Stiamo attraversando un momento piuttosto delicato e di cambiamento incerto. Sì, è senza dubbio incerto e ancora ambivalente: si proseguirà riprendendo le elaborazioni e le istanze che negli ultimi anni le organizzazioni delle persone con disabilità hanno saputo declinare, oppure tutto sarà messo nuovamente in discussione?
Il Reddito di Cittadinanza è stato definito dallo stesso Legislatore come una misura fondamentale di politica attiva del lavoro a garanzia del diritto al lavoro, di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all’esclusione sociale.
Vi sono almeno tre concetti che non potevano che attirare l’attenzione della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap): lavoro, disuguaglianza, esclusioni. Non sono in realtà solo concetti, ma alcuni dei capisaldi dell’azione politica della FISH sin dal suo esordio e che sono ancora ampiamente condivisi con le organizzazioni federate, con la Giunta e con il Consiglio Nazionale, senza i quali nessuna azione avrebbe senso e possibilità di successo.
Da subito, quindi, la nostra attenzione è stata elevata e le nostre rivendicazioni, che come sempre non fanno sconti a nessuno, sono assieme di principio e di sostanza.
Di principio: le politiche rivolte all’inclusione sociale – tutte le politiche, invero – devono tenere conto anche della variabile disabilità, del fatto che la disabilità non è una “riserva a parte”, ma le persone con disabilità sono cittadini come tutti e devono poter accedere ai servizi per la collettività al pari degli altri.
Questo non sembra essere così consolidato, visto che in queste settimane abbiamo anche raccolto repliche che affermavano che il Reddito di Cittadinanza non è uno strumento per la disabilità e che a quest’ultima ci si penserà successivamente, con altri provvedimenti, un po’ per volta… Niente di meno condivisibile. Riflettere e decidere tenendo conto della disabilità in questo caso significa riconoscere innanzitutto il fatto che essa è troppo spesso un elemento di impoverimento oltre che di esclusione. C’è una discriminazione plurima derivante dall’essere, spesso inscindibilmente, poveri e disabili.
Questo riconoscimento di principio sostiene le nostre conseguenti rivendicazioni di sostanza. Abbiamo dimostrato in ogni occasione, non ultima in audizione alla Camera pochi giorni fa, che ai fini del riconoscimento e dell’erogazione del reddito e della pensione di cittadinanza, i nuclei in cui sia presente una persona con disabilità sono trattati meno favorevolmente delle altre famiglie. Vengono di fatto conteggiate anche le pensioni di invalidità come reddito, condizionando negativamente l’accesso e l’importo del supporto economico.
Abbiamo evidenziato come la pensione di cittadinanza, concessa ai soli ultrasessantasettenni che vivono soli o con un altro anziano, sia preclusa a quei nuclei più esposti come quelli in cui un genitore anziano viva con un adulto con disabilità magari grave. Ne abbiamo chiesto un emendamento di ragionevolezza.
Abbiamo stigmatizzato il ricorso a scale di equivalenza e a parametri che, oltre a sottostimare i nuclei numerosi, non considerano la presenza in famiglia di persone con disabilità.
Abbiamo sollecitato correzioni del Decreto Legge 4/19, in modo da garantire il rispetto delle aliquote obbligatorie della Legge 68/99 sul collocamento mirato, da parte delle aziende che otterranno benefici nel caso di assunzione di titolari di reddito di cittadinanza e che queste nuove agevolazioni possano essere sommate a quelle già previste dalla stessa Legge 68/99. E questo per aumentare le possibilità di occupazione di tante persone con disabilità. Questa nostra richiesta è stata parzialmente accolta, in prima lettura del Decreto dal Senato (la parte del rispetto delle aliquote).
Ebbene: i nostri emendamenti sono stati ascoltati, se ne è ammesso il buon senso e la fondatezza, sono stati presentati al Senato da Parlamentari della Maggioranza e dell’Opposizione, ma non sono stati recepiti. Perché?
Ora alla Camera si sta ripetendo lo stesso copione: la Commissione sembra assentire, anche a Montecitorio Deputati di Maggioranza e Opposizione stanno ripresentando i nostri emendamenti che raccolgono apprezzamento. Le premesse teoriche sono ottime, ma abbiamo sufficiente lucidità e visione per comprendere che siamo ad un’impasse.
All’uscita dall’ultima audizione alla Camera, con una certa pur rispettosa stizza, mi è stato detto che la FISH, con le sue posizioni sul Reddito di Cittadinanza, sta causando un problema politico. Questa, che era intesa come una critica, la recepiamo come un apprezzamento: stiamo andando nella giusta direzione. È proprio ciò per cui esistiamo: porre la questione politica della disabilità, che viene ancora prima delle risorse, che deve essere considerata non con interventi di nicchia o in tempi imprecisati o un pochino alla volta, ma con azioni di sistema e trasversali a tutti gli interventi che riguardano i cittadini che vivono nel nostro Paese.
Né le persone con disabilità e le loro famiglie sono più disponibili ad essere irrise con promesse né con rinvii. Lo ricordiamo il vulnus che sta a monte del decreto sul Reddito di Cittadinanza: l’avere annunciato platealmente l’aumento delle pensioni agli invalidi. Aumento, alla prova dei fatti, inesistente.
Ma ora ci concentriamo sul Decreto: il Parlamento non accoglierà quegli emendamenti se non vi sarà il placet del Governo, in particolare di chi coordina questo intervento, e le conseguenti coperture. Decisioni che, ad oggi, sembrano non essere ancora maturate.
L’azione di pressione della FISH parte da questa consapevolezza: in tutti i modi e in tutti i contesti intendiamo agire perché prevalga la ragionevolezza, le parole si trasformino in atti concreti e inizi un nuovo percorso di confronto ed elaborazione a favore della reale inclusione.
Per andare in questa direzione, già condivisa con le Associazioni federate, oggi più che mai, abbiamo necessità del sostegno attivo di tutti, non solo per evitare arretramenti nei diritti, ma soprattutto per condurre una battaglia per proporre scenari e modelli radicalmente diversi in cui pari opportunità, inclusione, diritto di scelta non siano solo slogan.