Chiamato in causa su queste stesse pagine da Valentina Ferretti (Sono un’Educatrice Tiflologia e dovrò ancora “giustificare la mia esistenza”), in replica a un suo precedente intervento (“Mozione d’ordine” sull’Educatore Tiflologico), Marco Condidorio si rivolge direttamente, qui di seguito, alla stessa Valentina Ferretti.
Cara Valentina ti scrivo…
Con il mio articolo “Mozione d’ordine” sull’Educatore Tiflologico avevo inteso porre l’accento proprio su una delle maggiori contraddizioni che caratterizza il nostro sistema di formazione la cui finalità, in teoria, è quella di preparare futuri professionisti in un qualche campo, nel caso nostro quello dell’istruzione e della formazione, incluso quello dell’educazione.
Dove sta la contraddizione? Che non sono solo i titoli e le abilitazioni a fare dell’insegnante un vero maestro del sapere, ma il sapere posseduto dal docente che, per questo, è vero maestro.
Aristotele scrisse che «il vero maestro non è colui che sa, ma colui il quale, oltre a sapere, sa anche trasmettere quel che sa». In molti, nella scuola, ma non solo, né sanno, né sanno trasmettere quel che poco conoscono. Però posseggono titoli e abilitazioni.
Ora, leggendo il percorso di studi che hai fatto e per come lo motivi, direi che il titolo di “Educatrice Tiflologica” ti spetterebbe e che potresti affiancare un alunno o studente nel percorso di istruzione adeguatamente, proprio per l’alto livello di preparazione; questo ti toglierebbe dall’imbarazzo di dover giustificare la tua “esistenza”. Laddove per “esistenza” immagino tu intenda il ruolo professionale per il quale hai studiato e conseguito titoli, diciamo pure specifici, ma – purtroppo per noi e per gli alunni e studenti – fatichi ad esercitare.
Questo è il punto, Valentina, i titoli nel nostro Bel Paese si sprecano e forse per questo si moltiplicano inutilmente.
Altri titoli, invece, esistono sì, ma senza un riconoscimento, pur avendo una valenza sociale e formativa assai importante.
Altri ancora sono riconosciuti e dunque non sono abusivi, ma, ahimè, non hanno alcuna ragione sociale, né utilità culturale, o se ce l’hanno è piuttosto discutibile, tipo “Classificatore di carcasse bovine”.
Molti, poi, sono quelli “abusivi” tra i quali, purtroppo, anche quello di “tiflologo”, sul quale abbiamo costruito la storia tutta italiana della Tiflologia, oggi materia discussa in tutti i nostri ambienti associativi e non solo: nelle accademie, ovvero nelle università, dove sia attivo un percorso di studi in Pedagogia, Scienze della Formazione Primaria o sul sostegno didattico, ove si studiano le Materie Tiflologiche. Questo perché la Tiflologia è ancora oggi una materia confinata nei percorsi di studi nelle aree della Pedagogia Speciale (M-ped/03).
Il tiflologo o tiflologa, dunque, rappresenta un “abuso”. Perché? Semplice, Valentina, perché non è riconosciuto come figura professionale, né il suo percorso formativo riesce, almeno sino ad oggi, ad affermarsi quale ruolo riconosciuto.
E sono tante le definizioni/mansioni di questa che, diciamocelo tra noi, resta la figura chiave per l’integrazione e l’inclusione dei nostri ragazzi a scuola e non solo. D’altro canto, Valentina, chi è il tiflologo? È il pedagogista in Scienze Tiflologiche.
Ora, non pretendiamo di avere accanto al ragazzino un pedagogista, questo perché andrebbe a configgere – non solo dal punto di vista retributivo e di inquadramento della carriera – con il docente curricolare e per il sostegno didattico, ma perché sarebbe come moltiplicare, questo sì, le figure attorno al discente. Ma che accanto al ragazzo vi sia un professionista delle Scienze Tiflologiche, questo sì, anche se il titolo sarà quello di “Assistente alla comunicazione e per l’autonomia per i non vedenti”. Praticamente un tecnico e non un educatore. Dico ciò con un certo rammarico perché come te, credo, avremmo voluto accanto al discente una figura con il titolo appropriato, ad esempio un educatore. E tuttavia auspico che almeno nei contenuti questo tecnico abbia la preparazione in Scienze Tiflologiche. Questo è quel che alla fine della fiera conta e per cui stiamo lavorando.
