La voce degli artisti non va commentata motu proprio, finalizzando l’analisi a sostegno di un mantra che da mesi martella sulla testa dei genitori e della scuola, rei di non avere fatto psicoterapia da piccoli o corsi su come si diventa bravi genitori, magari online, o seguendo i nuovi “guru psichiatri” che dalle reti televisive indottrinano il “popolino ebete”.
Un artista va sentito con il cuore, come quando si guarda un tramonto. Un artista ci regala con la sua arte momenti estremamente intimi, in cui la nostra storia coabita la sua, mantenendo il giusto rispetto e la giusta riservatezza. Un artista non si chiede cosa proverai, se capirai il suo messaggio, se tradurrai le sue parole… con le tue. Ti dà l’occasione di rivederti specchiato nella sua metafora artistica e per un istante tu sarai nudo, occhi pieni di meraviglia, con il cuore che batte forte in un intenso attimo di innamoramento.
In Argentovivo, il brano presentato da Daniele Silvestri al recente Festival di Sanremo, la scelta attenta delle parole, il ritmo incalzante della musica, lo sguardo intenso, la batteria che sembra una macchina da guerra e che avanza nel tuo cuore, determinandone il ritmo. Non puoi sfuggire, sei dentro un atto scenico preparato ad arte, forte, deciso.
È la forza di un ragazzo, che riprende il testo e lo reinterpreta, lo rilancia. Un giovane che vive il suo tempo e ne denuncia le storture. È un giovane che vede quello che gli adulti continuano a non voler vedere. Un giovane che rifiuta un modello stantio di una società che ha smarrito i suoi valori fondanti, unico soggetto sano, che ha ancora la voglia di denunciare e ribellarsi.
Ma la ribellione vuole i suoi eroi, vuole i suoi miti e chiari obiettivi di alternativa esistenziale e politica.
È un giovane che si guarda intorno in un mondo in rovina alle porte del baratro ecologico, un mondo che continua a ballare come i vecchietti sul Titanic prima che affondasse. Che guarda Paesi in guerra, migrazioni di milioni di uomini affamati che trovano porte chiuse e nuovi muri.
Un ragazzo che frequenta una scuola di anziani, incapaci di leggerne le tensioni e i sogni, con differenti linguaggi, e senza più aspirazioni, né gioia, né desiderio, né passioni. Come un leone in gabbia, cerca una via d’uscita. Un modo nuovo per riprendere il sogno della vita, ma interessi economici fortissimi ti impongono le nuove mode, martellanti e dopanti.
Sono i nostri figli, non sono malati. Cercano adulti che non li stigmatizzino con le nuove “droghe di Stato”. Cercano disperatamente di essere amati, di essere rispettati, di essere aiutati.
Certo che si “sedano”, chiudendosi e trincerandosi per lenire il dolore di un’incomprensione colpevolizzante. Certo che si incazzano e ti mandano a quel paese! Urlano da troppo tempo e non si spiegano perché il mondo ha perso la sua armonia, i ghiacciai si sciolgono, le guerre incombono ed è finita un’epoca dei figli dei fiori, dell’amore libero, di un senso del mondo come unica comunità umana.
Non si riconoscono nei modelli che proponiamo, né ci vogliono imitare creando famiglie infelici, con un tasso di separazione e di litigi enormi. Famiglia = continui litigi e sofferenze = io non creo famiglia!
Cosa ci state lasciando? Cosa avete fatto del nostro mondo? Dove sta la mia fetta di felicità? Perché ci regalate cellulari anche nella culla? Noi vi amiamo, e se la mamma mi regala con grandi sacrifici un bel cellulare sarà buono! Mamma = buono = cellulare.
Ora che abbiamo fatto nostro questo mondo, ci chiamate malati e volete proibircelo? Ma siete malati?!?
Argentovivo è un inno alla gioia di vivere, soffocata da un mondo in cancrena. Auguriamoci che i giovani trovino un modo per reinventare un senso per la vita che ancora non trovano: «…alla fine si esce, ma non so dove andare…».
Auguriamoci che tanti genitori trovino l’umiltà di ascoltarli. Il loro rancore non è odio o disfatta! È voglia di farcela insieme, è il desiderio di continuare ad amare ed essere amati. È un prenderci per mano e la voglia di essere presi per mano.
La risposta della società è la paura, e la paura genera nuovi mostri, nuove condanne e nuove celle psichiatriche. Nuovi disturbi e nuove malattie riempiono manuali e le aule scolastiche. Frotte di sanitari si fiondano nelle scuole a caccia di chiunque non assomigli alla “famiglia del Mulino Bianco”. Terrorizzano i più sensibili, che preferiscono isolarsi: « …immobile e muto per ore…».
Ma sono “argento vivo”, vivo! Come un grande grido di speranza! «Se dovevo stare fermo nascevo albero».
Noi Educatori e Pedagogisti dell’APEI [Associazione Pedagogisti Educatori Italiani, N.d.R.] conosciamo gli effetti del “reato di nascere là fuori” nella società del profitto, dove la Pedagogia è sempre più soppiantata da altri approcci funzionali al controllo del bambino.
La Pedagogia Scienza dell’Educazione è messa a lato perché non funzionale al profitto. Infatti, in quanto motore di trasformazione del mondo esterno al bambino, la Pedagogia non emette diagnosi o sentenze, ma vuole liberare, in modo costruttivo e regolato, il movimento e la mente dei bambini e degli adolescenti, a cominciare dal nido fino alla vecchiaia.
La Pedagogia non agisce direttamente sul bambino, non ricorre alle camicie di forza fisiche – l’immobilità del “bambino di gesso” – o alle camicie di forza chimiche – le anfetamine – per bloccarlo e stordirlo.
Da un carcere all’altro, “cucciolo della specie umana” e tu ti agiti sempre di più, ma senza libertà di movimento il pensiero non c’è, condannato ad un’esasperata ed esasperante agitazione.
Ma se tu ti agiti, sei un “ADHD”! [l’ADHD è il disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività, N.d.R.]. Meglio chiudersi e proteggersi dietro uno schermo.
Noi Educatori e Pedagogisti li conosciamo bene questi ragazzi con l’argento vivo addosso e pensiamo che i bambini devono avere l’argento vivo addosso, altrimenti sono dei vegetali.
Allora “liberare il movimento per liberare l’infanzia e mobilitare il pensiero logico e creativo”, perché un bambino sano dice: «Se dovevo stare fermo nascevo albero».
Ripartiamo dai nostri ragazzi, rispettando il loro tempo, come una madre saggia che guarda in silenzio il proprio figlio andare via, in cerca della sua strada.