Determinazione e concretezza sono le principali caratteristiche di Donatella “Dona” Esposito, coriacea presidente dell’Associazione ACMT-Rete, nata 57 anni fa a Bologna con una patologia rara, la malattia di Charcot-Marie-Tooth (CMT), che colpisce i muscoli e i nervi dei quattro arti.
Dona si racconta per la prima volta ai lettori di «Superando.it», introducendo anche i temi dell’ormai prossimo Congresso Nazionale dell’Associazione (24-26 maggio, Rimini: a questo link il programma completo) e commentando alcuni aspetti della realtà socio-politica odierna, nel nostro Paese. Un bell’esempio, una bella persona.
Come hai scoperto, Dona, di avere la malattia di Charcot-Marie-Tooth, nota anche come “la più diffusa tra le Malattie Rare”?
«Ai tempi la CMT era sconosciuta. I ricordi legati alla mia infanzia sono di grande sofferenza e paura, mia e dei miei genitori che passavano dal portarmi ossessivamente da medici che ogni volta alzavano le spalle e non avevano una diagnosi certa, al negare che io fossi malata, tanto da farmi sentire “in colpa” per tutti i problemi che la mia esistenza stava causando loro.
Ho avuto da subito problemi di deambulazione e di manipolazione. Non sapevo cosa volesse dire correre, ma nemmeno camminare senza la paura di cadere; le mie gambe sembravano di paglia e i muscoli perdevano forza ogni giorno di più. Anche il dolore e l’immensa stanchezza erano sintomi difficili da sopportare.
L’adolescenza non è stata diversa. Ho dovuto lottare sempre molto per condurre una vita sociale senza essere emarginata. Qualsiasi cosa che per i miei coetanei era normale, come andare in piscina, entrare al buio in un cinema, andare a ballare, fare una gita, anche solo fare una passeggiata o usare le mie mani per scrivere o accarezzare, per me erano attività quasi impossibili da fare senza farmi male, o senza piangere per la vergogna di sentirmi diversa.
Poi per una serie di episodi e di coincidenze fortuite, più la mia sconosciuta malattia progrediva, più il mio carattere si rafforzava, al punto da portarmi a reagire sempre, senza arrendermi mai. È stato solo così che ho trovato il modo di realizzarmi nella vita, nel lavoro e negli affetti. Avevo quasi 30 anni quando ho avuto la prima diagnosi: avevo una malattia neuromuscolare rara, genetica ed ereditaria dal nome strano di “Charcot Marie Tooth”. Lo confesso, la gioia più grande che io abbia mai provato, dopo quella di aver messo al mondo una figlia, è stata avere avuto la conferma che fosse sana e che non avesse ereditato il mio stesso calvario!».
Oggi sei Presidente di ACMT-Rete. Ti farebbe piacere guidare l’Associazione ancora a lungo? State coltivando un “vivaio” di giovani, futuri dirigenti?
«Ho passato i primi trentacinque anni della mia vita con un senso di vuoto dovuto alle infinite risposte che nessuno mi sapeva dare, sia prima che dopo la diagnosi. Quando si è affetti da una Malattia Rara ci si sente davvero soli e io, in cuor mio, ho sempre pensato che prima o poi avrei dovuto incontrare altre persone affette da CMT e insieme provare a cambiare le cose.
L’avvento del PC prima e di internet poi mi vennero in aiuto. Così nel 1998 fondai il blog di Charcot Marie Tooth vi parla Dona, dove raccolsi tutte le informazioni che ero riuscita a reperire sulla malattia. Fu così che nel giro di poco tempo conobbi altri “simili” a me e nel 2001, insieme ad un gruppo scelto di questi, fondammo l’ Associazione ACMT-Rete.
Sono sempre stata coordinatrice di tutte le attività nazionali e da qualche anno sono anche Presidente. Purtroppo, però,. non sono più una giovincella e tra il progredire della malattia e l’impegno con l’Associazione, la mia vita è molto impegnativa e sempre più faticosa. Per questo motivo non so per quanto tempo riuscirò ancora a dedicarmi in modo così totale ad ACMT-Rete. E tuttavia, ho sempre lavorato per coinvolgere i giovani e oggi il nostro Direttivo vede al proprio interno anche persone tra la trentina e la quarantina, tutte molto preparate e in grado di rapportarsi con le Istituzioni e l’area medico-scientifica nel modo migliore. Queste nuove generazioni hanno punti di forza che noi non avevamo e stanno portando ACMT-Rete ad essere un’Associazione molto dinamica, attuale e conosciuta in tutto il mondo. Ho fiducia in loro».
Lavoratrice, madre, compagna, presidente di un’Associazione a livello nazionale: come si svolge la tua giornata tipo? Riesci a farti bastare 24 ore?