Tentammo di far inserire la figura del tiflo-pedagogista e dell’educatore tiflologico proprio nel “Disegno di Legge Iori”, che, nonostante gli emendamenti proposti fossero stati studiati da esperti come il preside Luciano Paschetta, pedagogista, e dal sottoscritto, docente di Tiflologia da oltre vent’anni all’Università del Molise, furono respinti, con l’approvazione della Legge 205/17, la cosiddetta “Legge Iori”, appunto.
Il 10 settembre 2018, quindi, la Regione Molise ha riconosciuto le figure dell’Educatore Tiflologico e quella dell’Operatore Tiflologico: per la prima è necessaria la laurea triennale, per la seconda è sufficiente il diploma della scuola secondaria di secondo grado. Ad oggi però, non abbiamo un percorso in Scienze Tiflologiche mediante cui dare il riconoscimento di tiflologo o di educatore, tranne quello del Molise, come detto sopra.
L’università in uscita, con la Legge da te citata, può riconoscere quella dell’educatore socio-pedagogico, non quella dell’assistente alla comunicazione e per l’autonomia (Legge 104/92, articolo 13, comma 3). Eppure, la Legge la figura la istituì già a partire dal 1992, affidandone agli Enti Locali curricolo e riconoscimento.
In quest’ultimo anno e mezzo stiamo lavorando ai Tavoli Tecnici del Ministero per la stesura dei diversi profili professionali attinenti alla figura dell’assistente alla comunicazione e per l’autonomia, allo scopo di definirne il titolo in uscita e normarlo così alla luce dello stesso Decreto Legislativo 66/17 (articolo 3).
Dichiari di essere impegnata nel percorso che ti consentirà di acquisire il titolo di Educatore Socio-Pedagogico. Bene, ciò dovrebbe essere sufficiente per entrare nel circuito scolastico; lo prevede la stessa norma da te citata, la Legge 205/17 ai commi 594-601: «594. tuttavia: l’educatore professionale socio-pedagogico e il pedagogista operano nell’ambito educativo, formativo e pedagogico, in rapporto a qualsiasi attività svolta in modo formale, non formale e informale, nelle varie fasi della vita, in una prospettiva di crescita personale e sociale, secondo le definizioni contenute nell’articolo 2 del decreto legislativo 16 gennaio 2013, n. 13, perseguendo gli obiettivi della Strategia europea deliberata dal Consiglio europeo di Lisbona del 23 e 24 marzo 2000. Le figure professionali indicate al primo periodo operano nei servizi e nei presidi socio-educativi e socio-assistenziali, nei confronti di persone di ogni età, prioritariamente nei seguenti ambiti: educativo e formativo; scolastico; socio-assistenziale, limitatamente agli aspetti socio-educativi; della genitorialità e della famiglia; culturale; giudiziario; ambientale; sportivo e motorio; dell’integrazione e della cooperazione internazionale».
Certo, Valentina, in relazione a quanto riportato nella norma.
Scrivi poi ad un certo punto del tuo articolo: «Dovremmo pensare anche a una riforma universitaria con una specializzazione ad hoc per il sostegno. Non deve essere un ripiego, un passaggio o una forzatura. Deve essere una scelta, una specializzazione mirata».
In un mio articolo di recente uscita, su queste stesse pagine, scrivevo: «E allora credo sia proprio giunto il momento di motivare il Legislatore a legiferare in favore della separazione delle carriere, per cui ogni scelta sarà sostanziale e non in vista di un secondo fine, quello cioè di scegliere il sostegno come scorciatoia per sorpassare chi in graduatoria più onestamente ha scelto di attendere la nomina per una supplenza, piuttosto che addirittura l’immissione in ruolo sulla disciplina».
Facciamo sintesi, Valentina, anche per i Lettori che non avessero seguito il dibattito su queste pagine nei mesi scorsi, dove a lungo abbiamo ragionato tra amici, Salvatore “Tillo” Nocera, Luciano Paschetta e il sottoscritto.
Anzitutto, almeno sino a oggi, la scuola si è affidata a figure riconosciute da una qualche norma nazionale o regionale. Vedi quella dell’assistente alla comunicazione e per l’autonomia (Legge 104/92, articolo 13, comma 3) o ad assistenti ed educatori riconosciuti per fornire assistenza di base o specialistica per alunni in condizioni di disabilità grave (Legge 124/99).
Conosci la normativa e sai che sino a questo momento l’assistente alla comunicazione usufruisce di un curricolo spesso improvvisato, costruito sulla scorta di interessi locali o associativi; ciò manifesta discrepanze tra l’uno e l’altro, a danno evidentemente del solo discente; sono percorsi formativi che cambiano da Regione a Regione, addirittura da Provincia a Provincia.
