Gli allevamenti di bestiame negli Stati Uniti sono concepiti in modo da ridurre al minimo lo stress per gli animali. Ad inventare questi sistemi rispettosi del benessere delle mucche è stata una donna, Temple Grandin, che certo non si è scelta un classico mestiere per “femminucce”.
Ma le curiosità non finiscono qui, perché Temple, uno dei maggiori esperti internazionali di comportamento animale, attualmente professoressa alla Colorado State University, è una signora settantunenne autistica “altamente funzionale”. Questo significa che è affetta da un disturbo dello spettro autistico con un livello intellettivo e linguistico che le consente di raccontarsi, pur sentendosi come «un antropologo su Marte», definizione che diede di sé durante una conversazione con il medico e scrittore Oliver Sacks, che così intitolò il libro bestseller in cui aveva raccontato racconta, tra le altre, la sua storia.
Un’extraterrestre, per il senso di estraneità e disorientamento con il mondo dei “neurotipici”, Temple lo è sempre stata. A due anni le diagnosticano un danno cerebrale, fino a quattro non parla. Ha comportamenti inspiegabili, si irrigidisce e graffia la mamma quando la tiene in braccio, mette in bocca le tessere dei puzzle, le mastica e le sputa.
Siamo tra la fine degli Anni Quaranta e l’inizio degli Anni Cinquanta, l’autismo è appena stato descritto da prospettive opposte: per lo psichiatra Leo Kanner è una patologia senza speranze, mentre il collega Hans Asperger intravede un’originalità di pensiero che se ben incanalata può condurre lontano. La teoria dominante dell’epoca, tuttavia – oggi fortunatamente del tutto smentita -, colpevolizzava le cosiddette “madri frigorifero”, che sarebbero state “incapaci di affettività”.
La mamma di Temple non si rassegna a una diagnosi infausta, non rinchiude la figlia in un istituto, ma supportata da insegnanti per l’epoca lungimiranti la iscrive ad una scuola specializzata in casi come il suo. È una bambina chiusa nel suo mondo, sembra sempre sognare ad occhi aperti. Osserva la pelle delle dita della mano, gira su se stessa all’infinito, all’infinito fa ruotare una moneta. A scuola fissa le venature del banco di legno, studia con lo sguardo la sabbia, potrebbe farlo per ore. Le viene spontaneo, eppure, dirà più tardi, sa di avere qualche problema. Le parole le escono a fatica, a volte vengono fuori solo di fronte ad una situazione stressante. È terrorizzata dai palloncini che scoppiano, il rumore che fanno è un’esplosione nelle orecchie. Comprende quello che le dicono i grandi, ma per comunicare grida, e dietro quell’urlo c’è un pensiero logico: «Adesso sto per gridare perché voglio dire a qualcuno che non voglio fare qualcosa».
Con gli animali è diverso, loro non sono complicati come gli esseri umani. La piccola Temple li sente ed entra in empatia, li comprende quando si spaventano per un rumore troppo forte, una luce accesa, una carezza di troppo, tutti stimoli che agitano anche lei, ma che sfuggono in genere alle altre persone. Ha quindici anni quando i genitori le dicono che le è stato diagnosticato l’autismo e insieme alla consapevolezza del perché si sente “diversa”, cominciano i primi ricordi.
Trasforma ogni cosa in immagini, pensa per immagini, utilizzando la sua memoria visuale come un supporto audiovisivo, sperimenta nella mente quello che accadrà e questo le consente di cogliere dettagli minutissimi. È sconvolgente scoprire che la modalità di pensiero dominante è parecchio differente, il suo è un modo di ragionare del tutto unico: «Per farvi un’idea di come possa funzionare la mia mente, immaginate una presentazione in PowerPoint: voi dovete semplicemente cliccare perché le slide procedano».
A diciotto anni trascorre un’estate nel ranch della zia in Arizona. Le mucche vengono fatte entrare in gabbie strette quando devono essere visitate dal veterinario o vaccinate, un cowboy le spiega che la pressione uniforme su tutte le parti del corpo le tranquillizza. Durante un attacco di panico, Temple entra in una gabbia e si calma. Quello è la cosa più simile ad un abbraccio che una persona con autismo possa “sopportare”, un abbraccio normale, infatti, è un fastidioso sovraccarico di impulsi contraddittori. Prende una panca, vi inchioda due assi di compensato che si stringono dolcemente ai lati: nasce così la “macchina degli abbracci”, invenzione per cui la Grandin è conosciuta nel mondo.
