Ci sono degli alunni con disabilità per i quali il diritto all’inclusione scolastica viene ancora oggi, troppo spesso, messo in discussione: parliamo dei bambini con problemi di comportamento, quelli che non stanno fermi e non rispettano le regole, quelli che “rompono”, che ogni giorno provocano e mettono in crisi gli insegnanti, creando tensioni con i compagni. Ma anche quelli che più di tutti hanno bisogno – oltre che diritto – di andare a scuola, perché proprio attraverso il contatto quotidiano con gli altri bambini, in un contesto educativo efficace, è possibile superare le loro difficoltà di relazione.
Nessuno si sognerebbe di cacciare da scuola un bambino con la sindrome di Down, di limitare la frequenza a un alunno non vedente, di chiamare i genitori per venire a prendere il bambino sordo se mostra segni di insofferenza. Eppure, queste ed altre pratiche “esclusive” (nel senso, ovviamente, di opposte a “inclusive”) sono diffusissime nelle nostre scuole quando la disabilità, o il disturbo, in questione è di tipo comportamentale, anche se regolarmente certificato e con risorse specifiche di sostegno o personale educativo.
Numerosissime sono le testimonianze che abbiamo raccolto negli ultimi quattro anni attraverso il Gruppo Facebook Normativa Inclusione [quest’ultimo conta attualmente su oltre 23.000 iscritti, e gli Autori del presente approfondimento vi rispondono quotidianamente a quesiti sulla normativa scolastica di genitori e insegnanti. Nel 2018 Fogarolo e Onger hanno pubblicato per Erickson una selezione ragionata di tali interventi, nel volume “Inclusione scolastica: domande e risposte” di cui si legga anche in «Superando.it», N.d.R.], da cui emerge una scuola in difficoltà, che troppo spesso si rapporta alle famiglie di questi alunni con atteggiamenti vessatori, con limitazioni arbitrarie al diritto alla frequenza scolastica, con punizioni erogate senza nessuna garanzia e senza assunzioni di responsabilità.
Frequentissima, ad esempio, è la pratica di chiamare i genitori a scuola, imponendo loro di portarsi a casa il bambino che non sanno tenere, ma pretendendo, a livello formale, che il genitore firmi una richiesta di permesso di uscita anticipata, che poi la scuola “benevolmente” concede.
Abbiamo pensato di pubblicare un campione di testimonianze su questo argomento, prese dal ricchissimo archivio del citato Gruppo Facebook [per consultare l’archivio del Gruppo, è possibile usare un motore di ricerca interno, a testo libero, ma anche effettuare la ricerca selezionando gli argomenti predefiniti. Il gruppo è chiuso: per accedervi basta richiederlo, N.d.R.], suddivise in base a quelli che chiamiamo “i meccanismi dell’esclusione”:
1. Imporre un orario di frequenza ridotta
2. «Venite subito a prenderlo!»
3. Punizioni disciplinari
4. Esclusione dalla gita
5. Voto in condotta
6. Costretti a cambiare scuola
1. Imporre un orario di frequenza ridotta
Il bambino è difficile da tenere e quindi la scuola decide un orario diverso da quello dei compagni, con meno ore di frequenza, spesso motivando la decisione con scarse risorse: «Se abbiamo 20 ore di sostegno, il bambino può stare a scuola 20 ore, non una di più».
Si tratta di una pratica che viola varie leggi, ma citiamo qui solo l’articolo 12, comma 4 della Legge 104/92 («L’esercizio del diritto all’educazione e all’istruzione non può essere impedito da difficoltà di apprendimento né da altre difficoltà derivanti dalle disabilità connesse all’handicap») e la Legge 67/06 sulla discriminazione.
Le testimonianze
«Un GLH [Gruppo di Lavoro Handicap, N.d.R.] può obbligare il bambino ad uscire alle 12,00 (quindi saltando la refezione e saltando il tempo prolungato) solo perché iperattivo e non facile da gestire? Il bambino ha una 104 comma 3, è alla materna, avrebbe diritto ad insegnante con rapporto uno ad uno, all’assistente materiale ma ad oggi ha ottenuto solo un’insegnante condivisa con un’altra bambina della stessa classe».