«Beh, se la salute me lo permette, se ad esempio non sono ferma per un intervento chirurgico alle gambe (ne ho fatti già nove nella mia vita) o perché sono caduta e mi sono rotta qualche osso o tendine, al mattino vado a lavorare: sono impiegata in una multinazionale che si occupa di presìdi medici.
Mi piace molto il mio lavoro perché mi permette di avere a che fare con persone malate gravemente e mi sento loro molto vicina. Appena esco dall’ufficio, o dalla fisioterapia, mi occupo dell’Associazione, per tutto il giorno, anche nei weekend.
Sono davvero tanti i miei compiti e gli impegni, molto spesso in giro per l’Italia. La nascita dell’Associazione ha coinciso con una svolta importante nella mia vita, che mi ha portato ad avere maggiore consapevolezza e più fiducia in me stessa. Mi sono separata, sono andata a vivere da sola e ho cercato un lavoro fisso che mi desse la sicurezza per crescere mia figlia e farla studiare. Fino a che non ha raggiunto la propria autonomia, mi sono dedicata molto anche a lei, che comunque è sempre stata la mia forza e la mia grande ragione di vita. Occuparmi di tante cose e di tante persone non mi ha lasciato molto tempo per me stessa e per il rapporto con un compagno, ma ce la metto davvero tutta per conciliare ogni cosa e riuscire a dedicarmi a tutti. Non mi risparmio mai».
Sei mai stata discriminata, come donna, nell’àmbito del Terzo Settore?
«Io credo che viviamo in un mondo globalmente maschilista e che non esistano cultura o religione o settore in cui la donna non sia discriminata. Credo però che la responsabilità di questo sia legata anche alla donna e alla sua debolezza, al suo essere complice, al suo assecondare stereotipi che la rendono succube di un potere maschile. Ritengo che il percorso di liberazione femminile e di lotta per la conquista di una parità, iniziato nel dopoguerra, sia miseramente fallito anche a causa delle donne stesse. Basta guardare come tante crescono e “iperproteggono” i figli maschi, come spesso in un rapporto con un uomo confondano la “violenza” con l’“amore”. Basta guardare come molte, pur di fare carriera, con minigonne e tacchi a spillo, preferiscano non denunciare un sopruso o un abuso sul nascere, o guardarle credere in religioni dove la donna non può ricoprire ruoli maschili, come nel cattolicesimo, o altre dove può essere uccisa se tradisce il proprio uomo. E ancora, basta osservare come oggi la donna accetti di essere “usata” per vendere una trasmissione televisiva o un prodotto di commercio. E vogliamo parlare di come stiamo a guardare, quasi fosse normale, che a capo di ogni ente, struttura, realtà, ci siano sempre e solo uomini?
Penso quindi che la responsabilità sia anche nostra e se non saremo noi le prime a ribellarci, nessuno ci salverà. Tutti coloro che mi conoscono (uomini compresi) sanno che sono sempre stata una donna libera e forte e che ho sempre lottato per non subire discriminazioni. Purtroppo, come tutte, ci vivo in mezzo e nonostante la mia buona volontà e il mio coraggio, sarò sempre “meno” di un maschio, ahimè».
Ma veniamo al Congresso Nazionale di ACMT-Rete 2019, intitolato Lasciando una traccia, in programma dal 24 al 26 maggio a Rimini. Il messaggio-chiave che volete lanciare (“A noi le parole non bastano”) risuona come una dichiarazione di intenti e una grande assunzione di responsabilità. È per caso il “filo rosso” della tua vita?
«Esatto! Sono convinta che vivere senza lasciare il segno non sia vivere, poiché siamo tutti responsabili di come vanno le cose e di come potrebbero cambiare, o se le stesse non cambiano. Credo di avere dimostrato, nel mio piccolo, come anche una goccia sia in grado di scavare la roccia e anche un uomo solo, anzi una donna (…ahahah…) possa portare un contributo grandissimo al miglioramento del nostro pianeta. Così anche tutte le persone che si sono unite a me e al mio progetto nel 2001, quando la CMT era ancora una patologia sconosciuta, e tutti quelli che poi si sono aggiunti e hanno continuato a lavorare con me in questi anni, sono persone che credono nel cambiamento e nella lotta per sconfiggere una malattia e credono però anche che tutto ciò passi attraverso l’impegno, l’onestà e il coraggio.
Avevamo una missione, “creare una rete tra medici e pazienti”, e l’abbiamo non solo realizzata, ma non l’abbandoneremo mai! Avevamo uno scopo importante, “far conoscere la malattia di Charcot-Marie-Tooth”, e oggi, grazie a noi, sono sempre meno i neurologi e i fisiatri che non sanno riconoscerla e sempre di più quelli che prendono in carico i pazienti.
