La diatriba sulla continuità didattica – che di fatto implicherebbe a mio personale giudizio anche quella professionale determinata dall’esperienza – non troverà mai un proprio giudizio sociale, sino a che lo Stato di diritto non trasformerà il diritto degli alunni, quello allo studio, in diritto anzitutto sociale, con una sorta di azione del Legislatore diretta e preferenziale, che eviti sofismi normativi di carattere sindacale.
L’insegnante o il docente che dovesse scegliere il percorso sul sostegno per consentire agli alunni e agli studenti di vivere dignitosamente la scuola alla pari dei loro compagni, dovrebbe poter fare una scelta che non fosse semplicemente espressione di una norma, ma di un principio etico/professionale: il sostegno didattico è frutto di una professione seria e delicata, non di un’alternativa, che significa “scorciatoia” per la maggior parte dei colleghi precari. L’“esercito dei precari”, infatti, coglie spesso l’opportunità del ruolo, all’orizzonte, come occasione per abbandonare l’esperienza sul sostegno didattico.
Tutto ciò lascia sul campo fiumi di innocenti, alunni e studenti in condizioni di disabilità che, oltre al danno dell’abbandono, subiscono la frustrazione di una didattica incompiuta, frutto dell’assordante inerzia di uno Stato incapace di garantire certezze essenziali, potrei dire primarie, come quella, appunto, del diritto allo studio.
Brutto corto circuito davvero, con il Legislatore che ancora oggi si rende protagonista di questo “suicidio” dell’istruzione, rendendosi responsabile in primo luogo dell’abbandono scolastico da parte di molti degli alunni e studenti, scelta talvolta obbligata da parte degli stessi genitori i quali – di fronte a una scuola incapace di governare il disagio della mancata continuità e del perpetrarsi viceversa della discontinuità – si arrendono e assieme ai loro figli gettano la spugna.
Ha scritto giustamente su queste stesse pagine l’amico Nocera: «Va detto innanzitutto che tali docenti debbono avere continuità didattica, per poter aiutare i colleghi curricolari a realizzare l’inclusione scolastica e sociale e sui cui esiti individuali essi votano per tutti gli alunni, durante gli scrutini, come stabiliscono gli articoli 2, 4 e 6 del DPR 122/09»; e aggiungo io: sempre che non escano dall’aula per superare imbarazzi d’ogni sorta, compreso quello di doversi assumere responsabilità pur previste dalla normativa come ricorda Nocera…
«È vero – ricorda ancora quest’ultimo – la normativa attuale consente a tali docenti, dopo cinque anni di permanenza sul posto di sostegno, di passare sul posto comune»; e provocatoriamente aggiungo: non in ottemperanza del diritto alla continuità didattica, ma sul sostegno inteso quale posto, e non sul sostegno inteso come “accanto allo stesso alunno o studente”.
Desidero sottolineare inoltre che il diritto di ottenere il trasferimento su cattedra comune è sacrosanto, certo; e tuttavia scusate, ma ai miei occhi, il che è tutto dire, risulta davvero una beffa per le centinaia di alunni e studenti che dall’oggi al domani si ritrovano senza alcun sostegno didattico degno di questo nome, finendo in pasto a un precariato incompetente che da quel momento, per quegli alunni e studenti, rappresenterà la via crucis della discriminazione.
Scrive ancora Nocera: «Ne conseguirà che, come da sempre, ammesso pure che subito si riuscisse ad ottenere il 100% dei posti di sostegno coperti da docenti specializzati, trascorsi i cinque anni, in teoria – ma potrebbe anche accadere in pratica – tutti, o per lo meno più realisticamente una buona parte, potranno ottenere il trasferimento su posti comuni, ricreando così l’incolmabile vuoto di specializzati e quindi la piaga del precariato, con tanti saluti alla continuità cui tutti aspiriamo».
E allora credo sia proprio giunto il momento di motivare il Legislatore a legiferare in favore della separazione delle carriere, per cui ogni scelta sarà sostanziale e non in vista di un secondo fine, quello cioè di scegliere il sostegno come scorciatoia per sorpassare chi in graduatoria più onestamente ha scelto di attendere la nomina per una supplenza, piuttosto che addirittura l’immissione in ruolo sulla disciplina.
Il corto circuito di cui è vittima anzitutto il discente in condizioni di disabilità va interrotto, assolutamente! A tal proposito, condivido il pensiero di Nocera, per cui lo riprendo come egli stesso lo ha espresso: « Per arrestarlo – o comunque per contenerlo seriamente una volta per tutte – occorre avere il coraggio culturale e politico di fare un vero “governo del cambiamento” e cioè di fare approvare in Parlamento una legge sulla creazione di quattro nuove classi di concorso per il sostegno, ciascuna per ogni grado di scuola, a partire da quella dell’infanzia».
Il processo secondo cui nelle capacità del Legislatore vi sia anche quella di saper cogliere, leggere, le vere criticità afferenti l’integrazione e inclusione scolastiche, tra cui quella della continuità, dipende dalla forza di persuasione che le Associazioni riescono a infondere attraverso l’azione, che prima di essere politica, dovrà essere di tipo tecnico e culturale. Ad oggi, infatti, il Parlamento manca di quella consapevolezza propria di chi vive in prima persona il dramma e la condizione di possibile esclusione dai percorsi di istruzione ed educazione proposti dai piani formativi d’ogni singola istituzione scolastica.
Dal canto suo l’UICI (Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti) guarda con interesse all’idea di proporre un’ipotesi di legge istitutiva delle quattro classi di concorso, da tempo auspicate e discusse presso i tavoli tecnici del Ministero.
A tal proposito, dopo una riunione tecnica svoltasi presso il Ministero stesso, scrissi un messaggio preciso e inequivocabile ad alcuni componenti del tavolo tecnico e al Presidente Nazionale dell’UICI, che riscosse largo consenso; messaggio del quale riporto qui di seguito uno stralcio contenente il passaggio esplicativo dell’idea:
«Di fatto, il diritto dell’insegnante e del docente supera, e si afferma, comunque e sempre, in barba ad ogni norma che sancisca il diritto allo studio dell’alunno o dello studente. Stiamo giocando sulla pelle dei nostri ragazzi. Vorrei comprendere quali siano le ragioni che impedirebbero carriere separate, oltre a quella banale, secondo cui il docente non può essere incatenato al sostegno didattico per tutta la vita professionale. Così, il sostegno resta e sarà sempre la “carta vincente” per poter garantire il posto a insegnanti e docenti, i quali non trovano altra via se non quella del sostegno piuttosto che quello dell’insegnamento sulla materia. Vanno ripensati ruolo e curricolo dell’insegnante e del docente sul sostegno didattico. Tutto il resto è coltre di fumo che si addensa sul diritto allo studio dei bambini, degli alunni e degli studenti. Nulla contro gli avvocati, ma i nostri incontri, che dovrebbero afferire la scuola, l’integrazione e inclusione scolastica, si trasformano sempre più in dibattiti di rivendicazione sindacale, che puntano a garantire, in buona sostanza, esclusivamente e prioritariamente il mantenimento del posto di lavoro. La continuità didattica non può trasformarsi in mero elemento di contrattazione sindacale, ma deve restare l’elemento cardine, costitutivo del diritto allo studio dell’alunno e dello studente».
Dunque si dia avvio all’iter concernente la stesura di norme atte a definire la separazione delle carriere professionali degli insegnanti e dei docenti per ogni livello di istruzione.