In occasione della Conferenza per la Giornata Europea delle Persone con Disabilità, organizzata dalla Commissione Europea a Bruxelles il 3 e 4 dicembre scorsi, in qualità di rappresentante del Comitato Giovani dell’EDF, il Forum Europeo della Disabilità, mi è stato chiesto di presentare le aspettative dei giovani con disabilità riguardo alla Strategia Europea sulla Disabilità 2020-2030.
Questa richiesta mi ha condotto a riflettere su che cosa effettivamente potrebbe cambiare la condizione di vita di tanti ragazze e ragazzi di tutta Europa. La lettura della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità è sempre il mio punto di riferimento e anche questa volta è stata fonte di ispirazione.
C’è una parola nella Convenzione che viene citata una sola volta, dunque questo termine potrebbe apparire secondario rispetto ad altri. Questa parola è empowerment e viene giustamente citata all’articolo 6, Donne con disabilità. Ma che cosa significa empowerment?
È un sostantivo molto denso di significati. Una semplice ricerca su internet ci dice che si tratta della conquista della consapevolezza di sé e del controllo sulle proprie scelte, decisioni e azioni, sia nell’àmbito delle relazioni personali, sia in quello della vita politica e sociale.
Se si va dunque a rileggere la Convenzione tenendo presente il significato di empowerment, ci si rende conto che tutto il testo è pervaso da questo concetto. Basti pensare all’articolo 8 (Accrescimento della consapevolezza), letto congiuntamente all’articolo 24 (Educazione), per evincere il rilievo che viene dato all’autodeterminazione delle persone con disabilità, al loro valore e alla consapevolezza da parte loro dei propri diritti e delle proprie potenzialità, in un apprendimento continuo lungo tutto l’arco della vita. È chiaro, infatti, che se si parla di «combattere gli stereotipi e di promuovere la consapevolezza delle capacità e i contributi delle persone con disabilità», del «riconoscimento delle capacità, dei meriti e delle attitudini delle persone con disabilità», nonché dello «sviluppo, da parte delle persone con disabilità, della propria personalità, dei talenti e della creatività, come pure delle proprie abilità fisiche e mentali, sino alle loro massime potenzialità», è di empowerment che si sta parlando.
Sappiamo tutti che ciò che viene sancito dalla Convenzione ONU, purtroppo, non sempre viene attuato o perlomeno non completamente: c’è uno scollamento tra la raffinatezza dei temi espressi e quello che poi effettivamente le persone vivono.
Certamente, se non si conoscono o non si è consapevoli dei propri diritti, è difficile poterli esercitare e farli rispettare. La Commissione Europea mette a disposizione programmi e azioni a sostegno delle politiche sociali, con riferimento anche all’inclusione delle persone con disabilità. Questi programmi e azioni sono strumenti fondamentali per la piena partecipazione e lo sviluppo personale e collettivo. Se però le informazioni su di essi non giungono adeguatamente ai destinatari, sarà per loro impossibile trarne beneficio.
Inoltre, non bisogna mai dimenticare che le persone con disabilità hanno esigenze specifiche, di cui bisogna tenere conto, che si aggiungono a quelle che normalmente hanno le persone senza disabilità.
Sono fermamente convinta dell’impatto positivo che i programmi della Commissione Europea, come Erasmus+, European Solidarity Corps, DiscoverEU, possono avere sulla vita dei giovani, non solo perché favoriscono la mobilità internazionale, ma perché permettono anche di acquisire nuove competenze, ad esempio quella di sapersi relazionare in culture e contesti diversi, che portano a una crescita e a un arricchimento utili per proporsi poi nel mondo del lavoro in maniera più efficace.
Purtroppo, di tutti i giovani europei che hanno preso parte a questi programmi solo l’1% sono giovani con disabilità. Eppure, Erasmus+ è stato scritto pensandolo come un programma che avrebbe dovuto includere i giovani con disabilità, in conformità con la Convenzione ONU.
Grazie al Programma Erasmus, una ragazza non vedente avrebbe dovuto trascorrere nove mesi in un paese del Nord Europa. Preferisco non specificare il nome della ragazza né la località precisa, perché si tratta solo di un esempio, un caso che si sarebbe potuto verificare in qualsiasi altro Paese.