«È accettabile che un bambino di 6 anni che frequenta la prima elementare, con lieve ritardo del linguaggio e immaturità emotiva-affettiva, e con insegnante di sostegno per 15 ore settimanali, debba, a dire della scuola, uscire prima perché non sanno gestirlo? Mio figlio ha il diritto di stare a scuola come gli altri bambini. È da settembre che va avanti questa storia, e io ho accettato in quanto eravamo ai primi giorni di lezione e si doveva integrare, adesso sono passati 5 mesi e ad oggi ancora nessuna intenzione da parte della scuola di portarlo all’orario normale».
«Mio figlio ha una certificazione ADHD [disturbo da deficit di attenzione e iperattività, N.d.R.]+ Disturbo oppositivo provocatorio, con 104 comma 3. Fino all’anno scorso andava all’asilo con orario pieno e solo 15 ore di sostegno e la situazione era gestibile, ora ha iniziato le elementari, ha le ore totali di sostegno più l’educatore. È stato inserito in una classe a tempo pieno, ma da subito mi è stato chiesto di fare un orario ridotto come i nuovi moduli. Io non ero d’accordo perché sono sola e così non riesco a lavorare, ma essendo che gli episodi di aggressività che mi sono stati riferiti erano gravi ho accettato (non mi è stato fatto firmare nulla), ma poi l’orario è stato ulteriormente ridotto. Fino a un mese fa è successo che mi chiamassero per prenderlo da scuola anche dopo mezz’ora: mi dicevano che altrimenti avrebbero chiamato il 118. Ora in realtà non è più accaduto nulla di grave, ma non vogliono che si fermi un po’ di più neanche per una giornata, considerando che il lunedì fa solo 3 ore perché salta la religione e mi è stato chiesto di non fargli fare l’attività alternativa. Chiedo: è legale tutto ciò? Mi dicono che se non mi sta bene devo cambiare scuola, ma mio figlio è contento e so che un ulteriore cambiamento non sarebbe produttivo».
2. «Venite subito a prenderlo!»
Chiamare i genitori quando non si riesce più a tenere il bambino è una pratica molto diffusa. Che la scuola chieda aiuto quando è in difficoltà, anche per evitare guai peggiori, può anche essere accettabile; molto meno che imponga l’intervento immediato, minacciando anche di chiamare Carabinieri o 118 se qualcuno non si presenta subito.
Sulla legittimità di una procedura del genere, che limita in modo arbitrario il diritto alla frequenza scolastica del bambino, senza nessun provvedimento formale, pensiamo sia lecito porre molti interrogativi e non a caso, quando sentiamo parlare di Carabinieri, suggeriamo ai genitori di recarsi loro per primi in caserma a raccontare quello che sta facendo la scuola.
Questa modalità di intervento produce spesso effetti disastrosi sul piano educativo perché il bambino impara che se a scuola vive una situazione di disagio, basta comportarsi in un certo modo e viene la mamma che lo riporta a casa tra i suoi giochi.
Si può anche chiedere in casi disperati l’intervento di un genitore, ma per calmarlo e fargli continuare l’attività a scuola, non per portarlo a casa. Se interessa solo liberarsi del bambino qualche ora prima, senza preoccuparsi di quello che succederà il giorno successivo, è un altro discorso.
Le testimonianze
«Sono la mamma di un bimbo di sette anni che frequenta la prima elementare, ha il disturbo dell’attenzione e di linguaggio, fa terapia e ha il sostegno per 12 ore settimanali. Da tutti i controlli fatti prima di iniziare l’anno scolastico è risultato un bambino intelligente e quindi non aveva bisogno di più ore di sostegno e di un educatore, ma ora la cosa è diventata incontrollabile perché ha dei comportamenti aggressivi e violenti verso le maestre nel momento in cui gli viene fatta una richiesta che ha bisogno di più impegno. Non accetta il no come risposta e quindi si scatena il putiferio: inizia a buttare oggetti banchi e sedie con il pericolo che si faccia male e che faccia male. Quindi vengo chiamata continuamente dagli insegnanti e sono costretta a lasciare il mio posto di lavoro. Chiedo: cosa possa fare e a chi possa chiedere aiuto per tutelare tutti. A chi mi devo rivolgere? La scuola mi può chiamare sempre? Aiutatemi per favore».
