Abbiamo visto qualche giorno fa su YouTube e letto nelle dichiarazioni congiunte di Lorenzo Fontana, ministro per la Famiglia e le Disabilità, di Marco Bussetti, ministro dell’Istruzione e dello stesso vicepremier Matteo Salvini, l’annuncio in pompa magna sull’utilizzo dei fondi PON (Programma Operativo Nazionale), per l’organizzazione di corsi LIS (lingua dei Segni Italiana), rivolti agli insegnanti di sostegno [anche il nostro giornale ne ha dato notizia, N.d.R.].
Nella rivista «Orizzonte Scuola» leggiamo ulteriori dettagli operativi: messa a disposizione immediata di 6 milioni di euro per l’iniziativa e pubblicazione dei bandi di formazione nel giro di poche settimane.
Queste le affermazioni disinvoltamente pronunciate dal ministro Fontana: «Gli insegnanti acquisiranno una preparazione pedagogica specifica nell’àmbito della sordità, nonché una padronanza lessicale per comunicare con un grado di spontaneità sufficiente a interagire con l’alunno sordo segnante».
Parto dalla preparazione pedagogica specifica e mi chiedo: ma al posto di ipotizzare una buona formazione “ex post”, non sarebbe più semplice riformulare il progamma formativo nei corsi di specializzazione per il sostegno? Possibile immaginare un insegnante di sostegno che esca dal corso senza un minimo di preparazione sulla sordità o sulla cecità? Evidentemente qualcosa non torna.
E ancora: ma un Ministro può veramente credere che gli insegnanti, con qualche ora di formazione di base, maturino la competenza sufficiente a interagire (in LIS) con l’alunno sordo segnante? Non sto peraltro a sottolineare lo svarione sulla «competenza lessicale», come se il conoscere un certo numero di segni implicasse la padronanza di una lingua. Forse qualcuno dovrebbe spiegare al Ministro che gli interpreti LIS impiegano anni e migliaia di ore di formazione per raggiungere quella competenza che egli immagina potersi ottenere con qualche rapido corso.
Queste decisioni, per altro, nascono anche da una misconoscenza e da una sottovalutazione di cosa sia veramente la LIS, che nei fatti viene ritenuta poco più che un sistema raccogliticcio di segni che tutti possono utilizzare e apprendere senza particolare sforzo.
Il progetto di Legge Nazionale sul riconoscimento della LIS giacente in Parlamento [AC 4679, N.d.R.] viaggia in questa stessa direzione ed è per questo motivo che lo abbiamo vivamente osteggiato.
La pubblicistica, inoltre, ci mette del suo quando leggiamo sui giornali titoli come questo: Corso LIS alla Polizia Municipale, 30 ore di formazione per permettere ai vigili di comunicare con gli automobilisti sordi. Se provassimo a sostituire la LIS con una qualsiasi altra lingua, come ad esempio il tedesco, l’arabo oppure il cinese, qualcuno si azzarderebbe a parlare di competenza comunicativa in tal modo acquisita?
Nel caso specifico stiamo per altro parlando della scuola, dove un corretto e competente uso dei vari sistemi linguiistici dovrebbe essere l’obiettivo di tutti.
L’altra aberrante implicazione contenuta in tali decisioni sta nell’immaginare che l’insegnante di sostegno necessiti della LIS per comunicare con l’alunno sordo, come se non esistesse anche l’italiano. La strada maestra per l’alunno sordo sta, a parere di chi scrive, nell’acquisizione di un perfetto bilinguismo, che prevede una buona competenza nella LIS, ma anche nell’italiano parlato e scritto, perché il bimbo non vive e non vivrà in una campana di vetro costituita da persone segnanti. Per altro il bilinguismo prevede anche una precisa modalità, ovvero ad ogni persona la sua lingua: c’è chi parla e c’è chi segna, senza confusione di ruoli. L’assistente all’autonomia e alla comunicazione, nel caso di bimbi sordi segnanti, sta lì per questo, i segni lasciamoli a lui.
A questo riguardo va anche detto che nell’Associazione che rappresento si diventa assistenti all’autonomia ed alla comunicazione partecipando ad un corso che fa seguito a quello per interpreti, proprio per avere il massimo livello possibile di competenza linguistica in LIS.
L’esito prevedibile di questa formazione in LIS sarà il seguente: l’ alunno sordo segnante osserverà i goffi tentativi di comunicazione in LIS messi in atto dal proprio insegnante di sostegno, che a lui appariranno l’equivalente di un inglese maccheronico. Il tutto utile solo a squalificare, nella percezione dell’alunno sordo, il ruolo dell’insegnante medesimo.
Onde evitare che qualcuno la ritenga un’ipotesi bizantina, mi è utile narrare il fatto che in più di un’occasione abbiamo avuto riscontro di assistenti alla comunicazione che in aula sono stati corretti, nella produzione linguistica LIS, da parte dei loro stessi alunni sordi.
L’ulteriore sconcerto nasce dal fatto che a tale impegno di spesa da parte del Ministero si accompagna, ormai da anni, una costante diminuzione delle ore di sostegno e delle ore di assistenza alla comunicazione per i bimbi sordi ad ogni livello di scolarità.
Se i fondi ci sono, si incrementino le ore di copertura delle varie figure che ruotano attorno all’alunno sordo. Se ne avvantaggeranno la didattica, gli insegnanti, gli assistenti, ma, in prima istanza, ne trarranno profitto gli stessi alunni sordi, per i quali diventeranno finalmente credibili le parole del ministro Bussetti, quando parla di inclusione, di pari opportunità, di accesso alla comunicazione e di piena partecipazione alla vita collettiva.