Durante lo scorso weekend, al Teatro Erba di Torino è stato rappresentato Pesce d’aprile di Daniela Spada e Cesare Bocci [se ne legga la presentazione del nostro giornale. L’Associazione ANFFAS è stata “charity partner” di tale spettacolo, N.d.R.].
I biglietti esauriti, una domenica pomeriggio di febbraio calda e soleggiata, un pubblico che sopraggiunge lentamente e a volte faticosamente a teatro.
Conoscevo l’argomento dell’opera: il dramma di una giovane mamma, colpita da un ictus mentre allattava sua figlia, neonata, il coma, la grave disabilità motoria e linguistica, la fatica per riprendere a vivere la sua vita di donna giovane e madre, accanto a un attore famoso, Cesare Bocci.
Non sono riuscita a leggere il libro [“Pesce d’aprile. Lo scherzo del destino che ci ha reso più forti”, Milano, Sperling & Kupfer, 2016, N.d.R.], perché introvabile, in ristampa, e nelle biblioteche comunali le copie sono tutte in prestito. Prenotato, riuscirò a leggerlo, prima o poi.
Gli autori e gli attori sono riusciti a toccare corde profonde, a illustrare con estrema chiarezza il disorientamento, la rabbia, l’impotenza, la fatica dei rapporti con il servizio sanitario, che si aggiunge alla fatica di riorganizzare una vita intera, di ripensarla, la determinazione di entrambi di vivere, nonostante la disabilità, superando barriere insormontabili. Riuscirci.
Per i medici, per molti medici, i malati sono standard: la vita precedente viene cancellata dalla malattia, dalla disabilità e le cure seguono dei protocolli. «Tu puoi odiare l’acqua, ma se nel protocollo c’è scritto che devi nuotare, devi nuotare».
Il medico aveva decretato che la Signora Spada non avrebbe più camminato. Non è stato così, ma è stata necessaria la sua caparbietà per riuscire a camminare.
Lui bello, famoso, cercato, ammirato, lei disabile: prima dell’ictus lei era gelosa delle sue colleghe, dopo è indifferente, non sa più cosa sia la gelosia, l’invidia, e non sa perché. È cambiata. Sua figlia è cresciuta senza Daniela, chiusa in una clinica per la riabilitazione, un luogo dove i bambini non possono entrare. La figlia non accetta la presenza della madre, al suo ritorno a casa.
Scatta qui il bisogno di essere aiutati da uno psicoterapeuta, perché in tre anni ha beneficiato di tre colloqui con lo psicologo. Tre in tre anni. L’aiuto sarà provvidenziale per capire come affrontare la relazione con la figlia: esserci, semplicemente, dimostrare quanto la figlia sia importante per lei, quanto le sia mancata.
Lui pronto ad aiutarla in tutto, a finire le sue frasi, a fare da “mammo”, a sostituirla nelle relazioni fino a quando lei gli ha chiesto di fare un passo indietro, di permetterle di vivere il tempo nella dimensione della lentezza, conseguenza inevitabile di ogni ictus, di permetterle di rapportarsi con la figlia.
Cesare sa fare un passo indietro.
Quanta fatica, quanto coraggio per affrontare, per superare, per ottenere ad esempio la patente, per ritornare a vivere una vita affettiva e relazionale gratificante, quanto amore, che abbraccia, accoglie, dà le gambe, dà la forza di provare e riprovare.
Poi l’idea di scrivere il libro in due, di provare a raccontare ciò che è accaduto, mettere ordine, esprimere l’inespresso, ritrovarsi ancora in una storia nuova, corale, quella di tutti coloro che improvvisamente privati della loro vita di prima, devono imparare a vivere la vita dopo l’ictus.
E infine adattare il libro al teatro, trovare un’attrice bravissima che sappia rendere le difficoltà di Daniela e di tutte le Daniele del mondo, senza permettere compassione e senza scivolare nella caricatura.
Cesare Bocci e Tiziana Foschi sono stati applauditi a scena aperta e al termine il pubblico non smetteva di applaudire.
Commossi noi in platea, commossi gli attori sul palco: dopo lo spettacolo Cesare ci ha concesso un incontro, a noi riuniti da un problema comune e appartenenti ai Centri che a Torino si occupano della riabilitazione sociale degli afasici*. Mi hanno colpito la luce dei suoi occhi, la stessa di quando interpreta il famoso Mimì nella serie del Commissario Montalbano, i suoi modi cordiali, la sua capacità di ascoltare.
Devo dirtelo Daniela, Cesare è ancora bello, ma credo proprio che tu non abbia alcuna ragione di essere gelosa, perché ti ha dimostrato in maniera inequivocabile cosa significhi amare.
*Fondazione Carlo Molo (CIRP- Centro Intervento e Ricerca in Psicologia), Centro Afasia (eccellenze italiane), per il difficile compito della riabilitazione sociale al termine delle prestazioni del Servizio Sanitario Nazionale e AITA (Associazioni Italiane Afasici), che riunisce afasici e caregiver.
Ringraziamo Davide Crovetti per la segnalazione.