A questa ragazza è stato fornito un alloggio accessibile, ma in una zona della città lontana dall’università. Con il suo cane guida, ogni giorno doveva prendere i mezzi pubblici e percorrere un tratto di strada in salita; in inverno la neve complicava ulteriormente la situazione…
È facile immaginare la difficoltà che questa giovane e il suo cane guida affrontavano quotidianamente per andare e tornare in autonomia dall’Università. Esposte le difficoltà all’ufficio competente dell’Università ospitante, le è stato risposto che le era già stato fornito un alloggio accessibile e che non erano tenuti a fare altro. Alla fine, la protagonista della storia ha dovuto rinunciare, perché, nonostante un alloggio le fosse stato fornito, questo non era adeguato ai suoi bisogni specifici e quell’esperienza era diventata impossibile da sostenere.
Ho voluto parlare di questa ragazza, che aveva scelto di credere in se stessa decidendo di studiare e vivere per molti mesi all’estero, ma che ha dovuto confrontarsi con i complessi e rigidi procedimenti amministrativi del programma Erasmus+, per far comprendere che anche difficoltà che possono sembrare banali divengono insormontabili, se non si giunge a un accomodamento ragionevole.
I programmi per la mobilità internazionale che includano pienamente i giovani con disabilità non devono essere delineati in maniera rigida, ma flessibile, proprio per far fronte ai bisogni specifici: dovrebbero essere disegnati per tutelare le differenze e sostenere i ragazzi in quello che è un vero e proprio percorso di crescita. Ad esempio, sarebbe utile che ai ragazzi con disabilità – che devono sostenere maggiori spese rispetto ai loro coetanei – venisse fornito un contributo economico in anticipo, prima della partenza.
Queste sono alcune delle osservazioni e raccomandazioni scaturite anche dal progetto, in corso di svolgimento, denominato Inclusive Mobility Alliance, coordinato dall’ESN (European Students Network), che vede, tra i partner, anche il Forum Europeo sulla Disabilità e l’UICI (Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti), in collaborazione con l’Unione Europea dei Ciechi (EBU).
Si tratta di un progetto volto a creare una solida sinergia a livello europeo, per incrementare il numero di studenti con disabilità che compiono una parte dei loro studi universitari all’estero nel quadro del programma Erasmus+. Si prevede, tra l’altro, la produzione di un toolkit [guide, tutorial, esercizi, risorse informatiche, N.d.R.] sulla mobilità inclusiva e di alcune raccomandazioni affinché il programma Erasmus+ diventi sempre più inclusivo.
Proprio come all’interno dell’Inclusive Mobility Alliance si è creata una sinergia tra organizzazioni rappresentative delle persone con disabilità, servizi, network e fondazioni che operano nell’àmbito delle politiche giovanili e in quelo dell’istruzione universitaria, allo stesso modo si dovrebbe creare una stretta collaborazione tra la Commissione Europea e le Organizzazioni delle Persone con Disabilità, che dovrebbero essere sempre consultate nella creazione e gestione di programmi che tengano conto dei bisogni specifici, e che questi programmi siano diffusi in maniera completa, facilitata, adeguata, efficace e abbiano al centro il reale empowerment dei giovani con disabilità, permettendo così che possano utilizzare gli strumenti messi a loro disposizione dall’Unione Europea, divenendo attori della propria vita in grado di decidere consapevolmente.
Questo non significa che si debba trascurare l’accessibilità, che rimane uno dei fattori essenziali per una piena inclusione, ma l’empowerment dev’essere il faro al centro delle politiche per le persone con disabilità.
In linea con l’articolo 27 della Convenzione ONU (Lavoro e occupazione), una delle aree di intervento descritte nella Strategia Europea sulla Disabilità 2010-2020 era incentrata sul lavoro e l’occupazione.
Il lavoro rappresenta una componente essenziale dell’essere umano: un diritto e allo stesso tempo un dovere, il cui valore si estrinseca non solo nell’àmbito meramente economico, ma anche in ciò che concerne gli aspetti sociali e psicologici, con importanti ripercussioni sulla qualità di vita della persona.
Alle persone con disabilità, in particolare, il lavoro, oltre a fornire la possibilità dell’indipendenza economica, dà modo di realizzarsi come esseri umani e come cittadini, uguali agli altri nei diritti e nei doveri.
Per le persone con disabilità, un inserimento lavorativo efficace assume un grande valore, poiché accresce il senso di autoefficacia, autostima e autorealizzazione, permette di dedicarsi ad attività produttive e utili, potenziando le proprie competenze e l’autonomia, favorisce l’arricchimento personale e nell’àmbito delle relazioni ed è inoltre un elemento fondamentale per il raggiungimento dell’inclusione sociale.
Va a beneficio di tutti se si realizza un sistema sociale efficiente in cui tutti possano esercitare il diritto di guadagnarsi un proprio reddito con un adeguato inserimento nel sistema economico e produttivo, seguendo il principio della “persona giusta nel posto giusto”.