«Durante quest’anno scolastico sono stata chiamata 5-6 volte per andare a prendere a scuola mio figlio (terza elementare, ADHD, DOP [disturbo oppositivo provocatorio, N.d.R.]) prima della fine delle lezioni in quanto il suo comportamento creava disagio, impediva all’insegnante di fare lezione e, a detta del Dirigente, era pericoloso per il bambino e i compagni. L’ultima volta ieri. Essendo io e mio marito al lavoro, ha chiamato mia madre, che avendo un impegno ha risposto che sarebbe andata dopo un’ora. Il Dirigente dice che noi non possiamo rifiutarci di andarlo a prendere quando chiamano e che, se non andiamo, lui potrebbe chiamare i Carabinieri per farlo tenere in custodia e fare intervenire i servizi sociali! È davvero così? Aggiungo che ogni volta ci fanno firmare la richiesta di uscita anticipata, dove dobbiamo anche specificare il motivo per cui noi lo vogliamo ritirare prima!».
3. Punizioni disciplinari
Certamente anche ai ragazzi con disturbi di comportamento si possono comminare punizioni disciplinari, ma bisogna seguire criteri e procedure definiti nello Statuto delle studentesse e degli studenti (DPR 235/07). In particolare, chi decide la punizione deve sempre tener conto della situazione personale dello studente (articolo 1, comma 5 del DPR citato) e non può certo ignorare un’eventuale situazione clinica.
Bisogna poi ricordare che lo Statuto si applica solo alla scuola secondaria. Nella scuola primaria, invece, non sono previste punizioni disciplinari che portano all’allontanamento dell’alunno: se proprio si vuole, si deve applicare il Regio Decreto del 1928 (RD n. 1297), purché si tenga conto dei princìpi dell’azione amministrativa che tutela i cittadini (non più sudditi come nel 1928) e in particolare della Legge 241/90, per quanto riguarda le procedure di trasparenza e possibilità di ricorso (Nota Ministeriale n. 3602 del 2008).
Da notare che lo Statuto delle studentesse e degli studenti non parla più di sospensione delle lezioni ma di «allontanamento dalla comunità scolastica». Pertanto, la separazione punitiva dalla classe, anche senza forzata assenza da scuola, rientra nel concetto di punizione, e questo vale ovviamente anche per la scuola primaria.
Come si vede da tutte le testimonianze seguenti, sembra che, soprattutto alla scuola primaria, nei confronti dei bambini con disturbi di comportamento non esistano tutele e procedure e possano essere sospesi, allontanati dalla classe, mandati a casa prima… quanto e come si vuole.
Le testimonianze
«Ho un figlio di 9 anni con Legge 104, ADHD e DOP, ha sia sostegno che educatore. A causa dei suoi problemi comportamentali già segue un orario ridotto perché, a detta delle maestre, da solo è ingestibile. Nell’ultimo periodo il suo comportamento è peggiorato e ha assunto atteggiamenti aggressivi (che in realtà ha sempre avuto anche in passato, ma probabilmente meno frequentemente) e che non nascondo. La soluzione a questo peggioramento, che la dirigente ha quindi deciso di adottare, è quella di mettere in isolamento il bambino, per 10 giorni, per poi adottare un orario (senza data di scadenza), in cui in classe ci starà solo per 2 ore giornaliere ma poi verrà nuovamente ricondotto in una stanza da solo, nella quale rimarrà fino a fine lezione. Con i compagni, di fatto, avrà rapporti quindi solo nelle due ore in classe e, 3 volte a settimana, in mensa. Chiedo, tutto questo è accettabile? Può una scuola, invece di formare il personale del corpo insegnanti sul trattamento di queste problematiche, assumere rimedi così drastici? Quale può essere l’intento educativo in questo modo di agire? E infine, può una scuola scaricare sulle spalle di un minore, e su noi genitori, la colpa della sua disabilità?».
