Si fa in fretta a distorcere le buone intenzioni in sopraffazione…

«Si fa in fretta – scrive Antonio Giuseppe Malafarina – a distorcere le proprie buone intenzioni in sopraffazione. E ancor più rapidamente si distorce l’opinione, il desiderio e il diritto, dell’altro. Basta non ascoltarlo»: alcune riflessioni, condite con la giusta dose di ironia, su quanto pubblicato in un tweet ampiamente condiviso, da Bronwing Berg, scrittrice, persona con disabilità in carrozzina, spinta contro la sua volontà

Disegno di Osvaldo Cavandoli in esclusiva per «DM», giornale della UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare). Per gentile concessione

Disegno di Osvaldo Cavandoli in esclusiva per «DM», giornale della UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare). Per gentile concessione

Ho letto di Bronwing Berg, scrittrice, persona con disabilità in carrozzina, spinta contro la sua volontà, e mi sono chiesto se fosse capitato anche a me qualcosa di simile. Gli assistenti a tutti i costi dell’aiuto in salita alla mia carrozzina elettrica mi hanno visto trionfare in cima alla pendenza, mentre cercavano di capire come intervenire per aiutarmi a salire. Qualche petulante indefesso l’ho trovato anch’io!

Escludo a priori genitori, parenti e qualche amico. Quelli che ti vogliono imboccare a tutti i costi perché non puoi perderti la succulenta forchettata di bontà così buona ma così buona che così non hai mai assaggiato prima. Più o meno tali sfamatori seriali li incontriamo tutti.
Qui siamo in cerca di qualcosa di più sottile, specifico dell’altruismo forzato, della necessità di autoimporsi – ahimè frequentemente in risposta alla propria frustrazione. E anche di quel qualcosa d’altro, scovando eccessi di interpretazione della disabilità. O di se stessi. Calpestando le dignità.

Una volta un tipo all’entrata di un bar storico di Piazza del Duomo a Milano mi si è inginocchiato davanti identificandomi in un asceta. Non proveniva da dentro il locale, ma ciò non ne garantisce la sobrietà…
In Calabria fermarono più di una processione davanti a me, che non sono mafioso.
E ancora a Milano, per accedere alla zona pedonale della Fiera degli Oh Bej Oh Bej! con il mio furgone, una volta un vigile si avvicinò al finestrino e chiese: «Lo state portando a fare una passeggiata?». Non trovai opportuno rispondere che mi stessero portando a vendere!
Storie di eccessi di umanità e, se vogliamo, di un filo di violenza. Il tipo davanti al bar violentò il mio desiderio di discrezione, dacché si girarono tutti. La processione il diritto alla riservatezza del mio credo. Il vigile all’intelligenza della mia famiglia. Accostarsi agli altri ne pretende il rispetto, apposta è roba delicata. Per chi si appropinqua e per chi accoglie.

Certo che se uno ti spinge la carrozzina mentre tu strilli che non vuoi che lo faccia siamo di fronte a un eccesso da reato! Anche invocando la legge sulla non discriminazione, perché è discriminante essere spinti contro la propria volontà. Subire l’eccesso altrui è discriminante, per tutti.
Rammento un’infermiera che moltissimi anni fa voleva propinarti il tè caldo a qualsiasi ora del giorno. Un collega di paralisi una volta accettò la sua menta, succhiò con la cannuccia una buona quantità di bibita e appena lei gli allontanò la cannuccia, lui le spruzzo il fresco sciroppo addosso. Anche la pazienza ha un limite. Quello dell’educazione si adatta alla circostanza.

È in àmbito medico il culmine delle mie considerazioni. Ricordo quella volta che in un prestigioso reparto di un affermato ospedale di Milano, i medici non volevano dimettermi. L’équipe di un altro ospedale con cui collaborava – e che mi avrebbe seguito a domicilio dopo le dimissioni – aveva dato il nullaosta e lo stesso primario di quel reparto, prima di partire per un viaggio di lavoro, aveva lasciato disposizioni per le mie dimissioni. Nulla. I medici non volevano saperne. Non mi dimisero. Contro la mia volontà, ma ancor di più contro le disposizioni del primario, dei collaboratori dell’ospedale che si sarebbe occupato di me a casa e contro ogni buon senso.
Fu violenza. Furono obbligati a dimettermi solo dopo impegnative discussioni con uno dei medici più avveduti di quel reparto.

Subisco violenze di questo tipo ogni volta che vengo ricoverato in un ospedale. I medici che mi conoscono meglio lasciano disposizioni in considerazione della peculiarità del mio caso. I loro colleghi le ignorano… Eccesso di zelo che sbocca in distorsione del mio diritto alla salute.
La distorsione è la madre dell’eccesso di spinta. Si fa in fretta a distorcere le proprie buone intenzioni in sopraffazione. E ancor più rapidamente si distorce l’opinione, il desiderio e il diritto, dell’altro. Basta non ascoltarlo.

Il presente testo è già apparso in “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it» (con il titolo “Eccesso di spinta”). Viene qui ripreso, con alcuni riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.

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