Tutti gli organi di informazione si sono occupati del caso di Palermo in cui una docente è stata sospesa per due settimane dall’insegnamento (e dallo stipendio), per avere consentito che i propri alunni di scuola superiore parlassero delle leggi razziali del 1938, comparandole con quelle attuali sulla sicurezza.
Molti si sono chiesti se con la sospensione non vi sia stata la violazione dell’articolo 21 della Costituzione sulla libertà di manifestazione del pensiero. Credo però che qui il problema sia più delicato: oggetto, infatti, della repressione è la libertà di insegnamento.
Chiunque in Italia è libero di esprimere il suo pensiero, purché non incorra nelle violazioni del Codice Penale per ingiuria, diffamazione, incitamento a delinquere ecc. Ma i docenti hanno un compito più delicato e cioè quello di aiutare gli studenti a formarsi un criterio di libera critica di giudizio sulle cose; quindi la libertà di manifestazione del pensiero dei docenti è subordinata a questo ulteriore valore connaturato alla loro professione docente.
Stando però alle notizie circolanti, la docente non aveva orientato gli studenti, ma aveva discusso liberamente con loro, per facilitare appunto il sorgere delle loro libere capacità di giudizio. Se così stanno le cose, viene da chiedersi come mai l’Amministrazione Scolastica sia intervenuta in modo tanto repressivo. Risulta infatti che la docente non avesse assolutamente fatto riferimento ad alcun uomo politico, e tanto meno al Ministro dell’Interno, promotore e sostenitore del Decreto sull’attuale normativa sulla sicurezza. E anche se ciò fosse avvenuto, non vedo quale sarebbe stata la violazione di norme. Pertanto, è legittimo l’intervento repressivo in tale circostanza?
Sui mezzi di comunicazione si è scritto che le norme sulla sicurezza recano la firma del Capo dello Stato. Per questo, quindi, le norme vigenti non sono criticabili!?
Invero il Presidente della Repubblica ha accompagnato la firma del citato Decreto sulla Sicurezza con un messaggio al Parlamento in cui rappresentava le sue perplessità su alcune parti. E se le norme legislative in genere possono essere sottoposte al vaglio di legittimità della Corte Costituzionale, è possibile che non possano essere discusse e pur criticate in una scuola? Non è questo il modo più legittimo di far partecipare gli studenti alla vita democratica del Paese?
Il Ministro dell’Interno, promotore della normativa criticata, ha dichiarato di volere incontrare la docente, augurandole di tornare presto a scuola. Mi pare un gesto inutile e paternalistico.
Dal canto suo, la docente si è dichiarata disposta a parlargli e a mostrargli come il suo atteggiamento non sia stato di mancanza di vigilanza sul lavoro degli alunni, ma un esercizio di discernimento e confronto giuridico sulla violazione dei diritti umani.
C’è chi ritiene che a scuola non si debba parlare dell’oggi e chi invece pensa che sia fondamentale discutere della Costituzione e della sua possibile violazione. Da parte mia ritengo che qui sia stato violato il diritto di libertà di insegnamento dell’educazione civica e penso che, a seguito del ricorso della professoressa contro l’erronea sanzione disciplinare, ciò verrà chiarito dalla Magistratura.
Avvocato. Esperto di legislazione riguardante l’inclusione scolastica.
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