«Mio figlio è un ragazzo di 15 anni in prima superiore, ADHP e DOP in terapia farmacologica. Ha un’impulsività molto forte, non controlla le sue parole e le sue azioni, e questo gli crea molti problemi a scuola. Ha una certificazione art. 3 comma 3 con 12 ore di sostegno. Per fortuna è molto intelligente e didatticamente va bene, anche se sta arrivando alla frutta perché molto stanco e provato. Vorrei sapere se è possibile e corretto che la scuola punisca con un provvedimento disciplinare dei gesti che sono chiaramente legati alla sua impulsività e alla sua difficoltà a riflettere sulle conseguenze delle azioni. Caratteristiche tipiche degli ADHD! Una mattina la Prof.ssa non ha voluto che uscisse con l’insegnante di sostegno perché voleva che assistesse alla correzione della verifica; quel giorno lui era particolarmente agitato e ha tagliuzzato una gomma da cancellare che poi, per concludere, l’ha offerta alla prof come cocaina: 5 giorni di sospensione. D’accordo, era un gesto inopportuno, forse offensivo, ma la sospensione non aiuta questi ragazzi a controllarsi, o a fermarsi in tempo, perché prevale l’impulsività. Il ragazzo è intelligente e appena fatto ragionare ha capito subito di aver fatto una stupidata, ma questo fa aumentare ancora di più la frustrazione e la sensazione di essere sempre inadeguati perché non ci si sa controllare».
4. Esclusione dalla gita
Le gite – o meglio uscite o viaggi di istruzione -, sono attività didattiche a tutti gli effetti e impedire a un alunno di partecipare significa allontanarlo dalla comunità scolastica. Ossia impartire una punizione disciplinare, secondo il già citato Statuto delle studentesse e degli studenti.
Non è certamente semplice portare in gita un alunno con problemi di comportamento, ma anche in questi casi servono strategie educative, ricordando che il viaggio ha per i ragazzi un’elevata valenza motivazionale e può quindi entrare efficacemente in patti educativi che possono aiutare a responsabilizzare il ragazzo e a migliorarne il comportamento. L’esclusione, viceversa, se vissuta come ingiusta dal ragazzo (evento del resto molto probabile) porterà ad accentuare i conflitti e il suo isolamento quando tornerà a scuola.
Le testimonianze
«I genitori di un alunno ADHD si sono visti recapitare in questi in giorni dalla scuola di appartenenza questa lettera: “Se il ragazzo non modificherà il suo comportamento verrà escluso dalla gita scolastica…”. La scuola, pur dovendo affrontare le difficoltà del caso, può vietare la partecipazione alla gita del ragazzo in questione? Quali strategie la famiglia può suggerire alla scuola per evitare questa esclusione? Potrebbe ad esempio rendersi disponibile ad accompagnare il ragazzo in gita o sono previste altre forme di accompagnamento?».
«Sono mamma di una bambina diagnosticata ADHD DOP. Non mi è stata riconosciuta la Legge 104 e la bimba assume farmaci e frequenta la quarta elementare. È seguita da un’educatrice a scuola per 8 ore settimanali. Sono accaduti un paio di episodi in cui ha fatto male a due compagni, conclusisi senza nessuna azione disciplinare verso mia figlia. Mi hanno comunicato verbalmente che la dirigenza ha deciso che mia figlia non potrà partecipare all’uscita didattica a seguito di questi episodi. Mi sono proposta come accompagnatore e, nonostante sul regolamento d’istituto sia consentita la partecipazione di un genitore accompagnatore, mi è stato negato, dicendo che la dirigente non vuole. Anche questo mi è stato comunicato verbalmente».
«Oggi, all’uscita della scuola, mio figlio (ADHD con DOP) non era in fila con i compagni perché la maestra lo aveva messo in punizione in classe, dicendogli che se non prometteva di fare il bravo il giorno dopo non sarebbe uscito da scuola. Sono dovuta entrare a scuola e andare in classe. Ho trovato mio figlio in un angolo che piangeva».
5. Voto in condotta
Anche il voto in condotta deve naturalmente tener conto della situazione personale dell’alunno, ma quando, come succede molto spesso, questi bambini o ragazzi hanno anche una certificazione di disabilità con insegnante di sostegno, la normativa dice chiaramente che i voti devono essere riferiti al loro PEI (Piano Educativo Individualizzato) e non agli obiettivi della classe, e questo vale anche per il comportamento (Decreto Legislativo 62/17, articolo 11, per il Primo Ciclo, DPR 122/09, articolo 9, comma 1, per il Secondo Ciclo).
È pertanto illegittimo assegnare il voto di condotta a un alunno con disabilità facendo riferimento al generico rispetto delle regole e non agli specifici obiettivi personalizzati che erano stati posti per lui.
