A volte siamo così abituati a nasconderci che nemmeno ci accorgiamo di farlo. Nascondiamo le protesi acustiche sotto i capelli, fingiamo di vedere anche quando non vediamo nulla, o troviamo scuse per non raccontare del nostro deficit visivo. Teniamo nascosti i nostri punti deboli sfoggiando una sicurezza che non ci appartiene fino in fondo. Ma quell’imbarazzo, quella vergogna, quell’insicurezza, è davvero nostra? O al contrario, non sarà forse che certe paure e certi giudizi ci si appiccicano addosso e ce li portiamo dentro senza più sapere dove finiamo noi e dove cominciano loro?
Sulle pagine del sito dell’Associazione NoisyVision, David, ipoacusico dalla nascita, scrive: «È strano e impossibile che un bambino si inventi un disagio completamente da solo, perché i bimbi sono tutti bellissimi, semplici, puri. Se sentono un disagio è perché noi adulti non siamo in grado di affrontare la diversità e comunicarla per quello che è, semplicemente un modo diverso di sentire».
Al di là delle semplificazioni eccessive, che porterebbero ad un’immagine quasi angelica dei bambini, credo ci sia del vero in queste parole. Se veniamo educati a pensare che per essere accettati dobbiamo essere come tutti gli altri, allora soffriremo per ciò che dagli altri ci differenzia. Così se durante infanzia e adolescenza, chi ci circonda in casa o a scuola ci abitua a pensare che sia degno di essere accolto e stimato solo chi vede bene, sente bene, corre forte, è acuto e sveglio, agile e bello e parla perfettamente la nostra lingua, sarà più difficile per noi non soltanto accogliere l’altro quando è diverso, ma anche accettare i nostri stessi piccoli difetti e punti deboli.
Lì sta una tra le radici delle paure e del senso di inadeguatezza che tante persone con disabilità (e non solo) portano con sé e declinano in un’infinità di modi diversi. Fortunatamente quel senso di inadeguatezza si trasforma spesso in voglia di lottare per dare il proprio meglio, ma a volte pesa sulle nostre scelte fino a limitarci.
Per fortuna le famiglie in cui la diversità viene nascosta sono sempre meno. Ma cosa accade quando i genitori – di fronte alla disabilità del figlio – hanno comunque paura, benché si tratti di una paura normale, sana, ben comprensibile?
Spesso ho ascoltato genitori di persone con disabilità confessare il timore che i propri figli dovessero un giorno o l’altro rendersi conto che avevano nutrito sogni che a causa del limite visivo o di altro genere, si sarebbero infranti. Queste paure non vanno né giudicate né condannate: vedere i propri figli soffrire, infatti, è forse l’esperienza più lacerante per un cuore umano, ed è normale che chi si prende cura di un figlio con una disabilità, cerchi di proteggerlo dal dolore di una delusione che ritiene inevitabile. Anche questo è amore. E in fondo, se ci pensiamo, anche quei genitori che cercano di nascondere o negare i limiti dei figli lo fanno solo per amore, perché loro per primi, forse, non hanno mai avuto la fortuna di poter confidare in se stessi, accogliendo i propri punti deboli.
A partire da questa consapevolezza, possiamo osservare i nostri comportamenti, le nostre scelte e anche i nostri desideri. Abbiamo l’opportunità di chiederci se stiamo seguendo i nostri sogni o se abbiamo timore di farlo perché qualcuno o qualcosa ci ha messo in testa che stiamo sognando l’impossibile. E di fatto ha ragione. È ovvio che in certi casi un limite oggettivo condizioni la nostra libertà di azione. E se vediamo poco o per niente, se non sentiamo o non camminiamo, il nostro modo di agire non sarà lo stesso degli altri. Come dire che forse sarà impossibile fare qualcosa se pretendiamo di farlo come lo fanno tutti gli altri. Ma se ascoltassimo il desiderio e plasmassimo la sua realizzazione in base a tutto quello che possiamo fare, piuttosto che assecondare la paura di ciò che ci è precluso?
E a questo punto, cosa ne facciamo di quelle persone – per primi i genitori – che hanno cercato con un amore sincero di proteggerci dal rischio di soffrire? Perché forse continueranno a farlo, con lo stesso amore. Forse loro, come altri, ci ripeteranno che non potrà funzionare, che siamo degli illusi, perché il mondo non va così e dobbiamo stare “coi piedi per terra”. E hanno ragione… Se non fosse, però, che la terra ci sostiene soprattutto quando seguiamo i nostri desideri e le nostre aspirazioni più profonde, per quanto bizzarre siano.
Le paure vanno ascoltate, non rifiutate. Così le voci dei timori e i volti che quelle paure – ripeto sane – assumono nelle nostre vite. Quelle paure ci ricordano che non sarà facile, ma la scelta resta nostra. Vogliamo riconoscere l’amore che dà vita a quelle paure e accogliere, abbracciare e rassicurare chi ci ama tanto da volerci proteggere? Vogliamo chiederci come risuonano in noi quei timori? Proviamo ad ascoltarci dentro, in fondo, quando respiriamo e camminiamo sulla terra, cosa accade se pensiamo al nostro sogno, al nostro progetto, al nostro “qualcosa di impossibile”?
Perché se far pace coi nostri limiti vuol dire rinascere, forse rinascere vorrà dire far sì che l’impossibile diventi realtà.
Il presente testo è già apparso nel sito dell’Associazione NoisyVision e viene qui ripreso, con minimi riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.
Articoli Correlati
- L'integrazione scolastica oggi "Una scuola, tante disabilità: dall'inserimento all'integrazione scolastica degli alunni con disabilità". Questo il titolo dell'approfondita analisi prodotta da Filippo Furioso - docente e giudice onorario del Tribunale dei Minorenni piemontese…
- Violenze che devono riguardare tutti «Da nord a sud, in montagna e in città - scrive Mario Paolini - gli episodi di violenza, abuso, intolleranza commessi da insegnanti, educatori, operatori verso persone deboli loro affidate…
- Intervista doppia su disabilità e dintorni Due esperienze di vita a confronto, due generazioni diverse che parlano di disabilità e di tutto ciò che ruota intorno ad essa, dalle emozioni più personali alle grandi questioni come…