E’ sempre con grande piacere che parliamo sulle nostre pagine di Gabriella Bertini, coraggiosa donna con disabilità, scomparsa nel 2015, che tante lotte condusse, in anni difficili, in favore della dignità e dei diritti delle persone con disabilità, vero simbolo di Vita Indipendente, che fu tra l’altro la prima donna con disabilità in Italia alla guida di un’autovettura e anche la prima ad adottare un figlio.
«Ci sono automobili che hanno segnato un’epoca – ha scritto a suo tempo nel nostro giornale Stefania Delendati, in un suo splendido ritratto di cui suggeriamo caldamente la lettura – alcune rese celebri dal cinema, altre di lusso, altre ancora legate a fatti di cronaca. La Fiat 500 di Gabriella Bertini è poco conosciuta, come del resto pochi conoscono la sua coraggiosa autista, eppure è un pezzo di storia del nostro Paese, che ha molto da dirci su come eravamo, quanta strada abbiamo percorso e quanto ancora dobbiamo rimboccarci le maniche».
Per Gabriella il futuro consisteva soprattutto nella realizzazione di un sogno, ovvero del Progetto Casa Gabriella, che desse completezza nel tempo al percorso assistenziale garantito dall’Unità Spinale Unipolare di Firenze, per la quale tanto si era battuta. L’idea era quella di una struttura sanitaria vicina alla stessa Unità Spinale, punto di appoggio fondamentale per le persone con lesione midollare che necessitassero di prestazioni sanitarie senza doversi ricoverare. Ed è un progetto che fortunatamente, anche dopo la scomparsa di Gabriella, continua ad essere sostenuto e sollecitato da molti suoi amici e amiche.
«Divenuta paraplegica giovanissima – ricorda a tal proposito Manuela Cappellini, presidente dell’ATP (Associazione Toscana Paraplegici) – Gabriella Bertini impegnò tutta la sua vita a combattere per i diritti delle persone con disabilità, a partire dalla necessità di strutture sanitarie specifiche: dalle sue esperienze di ricovero all’estero, maturò la consapevolezza della necessità dell’Unità Spinale a Firenze, imponendo alle Istituzioni Politiche e Sanitarie un nuovo modello di cura, accompagnata nelle sue battaglie da lavoratori e cittadini. La costruzione di “alleanze” fu il metodo che la guidò nei molti anni in cui riuscì con gli altri a dare vita a diverse Associazioni, tra le quali l’Associazione Toscana Paraplegici e la FAIP (Federazione Associazioni Italiane Paratetraplegici) e a proiettarsi nel sogno/progetto di Casa Gabriella».
Parlare oggi di Gabriella Bertini, alla vigilia dell’8 Marzo, Giornata Internazionale della Donna, ci sembra ancora più appropriato, specie pensando che proprio domani, al Teatro Momo di Venezia (ore 19), saranno la sua storia e le sue stesse parole, raccontate dall’attrice Laura Lattuada, le protagoniste della rappresentazione teatrale Io, Gabriella. La donna che voleva volare, organizzata dal Centro Donna del Comune di Venezia, nell’àmbito della manifestazione Marzo Donna e del progetto Venezia Città delle Donne.
«Questo appuntamento – si legge nella presentazione dello spettacolo – con la partecipazione straordinaria dell’attrice Laura Lattuada, che impersonificherà proprio la protagonista, condurrà alla scoperta delle emozioni, delle passioni e dei sentimenti più intimi di Gabriella Bertini, narrando la sua vita straordinaria densa di avventure e di battaglie in cui si tuffò fin da adolescente, quando improvvisamente si trovò immobilizzata nel cuore di una giovinezza piena di aspettative e progetti. Da allora, con una grande capacità di reazione, si è dedicata totalmente alla lotta contro qualsiasi tipo di ingiustizia, non esitando a contattare anche i “potenti della terra” con risultati spesso sorprendenti. Come dice lei stessa in una delle sue “sentenze poetiche”: “La sofferenza è la cosa più rivoluzionaria se la si organizza e la si incanala verso la richiesta di giustizia”. Forte di questa idea Gabriella non si è mai arresa anche in momenti molto difficili, dando tutto di sé senza risparmiarsi. Con la stessa grande sensibilità e lo stesso impeto ha vissuto la sua vita privata, colmando di amore e di passione non solo il marito Beppe e il figlio Adi, ma anche tutte le persone che, come ha scritto lei stessa, “sentiva con la pelle”». (Stefano Borgato)
Ringraziamo per la collaborazione Manuela Cappellini e Giampiero Licinio.