Le testimonianze
«Mio figlio, ADHD con BES e PDP [Bisogni Educativi Speciali e Piano Didattico Personalizzato, N.d.R.], ha concluso la prima superiore. Ha voti piuttosto soddisfacenti, con alcuni sette ed un otto. Non mi hanno mai detto che il comportamento fosse un problema, eppure trovo in pagella un sette in condotta: è plausibile per un ragazzo con ADHD certificato, sapendo comunque che uno dei suoi problemi è l’impulsività? Per carità, è stato promosso, ma sembra quasi una punizione… anche perché tra tutte le prime i sette in condotta sono pochissimi e anche i compagni che so essere più vivaci hanno preso otto. Posso in qualche modo chiederne la motivazione?».
«Mio figlio ha la Legge 104 art. 3 c. 3 per un disturbo del comportamento. Ha un PEI con quasi tutte le materie semplificate. Ora sono arrivate le pagelle e il comportamento è stato giudicato sufficiente. Parliamo di una seconda elementare. Vorrei sapere se è corretto che il bambino venga valutato “male” proprio su quella che è la sua invalidità. Oppure “sufficiente” non è un voto negativo? Io non sono interessata ai voti, ma non gli mostrerò la pagella: tutte le maestre mi hanno parlato di enormi miglioramenti dall’anno scorso, ma nella pagella tutto è rimasto invariato e temo che questo possa scoraggiarlo».
6. Costretti a cambiare scuola
In molte delle testimonianze fin qui riportate la strategia espulsiva si intuisce, ma non viene dichiarata. Certe volte, però, la scuola non ha proprio il pudore di nascondere le proprie intenzioni e il messaggio dato ai genitori diventa esplicito: questo bambino non lo vogliamo, cambiate scuola! Le norme più elementari dell’inclusione vengono quindi tranquillamente ignorate da dirigenti e insegnanti che, evidentemente, pensano di poterlo fare.
Volendo essere ottimisti, e vedere il famoso bicchiere mezzo pieno, possiamo osservare che effettivamente cambiando scuola, quasi sempre, i problemi si risolvono e questo significa che insegnanti che sanno svolgere correttamente il loro ruolo educativo anche verso questi bambini, fortunatamente, ce ne sono tanti. Questo, però, non compensa l’amarezza del bicchiere mezzo vuoto: l’atteggiamento di espulsione della prima scuola ha avuto successo perché in questo modo è riuscita a liberarsi sia del bambino difficile che dei loro genitori rompiscatole. Se in futuro ne dovesse arrivare un altro, sanno come fare per risolvere il problema…
Le testimonianze
«Il dirigente mi dice testuali parole: se mia figlia a scuola dovesse avere atteggiamento aggressivo il prossimo anno non accetterà la sua iscrizione. C’è una legge che mi tuteli in questo? Oppure può agire in questa maniera? Poi dice che per cautelare i suoi insegnanti e ragazzi quando l’insegnante di sostegno dovesse ammalarsi mia figlia devo farla stare a casa per non rischiare che succedano atti aggressivi».
«Mio figlio 11 anni ADHD in forma grave DOP con legge 104 e indennità di frequenza ha iniziato la prima media lo scorso 12 settembre. Il primo periodo sembrava tutto bene, ma ultimamente una tragedia… Non fa altro che ripetere che gli fa tutto schifo, scuola e docenti: soprattutto una, quella di Italiano. Si rifiuta di lavorare e usa un linguaggio volgare nei confronti dei docenti. Non collabora neanche con i docenti di sostegno. Sono stata richiamata dalla dirigente la quale mi ha informata che aveva sospeso il bambino per il suo comportamento e che purtroppo la scuola non aveva docenti di sostegno in grado di seguirlo e mi ha chiesto di fare una autocertificazione dove io, di mia spontanea volontà, ritiro il bambino da scuola impegnandomi a farlo studiare a casa con l’istruzione parentale. Io sinceramente non sono d’accordo. Cosa mi consigliate?».
