Ha compiuto vent’anni la Legge 68/99, quella sul diritto al lavoro dei disabili, quella che aveva introdotto il metodo del collocamento mirato, che aveva ipotizzato una nuova modalità di accompagnamento delle persone con disabilità verso l’inclusione lavorativa, basato su una valutazione più efficace delle capacità residue e attenti servizi per l’impiego. Quella che aveva rimodulato le aliquote di riserva che le aziende, pubbliche e private, dovevano rispettare, ottenendo incentivi e temendo sanzioni. Una norma ispirata e con una visione inclusiva, condivisa nella sua elaborazione e approvazione.
Dopo vent’anni, però, il quadro è tutt’altro che positivo. L’esclusione dal mondo del lavoro è una delle principali cause di svantaggio e di marginalità, è una delle più evidenti dimostrazioni di quanto lo stigma, il pregiudizio, le omissioni, i ritardi condizionino ancora le politiche sulla disabilità, i servizi, il contesto produttivo stesso. E anche in questa evidenza vi sono sacche di disparità altrettanto odiose: l’esclusione dal mondo del lavoro, infatti, colpisce in modo ancora più grave le donne con disabilità, le persone con disabilità intellettiva o relazione, più al Sud che al Nord. Riguarda (eccome) anche le assunzioni presso la Pubblica Amministrazione, e non solo le aziende private.
Persino il Legislatore, lentamente, si è accorto che qualcosa non funziona e qualcos’altro non è andato per il verso giusto, tentando di raddrizzare il timone e introducendo alcuni correttivi.
Lo ha fatto nel 2015, ma ha lasciato l’opera a metà, come tutte quelle a cui non si attribuisce sufficiente rilevanza. Il Decreto Legislativo n. 151 del 14 settembre 2015, applicativo del Jobs Act, è intervenuto tentando di semplificare e potenziare l’applicazione della Legge 68.
Gli intenti che vi sono espressi necessitano però di precisi strumenti di indirizzo e infatti il Decreto prevede, come passaggio fondamentale, la definizione di Linee Guida in materia di collocamento mirato delle persone con disabilità.
Le linee guida sono uno strumento essenziale per molti aspetti anche estremamente pratici che riguardano la rete dei servizi, i progetti di inclusione lavorativa, gli accordi territoriali per l’impiego, l’analisi delle caratteristiche dei posti di lavoro da assegnare alle persone con disabilità, la promozione dell’istituzione di un responsabile dell’inserimento lavorativo nei luoghi di lavoro e altro ancora. Essenziali per il reale cambiamento.
Il Decreto, inoltre, prevede anche la costituzione all’interno della Banca Dati Politiche Attive e Passive di una specifica sezione denominata Banca Dati del Collocamento Mirato, strumento, questo, importante, anche per avere contezza, in tempi non generazionali, degli effettivi inserimenti, delle scoperture, dell’efficacia dei servizi, anche per evitare di dover leggere ancora, come in un recentissimo passato, che almeno un terzo delle Province italiane manco li forniscono i dati per la Relazione sullo stato dell’applicazione della Legge 68/99.
La responsabilità e la competenza per l’emanazione delle Linee Guida e per l’attivazione della Banca Dati spetta al Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, ma ad oltre tre anni dall’entrata in vigore di quel Decreto, non vi è ancora traccia di applicazioni operative, nonostante siano giacenti e senza risposta Interrogazioni Parlamentari sul punto.
Nel frattempo, l’ultima Relazione al Parlamento sullo stato di attuazione della Legge 68 risale al febbraio dello scorso anno ed è relativa agli anni 2014/2015, screzio temporale illuminante dell’interesse attorno al tema.
Quella Relazione, fra gli altri elementi, offre anche alcuni dati sui datori di lavoro, ma a differenza che nei precedenti anni non contiene informazioni sulle “quote di riserva”, ossia sui posti che le aziende pubbliche e private dovrebbero riservare alle assunzioni di persone con disabilità.
Il quadro è comunque severo: nella fase di contrazione economica e di crisi si evidenziano dati drammatici sui potenziali posti di lavoro persi. Nel 2014 sono state effettuate 5.312 comunicazioni di sospensione dagli obblighi occupazionali, che hanno interessato 58.513 posizioni lavorative delle quote di riserva nelle imprese richiedenti, e nel 2015 sono state effettuate 3.775 comunicazioni per 13.377 posizioni lavorative. Inoltre, sono stati adottati 512 provvedimenti di sospensione temporanea per 1.060 posizioni lavorative nel 2014, e 464 provvedimenti per 1.048 posizioni nel 2015.
Alle sospensioni temporanee si aggiungono poi gli esoneri parziali, concessi a quei datori di lavoro che non possono occupare l’intera percentuale di persone con disabilità prevista dalla Legge in ragione di particolari condizioni, quali l’impegno fatigante delle prestazioni lavorative, la pericolosità connaturata al tipo di attività, le modalità di svolgimento dell’attività lavorativa e l’assenza di mansioni compatibili con le condizioni di disabilità e con le capacità lavorative degli aventi diritto. In tale àmbito, le pratiche autorizzate negli anni 2014 e 2015 sono state rispettivamente 1.864 e 1.974, per un numero di persone con disabilità interessate pari rispettivamente a 13.460 e 13.551.
Risibile, infine, risulta il numero delle sanzioni comminate. Le sanzioni per il ritardato invio del prospetto informativo ammontano a 96 nel 2014 e 12 nel 2015. Le sanzioni per ritardato adempimento degli obblighi di assunzione ammontano a 207 nel 2014 e a 151 nel 2015.
Potremmo proseguire sciorinando molte altre cifre, dati, elementi. Sarebbero superflui per far comprendere come in vent’anni la differenza di vita delle persone con disabilità non sia così significativa, in particolare per i livelli e le condizioni occupazionali. E ciò appare ancora più grave, se si rammenta che poco più di un mese fa, esattamente il 3 marzo, si è celebrato pure il decennale della ratifica da parte dell’Italia della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità (Legge 18/09).