Viviamo in un Paese, l’Italia, dove vanno molto di moda le parole, anzi i paroloni, il farsi belli attraverso le promesse che poi, alla fine, nessuno mantiene. ACMT-Rete, invece, prima fa, poi dice, ed è ben diverso!».
Quali sono le vostre battaglie del presente e quali i progetti per il futuro, in àmbito socio-sanitario e in àmbito scientifico e medico? Esiste un obiettivo che dal tuo punto di vista è quello imprescindibile, quello per cui lotteresti con tutte le forze per poterlo portare avanti?
«Sono diciotto anni che la nostra Associazione lavora ogni giorno, senza sosta. Abbiamo portato a casa molti successi, tra cui quello indispensabile di aiutare le persone a non sentirsi spaventate e sole come mi sono sentita io. Oggi è grazie alla nostra Associazione se si possono fare diagnosi più veloci, se si comincia a capire cosa fare o non fare per stare meglio, se ci sono diversi progetti di ricerca, e per fortuna rivolti anche verso una cura, che è la cosa che più ci interessa.
Siamo anche un Ente Formativo, dal momento che ogni anno organizziamo corsi accreditati per fisioterapisti e medici e realizziamo Congressi Medici e Congressi Psicologici. Dovremo lavorare molto anche sull’ortesica, in alternativa alla chirurgia, e cercare di capire quali sono le scelte più adatte per i bambini.
In questo momento uno dei nostri principali progetti è lavorare alla stesura dei PDTA Regionali (Percorsi Diagnostico-Terapeutici Assistenziali), perché una volta deliberati, saranno strumenti importanti a servizio delle ASL e a tutela dei cittadini. In questi Percorsi vengono specificati i bisogni di un portatore di CMT e come trattare la malattia, sottolineando alcuni servizi obbligati, come ad esempio una riabilitazione costante.
Tra pochi giorni, al Congresso di Rimini, parleremo anche di Procreazione Assistita, perché riteniamo che in una patologia ereditaria sia importante fornire alle coppie la possibilità di avere un figlio sano, e questo in Italia è spesso un argomento tabù. Alla fine credo che non esistano obiettivi o azioni imprescindibili, sono tutti tasselli indispensabili e tutti richiedono il massimo dello sforzo».
Cosa ne pensi delle azioni di questo Governo, e di quelli degli ultimi anni, sul piano della non autosufficienza e della salute?
«Questo è un altro dei fattori che ci distinguono da altre realtà: noi non ci siamo mai schierati politicamente poiché crediamo che un’Associazione ONLUS non debba mai cercare appoggi da un partito o dal politico di turno. All’interno del nostro Direttivo abbiamo orientamenti diversi, eppure riusciamo sempre a trovare gli equilibri e ad avere una visione comune rispetto alla battaglia che stiamo conducendo. Non esiste una “destra” e una “sinistra” nella difesa dei diritti dei pazienti. Il compito di un’Associazione come la nostra è di essere sempre da stimolo verso qualsiasi Governo in carica, affinché siano approvati percorsi che rispondano alle esigenze dei malati con disabilità.
Nella Sanità italiana, ciò che ha danneggiato maggiormente sono stati gli interessi privati, politici e gli sprechi dati dalla cattiva gestione anche dei tecnici. Se non cambiamo la cultura della disonestà, le leggi servono a poco.
Sul campo poi dell’Assistenza e della Disabilità ci sono enormi buchi da colmare, perché nessun Governo ha mai lavorato a fondo o investito sul serio. Devo dire che non ritengo sbagliata l’idea di un Ministero sulla Disabilità, ma cosa ha fatto finora?».
Ricordando infine ancora una volta l’appuntamento con il vostro prossimo Congresso Annuale di Rimini, vorresti spiegare ai lettori di «Superando.it» la posizione di AMCT-Rete rispetto a quella sperimentazione sulla Charcot-Marie-Tooth, prodotta da una Società Biofarmaceutica, della quale si parla molto e che sarà oggetto di approfondimento in Romagna?
«La nostra Associazione è sempre stata molto chiara davanti ad ogni tipo di sperimentazione: siamo dell’idea che prima di esprimere un parere, occorra che vi siano dei dati tangibili. Al momento anche su questo studio non ve ne sono. La cosa che auspichiamo sempre è che non vi siano interessi privati a scapito del bene del paziente e che davanti a una cura farmacologica si ponga molta attenzione anche ad eventuali effetti collaterali.
Abbiamo invitato la Casa Farmaceutica di cui si parla al nostro Congresso anche per discutere i loro dati e creare un dibattito aperto. Ovviamente l’auspicio è che davvero possa trattarsi di un farmaco curativo perché sarebbe il primo e sinceramente non mi dispiacerebbe chiudere la mia vita senza la CMT, sapendo che tanti bambini e giovani non dovranno passare ciò che ho passato io».