I dati in riferimento all’occupazione delle persone con disabilità non sono, però, molto incoraggianti: è opportuno, quindi, che nella futura Strategia le Istituzioni Europee pongano ancora più impegno per delineare politiche a sostegno dell’inserimento delle persone con disabilità nel mercato del lavoro e rispondere con maggiore efficacia al fondamentale diritto all’autodeterminazione che hanno milioni di persone con disabilità in tutt’Europa.
La libertà di movimento all’interno dell’Unione Europea – uno dei fattori che favoriscono il collocamento lavorativo . è diventata un concetto normale per molti cittadini europei. Ma non si può affermare lo stesso per i giovani con disabilità, a cui ancora troppo spesso viene negato questo diritto, se scelgono di studiare o lavorare per un periodo più lungo in un altro Paese.
La portabilità dei servizi di previdenza sociale collegati alla disabilità non è ancora regolamentata e questo aspetto scoraggia notevolmente i giovani con disabilità, che sono costretti a scegliere sempre meno di studiare o lavorare altrove, a causa della mancanza dei servizi previdenziali; questi giovani, infatti, non sono messi nelle condizioni di iniziare la loro vita nel nuovo Paese su una base di parità con i propri coetanei.
La libertà di movimento, dunque, va assolutamente potenziata. Uno strumento che va in questa direzione è l’European Disability Card, che dovrà passare da semplice progetto, o “esperimento” al quale partecipano solo pochi Stati Membri, a realtà concreta, esigibile. Per sentirsi cittadini europei a tutti gli effetti, i giovani con disabilità devono poter essere accolti e ricevere gli stessi servizi ovunque nell’Unione Europea.
Essendo una persona che guarda al futuro con molta speranza e non avendo paura che i sogni non si avverino, il mio auspicio in riferimento alla Strategia Europea sulla Disabilità per il 2020-2030 è che nessun giovane con disabilità, e più in generale nessuna persona, debba rinunciare a studiare o lavorare in Europa per questioni logistiche o non dipendenti dalla sua volontà. Qualcuno potrà pensare che sono un’illusa, ma sono soltanto una giovane che con consapevolezza sceglie di credere che l’Europa abbia le capacità di rispondere con efficacia alle importanti istanze della società civile.
Giornata Europea delle Persone con Disabilità: la Conferenza di Bruxelles
Organizzata dalla Commissione Europea in collaborazione con l’EDF, il Forum Europeo sulla Disabilità, la Conferenza di Bruxelles della Giornata Europea delle Persone con Disabilità fa parte della gamma di attività dell’Unione Europea, volte a promuovere il mainstreaming dei problemi relativi alla disabilità [inserimento dei provvedimenti riguardanti la disabilità in tutti i provvedimenti generali, N.d.R.] e a fare opera di sensibilizzazione in merito alle sfide quotidiane affrontate dalle persone con disabilità.
Alla Conferenza 2018 hanno preso parte politici, esperti di alto livello e self-advocate (“autorappresentanti di tutela”), per parlare delle sfide, delle soluzioni e dei progetti in preparazione, allo scopo di migliorare le politiche a favore delle persone con disabilità. In particolare si è data ai partecipanti l’opportunità di discutere della prossima Strategia Europea sulla Disabilità 2020-2030 e dei modi in cui potrebbe essere attuata, anche nel contesto del prossimo Quadro Finanziario Pluriennale.
Poiché questo 2018 è l’Anno europeo dei Beni Culturali, alla Conferenza ci si è anche interrogati sull’accessibilità del patrimonio culturale, esaminando ciò che è stato fatto finora e in che modo l’Unione Europea intenda garantire che le persone con disabilità possano godere della ricchezza del patrimonio culturale su base di uguaglianza con gli altri cittadini.
Sempre in occasione della Conferenza, infine, si è tenuta la premiazione per l’Access City Award 2019, che ha visto Marianne Thyssen, commissaria europea per l’Occupazione, gli Affari Sociali, le Competenze e la Mobilità dei Lavoratori, conferire il prestigioso riconoscimento alla città di Breda (Paesi Bassi), per avere costantemente operato a rendere la vita più facile alle persone con disabilità.
Dal canto suo, Tibor Navracsics, commissario europeo per l’Istruzione, la Cultura, i Giovani e lo Sport, ha consegnato un premio speciale a due città che hanno reso più accessibili i siti del loro patrimonio culturale, vale a dire l’italiana Monteverde, in provincia di Avellino, e la danese Viborg (Danimarca).
(Patrizia Cegna – Segreteria FID, Forum Italiano sulla Disabilità)