«Com’è ben noto, il 27 gennaio di ogni anno si celebra il Giorno della Memoria, ricorrenza dedicata alle vittime dell’Olocausto. Una data non casuale: il 27 gennaio 1945, infatti, i soldati russi entrarono ad Auschwitz, scoprendo quell’orrore che gli storici chiamano “male assoluto”. C’è chi parla di 11 milioni di morti, alcuni si spingono fino a 17 milioni. Tanti furono gli ebrei, i dissidenti politici, i rom, gli omosessuali che perirono per la folle teoria della “razza pura”. Prima della “soluzione finale”, però, che portò alla morte milioni di persone, il regime nazista si “esercitò” sui disabili, ritenuti indegni di vivere, un peso economico per la società e un pericolo per la salvaguardia della popolazione “sana”. Un accanimento organizzato, iniziato nel 1939, chiuso ufficialmente due anni dopo, in realtà proseguito fino al termine del conflitto, segretamente e – se possibile – in modo ancora più crudele. Vennero uccise circa 300.000 persone affette da malattie ereditarie, tra loro moltissimi bambini. Un Olocausto parallelo tenuto seminascosto per quasi mezzo secolo, che soltanto negli ultimi anni è venuto alla luce, grazie soprattutto alle iniziative promosse in occasione del Giorno della Memoria».
Abbiamo voluto riprendere le parole con cui Stefania Delendati ha aperto su queste stesse pagine un suo mirabile ed esaustivo approfondimento, dedicato alla cosiddetta Aktion T4, ovvero allo sterminio di tantissime persone con disabilità durante il regime nazista, per far capire l’attenzione con cui ormai da anni seguiamo tali vicende, cercando di mantenere sempre accesi i riflettori sulle stesse, informando e diffondendo notizie su specifici eventi.
Non possiamo quindi non dedicare particolare visibilità alla mostra inaugurata ieri, 10 gennaio, a Milano e che ebbe la sua “prima italiana” a Roma nel mese di marzo del 2017, come da noi riferito a suo tempo. In tale occasione, lo ricordiamo, ci si avvalse anche della collaborazione dell’AVI di Roma (Agenzia per la Vita Indipendente), organizzazione impegnata da molti anni, grazie in particolare alla sua presidente Silvia Cutrera, a tenere viva la memoria sullo stermino delle persone con disabilità durante il nazismo.
La mostra – che ha sede al Palazzo di Giustizia di Milano e che sarà visitabile gratuitamente fino al 16 febbraio (lunedì-venerdì, ore 8.30-19; sabato, ore 8.30-13) – si chiama Schedati, perseguitati, sterminati. Malati psichici e disabili durante il nazionalsocialismo, e si avvale della sezione aggiuntiva dedicata al tema Malati, manicomi psichiatri in Italia. Dal ventennio fascista alla seconda guerra mondiale.
A promuovere l’evento milanese sono state l’Onda (Osservatorio Nazionale sulla Salute della Donna e di Genere) e la SIP (Società Italiana di Psichiatria), «per sottolineare gli errori del passato – come si legge nella presentazione -, ma anche per osservare sotto un’altra luce il contesto culturale e sociale attuale, cogliendone i possibili pericoli per scongiurarli attraverso risposte adeguate».
«Nella nostra nuova veste di Fondazione dedicata alla salute della donna e di genere – dichiara Francesca Merzagora, presidente di Onda – vogliamo con questa esposizione palesare la nostra sensibilità nella difesa del diritto alla salute e alla dignità delle persone, al di là delle etnie, delle fedi religiose, delle diversità culturali», e, aggiungiamo da parte nostre, delle diverse condizioni fisiche, intellettive e psichiche.
«L’allestimento presso il Tribunale di Milano – sottolinea ancora Merzagora – ha un profondo significato etico e morale, ovvero restituire giustizia a chi è stato perseguitato ingiustamente».
