Che i disabili facciano i disabili e stiano a casa: anzi, che stiano a casa pure i loro familiari, a prendersi cura di loro ventiquattr’ore su ventiquattro, pagati con un bel reddito di cittadinanza – o dovremmo dire “di schiavitù”? – di 1.300 euro mensili. Si potrebbero tradurre così le dichiarazioni del vicepresidente del Consiglio Luigi Di Maio, espresse il 10 gennaio scorso durante un’intervista nel programma di Rai Radio 1 Radio Anch’io.
Più nel dettaglio, l’ipotesi è che 260.000 invalidi (su circa un milione totali: come saranno individuati i beneficiari?) porteranno la propria pensione di invalidità a 780 euro, se vivono da soli. Se invece vivono in famiglia, come affermato dal Vicepremier, «noi diamo 1.300 euro al suo nucleo familiare e chi sta vicino a lui non dovrà chiedere di trovare un lavoro», potendo così continuare a immolare la propria esistenza al familiare con disabilità.
Un salto indietro di cinquant’anni in poche frasi: spazzati via il concetto di vita indipendente, il diritto di scegliere dove, come e con chi vivere nonostante la disabilità, di essere soggetti attivi e di decidere per la propria vita in quanto liberi individui.
Persone con disabilità ricacciate nel ruolo di “eterni figli”, dipendenti dai genitori finché morte non li separi. Anzi, incentivate a rimanere nel nucleo familiare, dato che in questo modo avranno accesso a un contributo quasi doppio rispetto a quello che la stessa persona, con gli stessi bisogni, riceverebbe se fosse da sola – e quindi paradossalmente ancor più bisognosa di denaro per pagarsi l’assistenza.
Ancora una volta la politica dimostra un’arretratezza culturale preoccupante, e litiga sulle briciole, perdendo di vista il tema vero: in Italia le persone con disabilità non hanno diritto all’assistenza personale. Cioè l’assistenza necessaria per alzarsi dal letto, per lavarsi, per uscire di casa. Per vivere. Come ogni altra persona con diritti e doveri.
Questo diritto non è garantito, perché si dà per scontatoche l’assistenza sia un dovere delle famiglie. Si presuppone che la persona con disabilità sia una specie di costosa, parassitaria “appendice del nucleo familiare”, destinata a trasferirsi in qualche struttura residenziale non appena i genitori vengono meno.
Eppure l’esperienza del Movimento per la Vita Indipendente e di ENIL (European Network on Independent Living) nel mondo dimostra il contrario. Anche persone con disabilità gravissime, quando dispongono delle risorse necessarie, riescono ad avere una casa e una famiglia proprie, un lavoro, la libertà di autodeterminarsi a pari condizioni degli altri, come sancito dalla nostra Costituzione.
Evitiamo fraintendimenti: ben vengano i supporti ai caregiver familiari, che magari hanno speso la vita ad assistere un parente e sono rimasti ormai fuori dal mercato del lavoro. Crediamo però che il vero supporto ai caregiver familiari sia… non obbligarli a fare i caregiver. Offrire cioè un’alternativa concreta, dando alle persone con disabilità le risorse economiche necessarie per assumere assistenti personali, se lo desiderano. Solo così saranno concretamente libere di scegliere se farsi assistere da un familiare, o da personale esterno, o ancora da un “mix” delle due cose.
Oggi questa libertà è possibile – secondo formule molto diseguali e criteri severi – solo in poche Regioni italiane, perché non esiste per diritto un assegno nazionale per la vita indipendente, finalizzato a pagarsi l’assistenza personale. Eppure è una misura che si trasforma direttamente in economia di ritorno: quanti posti di lavoro in più ci sarebbero se tutte le persone con grave disabilità, oggi assistite solo dalle famiglie, avessero le risorse per assumere uno o due assistenti personali? Quanti di questi nuovi assunti, avendo un ottenuto lavoro, non peserebbero sui conti del reddito di cittadinanza? E quanto del lavoro di cura attualmente svolto in nero potrebbe emergere, se le persone con disabilità ricevessero consistenti contributi a fronte dell’assunzione in regola dei loro assistenti?
Invece di fare questi conti e di erogare contributi per un modello sociale inclusivo, con sostegni mirati sui bisogni di ciascuno, in Italia si spargono ancora pensioni e assegni di accompagnamento secondo criteri figli di altri tempi. Non è abbastanza, a breve ci penserà la mamma, per chi ce l’ha, con 1.300 euro al mese e con buona pace dell’indipendenza e libertà!
Ricordiamo a questo proposito che per il diritto di vivere indipendenti, tema trasversale non solo all’intera disabilità ma di lettura universale, per tutta l’Italia si dispone di un finanziamento irrisorio pari a 15 milioni di euro.
Non possiamo perciò non chiedere al Governo di invertire questa antica e superata tendenza di perpetuare alla famiglia l’onere assistenziale per i figli e parenti con disabilità e anche a Vincenzo Zoccano, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, con Delega alla Famiglia e alle Disabilità. che ben conosce la materia, di farsi portavoce e sostenere con fermezza questo diritto umano, libero, civile.