«Giovedì l’insegnante di mio figlio, ADHD DOP, mi ha detto esplicitamente che è inutile continuare a provare con lui, che lei è stanca e che rinuncia con lui, che non lo sopporta più e che non sopporta più il suo comportamento, che il ruolo della scuola, e quindi il suo, è insegnare ai bambini a leggere, scrivere, obbedire, stare fermi e zitti! Le strategie secondo lei sono inutili e vanno contro il ruolo vero della scuola. Si vizia il bambino permettendo pause e agevolazioni e si ottiene come risultato il comportamento di mio figlio. Ci credo che lei sia stanca, perché a differenza di altri mesi, quando mio figlio lo vedeva solo 7 giorni in un mese perché me lo rimandava a casa dopo 20 minuti durante la sua lezione, questo mese non ho accettato di portarmelo via, e quindi ora sta imparando a conoscerlo. In tanti mi hanno consigliato di cambiare scuola e sono d’accordo con loro, ma dietro di noi ci sono altri bimbi nella condizione di mio figlio. Possibile che non si possa fare niente con questa maestra? Lei afferma che non si tratta di competenze perché lei ha tutte le competenze necessarie, ma si tratta del bambino che è così sempre e con questi bambini non si lavora! [Due mesi dopo]: Mio figlio ha cambiato scuola (dopo due mesi di incubo) e finalmente abbiamo trovato maestre preparate e un’educatrice molto in gamba. Il prossimo anno avrà il sostegno».
«Ieri all’incontro con le maestre ci è stata consegnata una relazione. Le insegnanti in poche parole ci hanno detto di cambiare scuola, che non è malattia perché mio figlio prova soddisfazione in quello che fa, come fanno i bulli! E dopo aver cercato di calmare le acque e aver rifiutato un’ulteriore riduzione dell’orario scolastico (lui fa 3 ore e vogliono che frequenti un’ora sola che tra l’altro è l’ora coperta da un’educatrice), ci hanno dato una specie di ultimatum: “Se la situazione non cambia e G. non cambia il suo comportamento entro gennaio noi faremo la segnalazione ai servizi sociali perché c’è un evidente disagio nel bambino”. Come mi devo comportare da ora in poi? Le insegnanti dicono che hanno messo in atto tutte le strategie, ma noi vediamo il banco di G. vuoto senza una striscia visiva (consigliata dalla psicologa) e isolato in fondo alla classe. Mi chiamano almeno 3 volte alla settimana dalle 8.40 in poi pretendendo che me lo porti a casa».
«Mio figlio di 6 anni ha frequentato la prima elementare. Ad aprile è stato certificato con disturbi misti comportamentali e della sfera emotiva in progressione ed è stato riconosciuto a maggio in situazione di handicap grave (104 art. 3 comma 3). A settembre dovrebbe avere sostegno più educatore scolastico. Abbiamo cercato un dialogo più e più volte con la scuola e le maestre senza raggiungere un clima idoneo per nostro figlio; l’inclusione in questo caso viene effettuata dicendo ai bambini di non considerare nostro figlio perché capriccioso (secondo le maestre). Decidiamo così di iniziare la ricerca di una nuova scuola dove la parola inclusione venga effettivamente messa in pratica, ma ci troviamo fin da subito davanti un muro. Siamo arrivati a contattare la dodicesima scuola questa mattina, cambiando provincia, ma nulla. Le risposte sono sempre uguali: c’è la lista di attesa dei non residenti, non riusciamo comunque ad avere il sostegno e l’educatore per settembre quindi rimanga pure dov’è, abbiamo già alunni con disabilità e solite frasi. Chiediamo esplicitamente appuntamenti con i dirigenti ma non ci vengono nemmeno confermati perché “tanto la prassi è questa ed è inutile perdere tempo”».
Concludiamo con qualche riflessione sul termine “inclusione” sul quale pensiamo ci sia molta confusione e poca sostanza. Da tante testimonianze che abbiamo raccolto in oltre quattro anni di attività del Gruppo Facebook Normativa Inclusione, emerge un profilo di scuola inclusiva riduttivo, spesso formale e settoriale, che vede come unici destinatari gli alunni con disabilità e/o problematici. Ma la scuola inclusiva è un processo che riguarda tutti gli alunni e che coinvolge tutti gli adulti che, a diverso titolo, lavorano nella scuola, condividendo idee e responsabilità.
Proprio in riferimento ai bambini con problemi di comportamento si rivelano i limiti di una scuola chiusa e autoreferenziale in cui è troppo facile assegnare e delegare ai singoli malcapitati colpe e responsabilità. Ne usciamo solo con la condivisione e affrontando i problemi assieme, dentro la scuola ma anche a livello interistituzionale, chiamando in causa in modo costruttivo e responsabile le famiglie, l’Ente Locale, i Servizi Socio-Sanitari.
Per risolvere i problemi non abbiamo bisogno di altre Leggi, Decreti, Circolari, ma di senso di responsabilità da parte di tutti affinché la normativa vigente venga applicata.