se non stessimo parlando di diritti umani!
Meglio forse le righe insapore di Massimo Fini, apparse nel sito di quest’ultimo? Il giornalista divenuto cieco a causa di una malattia, si erge a difensore strenuo del diritto della pseudo-satira grilliana tacciando di ipocrisia chi chiede rispetto del linguaggio, ignorando del tutto la differenza tra insulto e satira. Che invece era chiarissima a un altro giornalista, a Franco Bomprezzi [direttore responsabile di «Superando.it», fino alla sua scomparsa, nel dicembre del 2014, N.d.R.], il quale, nell’articolo intitolato Il confine tra satira e violenza, in una situazione diversa, ma del tutto sovrapponibile nei meccanismi (si trattava di un sito web), scriveva su queste stesse pagine: «È la censura, l’oscuramento del sito, la risposta più corretta? Non so, non credo, non mi interessa. Mi basterebbe notare un sussulto di buona coscienza, da parte dei presuntuosissimi autori del sito, che si gloriano delle denunce arrivate o in arrivo. Mi basterebbe l’ammissione, sia pure tardiva, di avere esagerato, di non aver colto il confine tra satira e violenza. Violenza, certo. Contro chi non si può difendere, o perché non ha parole, o perché comunque già è sottoposto allo stigma sociale per la sua diversità. E invece assistiamo alla solidarietà sgangherata dei difensori ad oltranza del libero web. In questo modo, paradossalmente, si apre la strada alla censura. E all’imbarbarimento».

Antonio Giuseppe Malafarina, in uno scambio redazionale di InVisibili, il blog del «Corriere della Sera.it», ha affermato che «scherzare su “sordi e ciechi” è possibile semplicemente perché ormai la società ne ha acquisito la percezione, dell’autismo no», riprendendo in tal senso un’altra lezione di Bomprezzi, apparsa sempre su queste pagine, nell’articolo Perché le parole della disabilità si logorano così presto: «Le parole si logorano perché in Italia, più che altrove, la disabilità è connotata negativamente, come un fardello ingombrante, un peso, un carico di sfortuna, di sofferenza, di diversità, di dolore. Le persone con disabilità in Italia si dividono in due: eroi o vittime. La normalità non esiste, viene sacrificata sull’altare di una comunicazione fuori registro, spesso ignorante e superficiale, incapace di trovare la sintonia tra le parole e le cose».

Il problema è stato – ed è – la leggerezza e l’ignoranza crassa di Grillo e di chi lo difende, non il presunto bigottismo delle famiglie. Il problema era ed è il contesto sempre più rabbioso e vendicativo (altro che vicinanza) in cui sono visti gli altri da sé, comprese le persone con disabilità, alle quali non viene negata solidarietà, ma «a casa loro». Infatti, tra i detrattori di Elio c’è chi ha dichiarato di aver firmato la petizione lanciata nei mesi scorsi da Uniti per l’Autismo, il Comitato lombardo delle Associazioni per l’autismo di cui Elio è testimonial.
Una firma ai bimbi disabili non si nega, basta che se ne stiano al posto loro. Pietismo più razzismo, uguale ricatto morale. Taci o ti sommergo. Ti sopporto e per giunta ti lamenti… Questa è violenza, più sottile rispetto al passato, che non sempre le persone con disabilità e le loro famiglie sanno cogliere.
E non c’è pace, no, per la famiglia Belisari e per papà Stefano (così si chiama Elio nella vita), al quale viene anche raccomandato di tornare alle Storie Tese, alla surrealtà della sua arte, invece di piagnucolare. Come se non fosse già surreale questa mancanza di rispetto per l’azione coraggiosa di un uomo di spettacolo che d’accordo con la sua famiglia decide di mettere in piazza la vicenda personale e intimissima dell’esistenza di un figlio autistico. Lo ha fatto il 2 aprile scorso [se ne legga anche sulle nostre pagine, N.d.R.], con grande scalpore mediatico, a favore del citato Comitato Uniti per l’Autismo. Che ha riunito in Lombardia, lo ricordiamo, più di quaranta Associazioni – un vero miracolo – con lo scopo principale di ottenere l’operatività della Legge Regionale per l’autismo [Legge Regionale Lombarda 15/16, N.d.R.], già finanziata; e che darebbe sollievo a centinaia a di famiglie.
Uniti per l’autismo è una realtà di faticosissima composizione e gestione. Basti pensare che quasi ogni famiglia fonda una micro-associazione per tutelare il proprio figlio; perché non c’è ascolto istituzionale, non c’è politica efficace, se, come dice Elio/Stefano, non sappiamo nemmeno quante sono le persone autistiche sul territorio nazionale.
Superando le barriere della diversità tra autistici e relative diversissime esigenze, Uniti per l’autismo – uscita anche con un comunicato stampa di reazione alle parole di Grillo – ha messo in atto un esperimento politico che funziona perché guarda ai fatti e che ha trovato subito un “gemello” in Calabria. Sarebbe interessante se in ogni Regione si creasse un coordinamento che chieda ai propri Amministratori linee guida chiare e leggi serie per la gestione dell’autismo sul territorio.

Ecco quale fatica ha difeso papà Stefano approfittando della propria notorietà come Elio e le Storie Tese contro la pseudo-satira di Grillo. Sul muro di gomma delle famiglie rimbalzano ancora quelle risate di Roma. Anche quelle dei membri del Governo, che hanno chiesto scusa al Presidente Mattarella, ma non ai Cittadini autistici e alle loro famiglie che, al posto del Governo, cercano soluzioni e supporto. E sostegno. E conforto.
Forse è arrivato il momento della censura, preconizzato e temuto da Bomprezzi? L’imbarbarimento, intanto, è provato.

Ha scritto Giovani Merlo, direttore della LEDHA (la Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità che costituisce la componente lombarda della FISH-Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), in un’Opinione che non ha bisogno di commenti, sulle pagine di «Superando.it» (e ha irrimediabilmente ragione): «È uno “spettacolo” che si ripete da secoli e ancora oggi accade nelle piazze, nelle scuole, nei parcheggi, nei ristoranti. L’insulto che viene usato per colpire l’avversario sotto la cintura: per togliergli lo status di cittadino, di persona. Perché è questo che Grillo ha detto: le vostre parole sono come quelle degli autistici, non valgono nulla».
Io sto con Elio l’artista e con papà Stefano, con la sua famiglia e la loro solitudine. In prossimità, come gli amici di Giobbe. Sul letamaio, in attesa che una luce deflagri nella testa di chi ha la responsabilità di un ruolo pubblico e ci liberi da velenose vanità e inutili insulsaggini.

Il presente testo è già apparso in InVisibili, blog del «Corriere della Sera.it», con il titolo “La linea (non proprio sottile) tra satira e insulto”. Viene qui ripreso, con alcuni riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.

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