L’estate dei diciott’anni le regala la chiave per costruire il futuro: sarà felice soltanto se potrà stare accanto agli animali il più possibile. Si iscrive all’università e impara a relazionarsi, pur con qualche disagio. Ad esempio, l’asciugacapelli della compagna di stanza, un rumore che per l’udito ipersensibile di Temple è paragonabile ad un aereo in fase di decollo. Si laurea prima in Psicologia, prosegue con una Laurea in Zoologia e consegue un Dottorato in Scienze del Comportamento Animale.
Normale conseguenza del percorso di studi è la frequentazione dei grandi allevamenti intensivi. È triste ma inevitabile che portino alla macellazione, pensa in modo pragmatico Temple, tuttavia si può lavorare affinché questa fine non sia accompagnata da inutili sofferenze. Una catena fuori posto che penzola, un impermeabile appeso: basta poco per spaventare il bestiame. La giovane interpreta i codici di quel linguaggio interiore e finisce per riprogettare un terzo degli impianti di allevamento degli Stati Uniti e molti in altri Paesi. Staccionate, percorsi, luci, tutto viene rivisto dal punto di vista degli animali. Le mandrie si muovono in gruppo all’interno di circoli con diverse curve che impediscono alle mucche di vedere gli uomini e di restarne spaventate.
Difficilmente una persona che non vive le sue difficoltà avrebbe potuto guardare da un’angolazione nuova allevamenti che da anni andavano avanti con i medesimi sistemi.
Attivista del movimento di tutela dei diritti degli animali, Temple tiene anche numerose conferenze in cui parla dei diritti delle persone autistiche; ha scritto libri di successo (Pensare in immagini, Erickson, 2006 e La macchina degli abbracci, Adelphi, 2007, solo per citarne due) e nel 2010 la sua vicenda umana è diventata un film biografico per la televisione, Temple Grandin. Una donna straordinaria.
Temple ha il grande merito di presentare la visione del mondo di chi è affetto da questi disturbi: la sua esperienza, infatti, fa comprendere che l’autismo nient’altro è che una modalità esistenziale alternativa, con caratteristiche sociali e percettive differenti che, se adeguatamente trattate e valorizzate, possono anche condurre a una vita appagante.
Già, ma dietro i successi accademici e professionali, come trascorre le giornate Temple? Ancora oggi impiega almeno due settimane per adattarsi ad un vestito nuovo, indossa il reggiseno al contrario perché le cuciture sono come spilli nella pelle. Un po’ come quando era piccola e non sopportava di doversi cambiare, le sottovesti le graffiavano la pelle, metteva i pantaloni e non tollerava più le gonne, metteva le gonne e dopo faticava a tenere i pantaloni. Ha modi spicci e senza filtri che possono causare “incidenti diplomatici”, perché Temple percepisce le difficoltà di un animale a chilometri di distanza, ma non coglie i segnali di possibili conflitti sociali. Come quando i genitori stavano per divorziare, non c’erano litigi plateali, eppure la sorella aveva capito, lei invece non avvertiva nulla perché la tensione era contenuta. Oppure quando ha criticato con molto poco tatto l’esecuzione di una saldatura in una rampa d’accesso per il bestiame. Gli operai si sono arrabbiati, l’impiantista le ha consigliato di chiedere scusa e così ha imparato che avere ragione sul piano tecnico non significa averla sul piano sociale.
Le persone con autismo, spiega nelle sue conferenze, hanno bisogno di guide che spieghino loro come funziona il mondo. Per evitare “gaffe”, si è costruita una raccolta di ricordi di esperienze vissute a cui attinge per gestire in maniera logica i processi decisionali. Si osserva con distacco, come fanno molte persone con autismo, definisce questa parte di sé il suo “piccolo scienziato”.
Temple è una donna simpatica e ironica, una donna speciale che ha capito, tra mille difficoltà, di avere il dono di vedere le cose da un’altra prospettiva, e ha messo a frutto questo dono. «Il mondo ha bisogno di tutti i tipi di mente» è la sua frase più famosa. E non sono soltanto belle parole, la sua vita lo dimostra.