Attorno a questa professionalità – solamente istituita per legge – di fatto non si fa riferimento a un curriculo unico su tutto il territorio nazionale e questa situazione ha comportato nel tempo il caos e ha messo in discussione la stessa qualità del servizio offerto agli alunni o studenti in condizione di cecità assoluta o ipovisione grave.
Tali figure – ma questo certamente lo sai – non dipendono dal Ministero, bensì dagli Enti Locali, che ne sono praticamente il datore di lavoro. Il docente sul sostegno didattico, inoltre, lo ottieni per certificazione, l’assistente alla comunicazione e per l’autonomia se è indicato dal PEI (Piano Educativo Individualizzato).
Ecco che, senza voler moltiplicare alcunché, la figura dell’Educatore Tiflologico – non ancora entrato nel circuito delle figure professionali riconosciute dal Ministero, e dunque dall’Istituzione Scolastica – si potrebbe candidare quale curricolo formativo per la formazione dell’assistente alla comunicazione e per l’autonomia per le persone non vedenti.
Così, in attesa che si modifichi la norma attuale, che regolamenta l’ingresso delle figure professionali nella scuola, al fine di seguire i nostri alunni e studenti non vedenti o ipovedenti gravi, magari con minorazioni aggiuntive, quel che possiamo fare e su cui dobbiamo lavorare è il curricolo appunto, che viene ad inserirsi nel percorso cui segue il titolo abilitante alla funzione di assistente alla comunicazione e per l’autonomia.
Sapevi che molti docenti di Filosofia e Storia, come il sottoscritto, ma che a differenza mia non hanno entrambe le abilitazioni per l’insegnamento, o godono solo di un’abilitazione, possono essere chiamati a supplire senza avere la facoltà di giudizio finale? In questo la scuola è rigorosamente chiamata a operare nella piena legalità.
Valentina, spesso ripeto alle studentesse e agli studenti dell’università, compresi i laureandi, che lo studio portato avanti per cultura personale è buona cosa, ma quello finalizzato a una qualche professione è meglio ancora. Tuttavia, ogni percorso intrapreso in tal senso, finalizzato cioè al lavoro, dev’essere preceduto da un’attenta analisi del titolo che si conseguirà: è riconosciuto? Se sì, da chi? E se non è riconosciuto, è spendibile nell’area di interesse?
Domani, se di fronte ti troverai un assistente alla comunicazione e per l’autonomia per non vedenti, ed entrambi sarete di fronte all’ingresso di una scuola, tu con la tua eccellente preparazione resterai sulla soglia, lui no, entrerà. E perché? Semplice, perché se il Decreto in discussione al Ministero passerà, lui non dovrà essere necessariamente laureato, perché quel titolo si potrà conseguire anche senza alcuna laurea; e perché il suo titolo avrà un riconoscimento per Decreto e per Legge.
Paradossalmente, lui saprà le stesse cose che sai tu, perché il curricolo è molto simile; anzi, tu anche di più, ma lui avrà le “carte in regola”.
Il personale consiglio di un umile servitore prestato alla professione docente è quello di non guardare la realtà solo con gli occhi, ma anche con la ragione e il cuore. I principi etici, legali, sociali e di qualsiasi altra finalità, ma pur sempre umani, sono il frutto del tempo storico che li produce. Lo sguardo prospettico non potrà mai essere l’azione magistrale di un osservatore disinteressato, ma di chi va oltre il vedere per il “guardare”.
E comunque, Valentina, proprio domani, 5 marzo, l’UICI (Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti) incontrerà al proprio Tavolo Tecnico, istituito per effetto di un protocollo d’intesa con il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, gli esperti e i funzionari del Ministero stesso, competenti in materia di formazione del personale docente; formazione iniziale e in itinere.
L’argomento formazione non verrà per altro trattato solo domani, ma almeno in altri tre o quattro incontri, considerata la delicatezza e l’importanza strategica per l’esercizio del diritto allo studio dei nostri discenti; ma anche per l’affermazione del principio secondo cui la professione docente è espressione di una dignità professionale, che dev’essere tutelata a partire dal percorso che la persona intende intraprendere.
Auspico quindi che si riesca ad operare nella direzione per cui la valorizzazione delle risorse professionali, sviluppatesi nelle diverse realtà territoriali, come la tua, possano essere impiegate in percorsi di formazione e aggiornamento dei docenti sul sostegno didattico, al fine di consentire un esercizio del diritto allo studio da parte dei nostri alunni e studenti in condizioni di cecità assoluta o di ipovisione grave. E che, in questo momento di emergenza formativa, possano essere compresi nel circuito degli interventi di formazione e aggiornamento, anche gli assistenti alla comunicazione e per l’autonomia e gli educatori.
Buona fortuna!