Il linguaggio dei numeri nell’era della “post-verità” ha acquisito un ruolo determinante. Le statistiche sono la base su cui si fonda l’azione sociale. La loro conoscenza e interpretazione condiziona la vita quotidiana di tutti noi.
Purtroppo questo non vale per le persone con disabilità, in quanto non possiamo avvalerci di dati utili per i loro bisogni occupazionali. Infatti, pur essendo nell’era dei computer, dell’informatica, di internet, non disponiamo di dati aggiornati relativi al collocamento dei disabili. Non abbiamo nessun riscontro statistico sui singoli provvedimenti normativi, introdotti dal gennaio del 2000, ovvero dalla Legge 68/99 in poi. Mancano dati sulle ottemperanze e sulle evasioni, sulle sanzioni e sugli esoneri, sugli iscritti e sui collocati, sull’uso dei part-time e dei tempi determinati ecc. ecc.
Ciò non ci deve sorprendere, considerato che in vent’anni non siamo riusciti ad avere una Banca Dati Nazionale. Non abbiamo statistiche aggiornate su nulla, pur disponendo di istituti competenti e professionalità in grado di realizzare qualsiasi tipo di indagine.
Ma allora dove sta il problema? Sorge purtroppo il dubbio che ci sia disinteresse o volontà nel lasciare fra le nebbie l’intero mondo della disabilità/lavoro.
Anche dall’VIII Rapporto al Parlamento sullo stato di attuazione della Legge per il diritto al lavoro delle persone disabili, traspare la volontà di utilizzare i numeri solo per esaltare i risultati conseguiti e non per offrire una valutazione reale della situazione in cui versa il sistema del collocamento delle persone con disabilità.
I dati presentati – relativi agli anni 2014-2015 – sono più che obsoleti e non consentono di programmare strategie, azioni, procedure e servizi utili, per fare uscire la Legge 68/99 dalle secche in cui si trova da oltre un decennio.
In attesa di politiche efficaci, basate su dati reali e utili, è bene ricordare che i disabili-abili continuano a trovare lavoro autonomamente, mentre gli altri girano fra aziende e servizi alla ricerca di un lavoro, fino a quanto sfiduciati rinunciano. Molti altri nemmeno ci provano. Di conseguenza, i soggetti più deboli rimangono inseriti nelle graduatorie del Collocamento Disabili per anni, senza ricevere alcuna proposta di lavoro, e i nuovi arrivati vanno a sedimentarsi sui vecchi iscritti.
Nel frattempo le aziende, per avere candidati da selezionare, sono costrette a ricorrere a consulenti, agenzie di somministrazione, servizi socio sanitari locali e cooperative sociali; eccezion fatta per i pochi servizi per il Collocamento Disabili che offrono azioni di matching [“accompagnamento al lavoro”, N.d.R.] più o meno efficaci.
Anche il lettore dei dati statistici si è disabituato ad interrogarsi sulla natura e qualità degli stessi; non si chiede come sono stati raccolti e quale sia la fonte informativa, quali domande siano state poste e soprattutto quali sottaciute.
Ad esempio, nessuno spiega – e nemmeno viene richiesto – come mai le convenzioni con le Cooperative Sociali di tipo B rappresentano il 4% degli occupati e le convenzioni di cui all’articolo 12 della Lg 68/99 sono allo 0,6%; così come non viene richiesta la reale quantificazione dell’uso dei par-time e dei tempi determinati, e come mai, in genere, vengano presentati dati quantitativi e non qualitativi. A questo si aggiunga il fatto che, a volte, i servizi interpellati, per carenza di sistemi informatici, di personale o di voglia di impegnarsi, rispondono improvvisando i dati richiesti.
Facciamo un esempio concreto: un Servizio per il Collocamento Disabili segnala di avere promosso tre avviamenti al lavoro in una Cooperativa Sociale, tramite una convenzione di cui all’articolo 14 del Decreto Legislativo 276/03. Il dato è vero, ma a fronte di un’attenta verifica, si scoprirebbe che i primi due lavoratori si sono immediatamente dimessi, tornando ad essere disoccupati e rientrando così nel computo dei nuovi iscritti in corso d’anno, mentre il terzo finalmente ottiene un’assunzione part-time a tempo determinato. C’è quindi una certa differenza fra il numero degli avviamenti al lavoro e il numero delle persone realmente occupate, di quelle persone dimesse e dei nuovi iscritti e così via.
Ci si trova quindi alla solita conferenza stampa, dove politici nazionali o amministratori locali presentano i dati di cui non hanno alcuna conoscenza e competenza. Ad esempio si vantano che il numero degli iscritti continui a crescere rispetto agli anni precedenti. Dati che si prestano a interpretazioni diametralmente opposte. Nel frattempo, il disoccupato disabile presente in sala, si interroga sul perché, da anni, è senza lavoro.
Ora il problema si pone con carattere d’urgenza in quanto siamo entrati in una fase estremamente delicata. Forse, a fatica, stiamo uscendo da una grave crisi economica ed è in atto una radicale trasformazione del sistema produttivo e del mercato del lavoro. Il mondo del lavoro è in rapida e perenne trasformazione. È quindi particolarmente grave non disporre di dati aggiornati e attendibili nel momento in cui si vuole avviare una riforma dei Centri per l’Impiego e dei Servizi per il Collocamento Disabili.
È pertanto urgente e indispensabile realizzare quella fantomatica Banca Dati Nazionale di cui si parla da anni, riformare le modalità di raccolta dati ed elaborazione delle statistiche. Serve un sistema funzionale di monitoraggio che consenta una periodicità di rilevazione e un’inter-operatività dei dati raccolti.
In attesa che tutto ciò si realizzi, i soggetti sociali interessati dovrebbero cominciare a chiedere che vengano pubblicati, almeno a livello locale, dati oggettivi, chiari e facilmente decodificabili. Dati in grado di rappresentare una fotografia aggiornata e concreta della realtà.
Infatti, come detto all’inizio, nell’era della “post-verità” i numeri dicono quello che i relatori vogliono, a volte contrapposti. Ai soggetti interessati spetta il compito di imparare a leggerli, utilizzarli e, se necessario, a confutarli.
Tutti: la classe politica, i mass-media e i soggetti sociali interessati dovrebbero essere coscienti dell’importanza di avere dati aggiornati per perseguire e realizzare politiche veramente inclusive.
Articolo pubblicato in relazione al progetto “JobLab – laboratori, percorsi e comunità di pratica per l’occupabilità e l’inclusione lavorativa delle persone con disabilità” (Progetto finanziato ai sensi dell’articolo 72 del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117. Annualità 2017.)