«Purtroppo – afferma dal canto suo Claudio Mencacci, già presidente della SIP – bastano appena quattro generazioni perché tutto venga dimenticato, perché le posizioni razziste e stigmatizzanti prese ottant’anni fa siano considerate lontane e irripetibili. Viviamo in tempi di incertezza e paura, il sentimento prevalente è una pervasiva sensazione di allarme di fronte a minacce vaghe, difficili da afferrare e combattere, che minano soprattutto la coesione fra individui. Di fronte alla violenza che cresce, i legami sociali si indeboliscono, aumentano l’isolamento e il rifiuto del dialogo, ma anche la diffidenza e i sospetti. E le diversità degli altri sono percepite come pericoli da cui proteggersi».
Partita nel gennaio del 2014 nel Parlamento Tedesco di Berlino e proseguita nel mondo in città come Vienna, Londra, Osaka, Toronto e Città del Capo, con oltre 340.000 visitatori, la mostra è stata originariamente ideata dalla DGPNN, la Società Tedesca di Psichiatria, Psicoterapia e Psicosomatica, in collaborazione con la Fondazione Memoriale per gli Ebrei Assassinati d’Europa e la Fondazione Topografia del Terrore di Berlino.
Nel 2017, come detto, è arrivata in Italia, toccando, dopo Roma, anche le città di Bolzano, Trento, Collegno (Torino) e Cagliari, grazie all’adattamento realizzato da Netforpp Europa, il Network Europeo per la Ricerca e la Formazione in Psichiatria e Psicodinamica. Tutta italiana, invece, e curata specificamente dalla SIP, è la sezione aggiuntiva centrata sulla condizione dei malati psichiatrici ai tempi del fascismo e delle leggi razziali, basata su testimonianze e reperti storici con cui si intende restituire alle persone colpite quell’individualità che si voleva cancellare.
«Tra il 1939 e il 1945 – spiega Mencacci – più di 200.000 persone ricoverate in ospedali psichiatrici tedeschi furono assassinate perché ritenute un inutile peso. E anche la Società Italiana di Psichiatria sostenne posizioni razziste e appoggiò le leggi razziali. In Italia, infatti, tra il 1943 e la fine della guerra, si verificarono ripetuti episodi di “prelevamento” dei pazienti ebrei dagli ospedali psichiatrici, per deportarli in campi di concentramento ed eliminarli. Per molto tempo fu steso un velo di silenzio su queste persecuzioni».
Legata alla mostra vi è poi un’ulteriore importante iniziativa promossa da Netforpp Europa, che coinvolge gli studenti. «Per sensibilizzare le giovani generazioni – spiega a tal proposito Annelore Homberg, presidente dell’organizzazione – abbiamo lanciato il Progetto Memory against Inhumanity, cofinanziato dall’Unione Europea. In sostanza, partendo dai contenuti della mostra, gli studenti liceali di quattro Paesi europei hanno prodotto dei cortometraggi che saranno presentati in occasione dell’evento conclusivo, previsto per il 28 gennaio 2019 presso l’Auditorium Martinotti dell’Università Milano-Bicocca. Al più votato sui social network sarà conferito il Mai Più Global Award. Ringrazio anche il Goethe-Institut Mailand che ha organizzato, sino a fine gennaio 2019, workshop per studenti e docenti delle scuole superiori della Lombardia sui temi della mostra».
Da segnalare infine che la tappa milanese della mostra ha ottenuto il patrocinio della Regione Lombardia, del Comune di Milano, dell’Associazione Nazionale Magistrati, del Consolato Generale della Repubblica Federale di Germania, del Goethe Institut Mailand e dell’Ordine dei Giornalisti, nonché del Ministero della Salute, del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati per l’evento inaugurale. Essa è stata altresì resa possibile grazie al contributo di donatori privati e della Fondazione LAPS (Libera Accademia Progetti Sperimentali). (Stefano Borgato)
A questo link è disponibile un approfondimento sulla mostra di Milano. A questo link, invece, si possono vedere i cortometraggi del Progetto Memory against Inhumanity. Per ulteriori informazioni: Ufficio Stampa Onda (Laura Fezzigna), laura.fezzigna@hcc-milano.com.
Segnaliamo inoltre che accedendo all’ampia ricognizione storica intitolata Quel primo Olocausto, curata per il nostro giornale da Stefania Delendati, si può anche consultare (nella colonnina a destra del testo) il cospicuo elenco di testi da noi presentati in questi anni sullo sterminio delle persone con disabilità da parte del regime nazista.