Ammaestrati a sentirci “cittadini di serie B”

«Noi famiglie e persone con disabilità italiane – scrive Sara Bonanno, commentando l’iter parlamentare del Disegno di Legge su reddito di cittadinanza e pensioni, che si avvia alla conclusione – siamo stati ammaestrati a sentirci “cittadini di serie B”, convinti che non fosse possibile liberarsi dal palo di uno Stato negligente il quale, in cambio di cibo e acqua, ci tiene legati a una condizione di inferiorità emarginante»

Realizzazione grafica con logo disabile che al megafono dice: «non sono un cittadino di Serie B. Basta!»Si è dunque praticamente concluso l’iter parlamentare del Disegno di Legge n. 1018 [“Conversione in legge del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4, recante disposizioni urgenti in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni”, N.d.R.].
Dal reddito di cittadinanza vengono discriminati i nuclei familiari delle persone con disabilità: oltre all’ISEE (Indicatore della Situazione Economica equivalente), infatti, saranno valutati come “reddito” i supporti erogati per la disabilità e non esiste una scala di equivalenza che segnala la maggiore fragilitià economica di questi nuclei familiari; quindi i pochi nuclei che riusciranno ad ottenere un sostegno al reddito riceveranno un supporto inferiore ai nuclei che, a pari condizioni, non saranno composti anche da persone con disabilità.
Sempre nel reddito di cittadinanza, si “riconosce” altresì il nucleo formato anche da una persona non autosufficiente esclusivamente nell’agevolazione della sua assistenza, quindi tali nuclei saranno esonerati dagli impegni di attivazione sociale richiesti ad altri nuclei – impegni che invece rappresentano spinte inclusive contrarie alla relegazione assistenziale ed emarginalizzante di queste famiglie e saranno, ancora una volta, resi dipendenti da una misura economica totalmente legata alla «disponibilità di bilancio».
È ormai chiara ed esplicitata nei numerosi interventi ascoltati nella discussione in Senato di questo Decreto la direzione che intende prendere il Governo verso le persone con disabilità ed i loro nuclei familiari e la tappa conclusiva, che chiuderà il cerchio, riguarderà la legge sui caregiver familiari.

A tal proposito e a distanza di tempo, è ormai chiaro che alcune parole utilizzate per porre l’accento sulla condizione di grave disagio vissuta dai caregiver hanno assunto un significato opposto nelle mani della politica, rischiando di sancire una definitiva esclusione dell’intero nucleo familiare e del suo componente con disabilità.
Perché l’indirizzo intrapreso, come detto, è ormai quello di considerare e agevolare questi nuclei familiari nel loro prioritario ruolo assistenziale in sostituzione dello Stato che, in cambio di oboli economici più o meno adeguati alle necessità (oboli legati non solo alla disponibilità di bilancio, ma alla più pura magnanimità politica), minano alla radice ogni possibile spinta verso l’autodeterminazione e l’indipendenza dell’intero nucleo familiare.
È così che perfino la parola “volontario” – che per tanto tempo è stata utilizzata per descrivere la nostra condizione di familiari che “volontariamente” (intendendo ciò come spinta emotiva di amore e dedizione non come scelta!) si curano della sopravvivenza e della qualità di vita del proprio familiare non autosufficiente – si è trasformata nel significato opposto di un’opzione che non esiste!
Noi familiari, infatti, siamo costretti ad assumere un ruolo di infermieri, medici, operatori sociosanitari, terapisti, assistenti sociali, burocrati ecc., a fronte di un’assistenza totalmente insufficiente, residuale e troppo spesso incompetente, rinunciando a una realizzazione personale e lavorativa.
Siamo costretti a ridurre il nostro ruolo lavorativo in orario, distanza e competenza fino al punto da rinunciarci, per far fronte alle necessità di sopravvivenza dei nostri cari che non esistono per le Istituzioni, né vengono presi in considerazione spesso nemmeno nel loro diritto alla sopravvivenza.
Siamo costretti per garantir loro la vita, che è affar nostro, un “affare di famiglia”, perché lo Stato li “archivia”, infischiandosene perfino se sono in buone mani!
E questo vale anche per le tante donne che avrebbero comunque scelto di fare la “casalinga”, e quindi di “lavorare in famiglia”: nessuna di loro avrebbe “scelto volontariamente” di trasformarsi – per ventiquattr’ore su ventiquattro, ore senza soluzione di continuità – in sostituto di uno Stato negligente verso le persone con disabilità, privandosi dei propri diritti umani più elementari, come quello del poter dormire o di potersi ammalare.
La parola “volontario” non c’entra nulla con la nostra condizione! Volontario, infatti, presuppone una scelta che qui non esiste, perché l’unica opzione che abbiamo è quella di abbandonare a un destino tragico, fatto di segregazione e abdicazione istituzionale, il nostro familiare a cui, proprio perché siamo esseri umani, vogliamo bene!

Lo psicologo, drammaturgo e scrittore Jorge Bucay racconta in un suo libro come vengono ammaestrati gli elefanti: crescono perennemente legati a un paletto che ne impedisce ogni movimento. Il loro mondo inizia e finisce intorno a quel palo, anche quando sono diventati talmente grandi da liberarsene con un semplice strattone.
Ecco, noi famiglie e persone con disabilità italiane siamo stati ammaestrati a sentirci “cittadini di serie B”, convinti che non fosse possibile liberarsi dal palo di uno Stato negligente il quale, in cambio di cibo e acqua, ci tiene legati a una condizione di inferiorità emarginante.
È arrivato il momento di accorgerci delle nostre gigantesche dimensioni e ribellarci, sì proprio ribellarci, verso chi ci vuole escludere dal mondo.

Ideatrice del blog La Cura Invisibile, assistente sociale esperta di caregiving familiare.

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